Di Nicolò Bello e Nicolò Tambosso

 

«Zacinto» è il tuo pezzo di debutto con l’etichetta MAKETHOUSAND di Bologna, forse anche il brano inaugurale di una tua nuova fase artistica. Siamo veramente felici di questa maturazione e curiosi di assistere alla tua crescita.
Ci chiediamo anche come stia Filippo, come ti senti all’idea di fare questo passo?

 

Allora, fisicamente sono all’80% mentre psicologicamente vado dallo 0% al 100% in base a ogni secondo che passa.
Filippo è in elaborazione: mi trovo in un periodo dove mi ascolto molto e cerco di trarre più cose positive possibili da ciò che ricevo. Potrebbe non sembrare ma questo processo non mi fa scrivere molto, in realtà. Sto scrivendo poco ma sto ascoltando tanto quello che c’è attorno a me e quello che c’è dentro di me.

Zacinto, che hai citato prima, parla proprio di questo: dell’ascoltare  e del sentire quello che si ha dentro. Anche stare a sentire chi ci sta intorno è importante. In questo periodo ascolto gli altri e parlo molto meno del solito. Normalmente vado a periodi: ci sono dei momenti in cui parlo di più e sono più protagonista a livello verbale, mentre tante altre volte ascolto e lascio che siano gli altri a farmi capire a cosa devo rispondere.

 

Parlando di risposte, in questo periodo credi di essere più vicino a farti le domande giuste?

 

In realtà ho paura della risposta, ho paura delle risposte in generale. Penso che la domanda sia la cosa più importante, la continua ricerca di un percorso, la corsa continua verso qualcosa. Poi ci sono dei traguardi no… Forse delle soglie che attraversi, più che dei traguardi veri e propri.

 

Torniamo a «Zacinto»; la tua canzone ha una struttura dialogica e si sviluppa con un costante riferimento alla donna delle tue aspirazioni, dei tuoi rimpianti e dei tuoi ricordi. Apparentemente siete soli, tu e lei.
La nostra domanda è quanto ci sia di tuo in questa figura a cui ti rivolgi. Quanto è sottile la linea tra dialogo e monologo nel tuo pezzo?

Direi 50 e 50. Nella seconda parte del testo è più un monologo.

Ti faccio un esempio semplicissimo: quando mi rivolgo a una donna nella strofa, mi rivolgo sempre a lei in carne e ossa, è interpretazione molto più semplice,  più leggera, non va così in profondità, o comunque quello che dico nella strofa è più in superficie. Definirei questa parte del testo più «corpo».

Invece per quanto riguarda la prima parte del brano, direi che è più «anima». Io parlo all’anima di lei, si tratta di un dialogo tra me e la sua anima. Ho in mente il nostro senso di sofferenza nello stare distanti. So che, in quel momento, una delle poche figure che può capire fino in fondo quello che sto provando è lei.

Se mi chiedi cosa ci metto di mio direi che si,  è come se in quelle strofe stessi parlando un po’ anche a me, no? Come se lei riflettesse quello che penso. Mi sembra proprio di rivedermi in lei, in quella parte di me che non ci sta, in quella parte di me che si preoccupa e che ha bisogno di evidenziare dei problemi.
A volte si lotta per comprendersi, ma penso che la lotta sia una componente importantissima della vita. Certo, il confronto è importantissimo e lei ha una capacità di empatizzare con me molto forte, in generale ha una forte intelligenza emotiva. Ehm… sono queste cose che ti salvano. Quando le dico… non lo so… le spiego, che sto vivendo una determinata situazione… Lei mi può dare la tua stessa identica risposta… Magari lei dice «bello», come potresti dire te, ma il suo «bello» ha un valore completamente diverso per me perché parla un linguaggio differente.

 

Il grande protagonista di questa traccia sono il testo e le sue parole, con particolare attenzione a come si incastrano, a quali immagini sono in grado di evocare e a quale storia permettono di raccontare.
Quanto sei disposto a scendere a compromesso nella scelta dei termini, quando si tratta delle tue canzoni e quanto tempo dedichi alla scelta delle parole?

 

A volte, quando scrivo determinate canzoni, avverto di non sentirle mie, anche se non in senso negativo.  Ne ho parlato molto e mi sono confrontato anche con altri artisti, non sono il primo che ha questa sensazione.

In questo momento ho qualche difficoltà con le parole, tante volte mi sento quasi costretto a cesellare troppo il linguaggio, soprattutto quando scrivo testi dove ha un approccio razionale. Nei testi più cerebrali tendo a ritagliare un po’ di più le parole, perché siamo in un’epoca dove non puoi sempre dire tutto quello che vuoi o come vuoi tu.

La mia etichetta non mi pone nessun limite, non è che mi dica: «questo sì e questo no». Forse è più una questione di percezione del pubblico. Sto cercando piano piano, con il contagocce, di utilizzare comunque questi termini, un esempio può essere «serendipità», una parola meravigliosa perché rappresenta un concetto bellissimo.

 

«Salvami!» è l’invocazione che ripeti nel ritornello di «Zacinto», per questa intervista ci siamo chiesti chi fosse la destinataria di questa preghiera.
Nel testo racconti di come tu ferisca la tua compagna perché sei angosciato, la tua richiesta di salvezza si origina nel desiderio di risolvere un conflitto interiore originato dalla nostalgia, che è la causa del tuo dolore e della tua rabbia. In questo senso sarebbe la tua compagna che può salvarti, venendoti incontro prima che sia troppo tardi. «So che ho esagerato e per questo ti chiedo scusa, ferire in quel modo sai che non è nella mia natura […] Non sai quanto manchi voglio riabbracciarti, farlo prima che sia troppo tardi».

Questa lettura però non era abbastanza, la scelta del titolo, le immagini che scaturiscono dal tuo testo ci sembravano troppo pregnanti. Siamo certi che il desiderio sia sempre quello di essere salvato dalle tue angosce, dalla nostalgia per la terra natia e dal nervosismo che ti causa la quotidianità. Ciò che ci ha incuriosito è stata la tua scelta di affidarti all’immaginazione per essere salvato. Nella gabbia della razionalità che ti relega alla cruda realtà infatti, hai scelto di chiedere di evadere attraverso l’evocazione di un idillio Foscoliano, di un’immagine poetica. «Perché ho tutto da perdere, e ripenso alla mia Zacinto, in un recinto fatto di idee».
Ci è sembrato che non fosse solo la tua compagna che potesse salvarti, ma anche la tua capacità di immaginare un mondo nel quale fossi felice di vivere, con lei, oltre a una versione migliore di te stesso che lo abitasse.
Questa quindi è la nostra domanda: «Quanto credi possa salvarci la fantasia da «dolore, botte e tagli” che ci procura l’esistenza?».

 

La tua analisi è molto corretta. Beh, direi che la fantasia è un fulcro, un centro che si sposta attorno all’amore… Fantasia e amore…. La seconda quasi più della prima, direi che vanno a braccetto. Sono loro che ci salveranno o che lo stanno facendo anche già adesso.

 

A volte la fantasia va anche a braccetto con l’odio però, pensa al pregiudizio.

 

Sì, hai ragione però mettiamola così: la fantasia ci salva se è nutrita dall’amore. Questo perché l’amore per me è la ragione di ogni cosa. Sia dietro ogni cosa positiva che dietro ogni cosa negativa c’è l’amore, secondo me.

 

Per l’ultima domanda prendiamo in prestito una frase di «Business Class», un tuo singolo del 2022, nel quale rappi: «La mia gente il blocco lo sente, più dentro al cuore che tra i palazzi». Ci interessa questo profondo sentimento di coesione di cui parli, tra le compagnie di quartiere. Qualcosa che istintivamente legheremmo alla cultura hip hop. Negli ultimi anni il panorama musicale indipendente veronese è decisamente cresciuto, arricchendosi di diversi artisti capaci di ritagliarsi una nicchia nel mercato.
Come vivi questo sviluppo? Credi che ci sia la stessa coesione anche nella scena musicale della tua città? Penso ad Adriana, Orlvndo ecc. ecc.

 

Tra me, Adriana e Olly, c’è un’amicizia, ci vogliamo proprio bene. Adri è mia sorella maggiore praticamente. Per quanto riguarda la scena, c’è stato un miglioramento incredibile, parlo dei rapporti privati tra di noi.

Confrontandomi con la vecchia guardia dei ragazzi più grandi infatti. Devo dire «ragazzi» perché loro saranno per sempre dei ragazzi nonostante l’età, grazie alla loro musica. Beh, loro mi hanno sempre detto che ai loro tempi c’era stata un’enorme difficoltà ad avvicinare questa città, a renderla coesa.

Ti posso dire, e mi metto tranquillamente in prima fila, che oggi io e altri artisti siamo molto vicini. Posso pensare ad Angelo, a Koi, posso pensare ad Adriana, posso pensare a Natas, posso pensare a Dj Bars, posso pensare a Slowletti, a Geko… Più che di rapper, parlo anche di gente che ha gestito eventi: Tambo con Horto e l’Accademia dà la possibilità ai ragazzi di esprimersi; Bruce con le aperture del venerdì al The Factory e Geko con il cypher bullismo stanno facendo delle cose incredibili.

Gli artisti esistono perché hanno uno spazio per esprimersi, bisogna dire grazie a queste persone che danno la possibilità agli artisti di essere artisti. Perché senza uno spazio, senza un pubblico, non lo sei. Tra noi c’è una coesione forte, dovuta al fatto che più proponi eventi più la gente viene agli eventi e si conosce.

Io farei leggere questa intervista al nostro sindaco perché abbiamo ancora bisogno di eventi, di musica, di confronto, di cultura. Si sta già facendo qualcosa e anche voi avete fatto tantissimo. Si è vista questa cosa negli artisti, si riflette, ci vogliamo bene tutti. Io non ho difficoltà a stare una sera con Candy o Muslim, che vengono da una realtà completamente diversa, quella di Villafranca, e che fanno una musica molto diversa dalla mia. C’è comunque grande rispetto.

 

«Scena» significa che in un certo territorio gli artisti si conoscono. Non è nulla di più. Il fatto che si conoscano crea mercato, un mercato artistico e creativo. Per questo nasce la competizione, il rispetto, il desiderio di prendere a esempio, il confronto. Questo processo genera altra cultura.

 

Bravissimo, gli spazi in cui si produce cultura attingono materiale da questo processo e generano una macchina infinita. Io credo che oggi Verona non abbia nulla da invidiare… e non lo dico perché sono di qua…  a realtà musicali come quella di Milano, di Bolo o di Torino. Non sto dicendo che siamo migliori. Quello che posso invidiare a queste città è la loro storia, il loro passato. Noi sappiamo che siamo qua per scrivere il nostro.

 

Tutti gli artisti che hai citato fino ad adesso provengono dall’ hip hop. Pensi voglia dire qualcosa?

 

Secondo me adesso l’hip hop sta realizzando una cosa che potrebbe suonare assurda. Oggi quasi tutte le persone che si avvicinano alla musica iniziano dal rap, tuttavia da quando è scoppiato questo fenomeno quanti cantautori sono nati? Moltissimi… senza considerare l’esplosione dell’indie. La gente oggi fa rap e poi forse matura nel pop, nell’indie, nell’R&B. Si è superata la chiusura che caratterizzava questo genere, c’è più contaminazione con meno giudizio. Alla fine scrivere in rima è più semplice, no? Parti da lì e piano piano aggiungi…

L’attitudine hip hop comunque non me la togli neanche se vado all’Ariston, capito? Vorrei che vedeste com’è che saluto le persone (ride) talvolta posso sembrare maleducato e rozzo, ma non è questo il discorso.

 

Nicolò Bello e Nicolò Tambosso