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Sockeye – interviste al sugo controcorrente, di Andrea Nale. Una volta al mese pranzo con artisti e salmoni vari di Verona, chiacchiero, mi faccio grandi scorpacciate e poi vi racconto la loro vita, la loro quotidianità e la loro cucina.

C+C=MAXIGROSS

Ovvero, il pranzo in cui ho imparato ad avere un posto nel mondo.

Parte 1: prima di pranzo, da dove veniamo.

 

In un ventoso mezzogiorno di fine inverno, in una limpida giornata fatta di luce, mi ritrovo a passeggiare per il centro di Verona, diretto verso un pranzo-intervista, il primo pranzo-intervista per Salmon. Filtrati dalla luce e dal silenzio i vicoli stretti della città, ben definiti e regali, raccoglievano le carcasse di vita del venerdì sera per farle risorgere in un delizioso primo pomeriggio, di quelli adatti a famiglie e turisti.

Abbassato il berretto, alzata la cerniera del giubbino fino al mento, giro l’angolo e mi ritrovo immerso nell’ombra di un vicolo cieco che prosegue fino ad un campanello pieno di nomi, come è d’uso quando si è qualcosa in meno o qualcosa in più di una famiglia tradizionale.

Entro in casa. Filippo, in ciabatte, calzettoni verdi e maglia a maniche corte della Microsoft, mi porta verso la cucina, l’unica stanza vissuta, viva e riscaldata di quella casa immensa. Accadeva così anche nelle case antiche, credo. Dal silenzio del corridoio vengo immerso dai profumi, i suoni, la musica; una padella ribolle sul fornello, un coltello taglia a tempo delle patate, The Herbaliser inonda la stanza.

 

Tobia e Filippo, cantante e bassista dei C+C=Maxigross, sono molto indaffarati, mi guardo intorno e appoggio il naso alla finestra appannata dal calore, mi sento in una di quelle scene natalizie dove un bimbo guarda la neve cadere, dietro ad una finestra appannata dal focolare.

Fuori, il sole, ma ci vorrebbe la pioggia, ci vorrebbe la nebbia, ci vorrebbe la neve.

Dopo qualche domanda e i soliti convenevoli chiedo come stiano andando i loro progetti, Tobia mi dà una risposta che riassume tutte le interviste e le risposte possibili:

“Non abbiamo neanche il tempo di andare in montagna”.

‘Apposto, io ho finito’, penso tra me e me. Ma scopro subito che nessuno di loro viene dalla montagna, e che la famosa (famosa?) casa di Vaggimal altro non è che la casa dove andare a bere, mangiare, fumare e prendersi bene da ragazzi; era la casa lontana da tutto, in cui lentamente la musica poteva sorgere, ne aveva il tempo, dove ci si poteva tirare-la-tega (Tirarsi la tega: atto rivoluzionario, vivere un’intensità capace di deformare il tempo in un’epoca in cui il tempo deforma e appiattisce il mondo in una superficie unica).  

“Capisci quindi che quella zona, la Lessinia, per noi non è proprio casa, è qualcosa in più”, mi dice Tobia, “È il luogo dove custodivamo i sogni e dove è veramente nata la nostra musica, lassù non c’erano le ore di studio, i lavoretti per campare, la quotidianità. Vaggimal è quel luogo che esiste a prescindere da tutto quello che può succedere, per questo è essenziale per la nostra musica”.

Per i C+C, quando non erano C+C, poteva accadere di tutto, ma Vaggimal c’era. Punto fisso lontano per non perdere l’equilibrio.

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Mentre attendiamo gli altri ospiti curioso tra i fornelli e mi avvicino alla padella che fin dall’inizio sentivo sfrigolare ogni volta che Filippo ci versava del vino: dalla padella mi giro verso di lui con sguardo interrogativo, molto interrogativo.

“Sono gote di maiale arrosto”, e mi rassicura “le faccio da sempre, sentirai. Quando non hai una morosa devi imparare a cucinare bene e hai molto tempo per farlo”.

Non credo l’avrete notato, ma nel frattempo sono arrivati gli altri ospiti, e quando arrivano gli ospiti si apre il vino e ci si siede a tavola.

 

Parte 2: il pranzo. E non dite che con la cultura non si mangia.

 

Appena seduto, con il piatto ancora vuoto, dalla cassa sopra al frigo sento partire un inconfondibile groove:

Casa. E se c’è una cosa che fin da piccolo ho imparato è che quando una padella smette di sfrigolare significa che il suo contenuto è stato trasferito in un piatto, significa che stiamo per mangiare. Stappato il vino, seduti gli amici, arriva lui:

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Divido le patate dalla carne, traccio un confine, e assaggio il vino. Di solito, quando ho fame, mangio subito le cose che amo meno, per placare la foga divoratrice e potermi deliziare lentamente con la mia prima scelta solo in un secondo momento.

“Com’è la carne?”, chiede Filippo.

Devo ancora assaggiarla, a dire il vero. Metto in bocca la prima fetta, gli aromi del vino mischiati al gusto della carne si cospargono in tutta la bocca da ogni morso, ad ogni spostamento della lingua nella bocca. La carne è tenera e le patate fanno sì che tutta l’esplosione di sapori possa ogni volta esordire di nuovo, ad ogni imboccata. Non poteva che essere così: tra il vino rosso di Verona, le finestre appannate, la fame, i maglioni levati per il caldo, la cucina in legno, le risate e l’ora tarda, quel piatto completava l’opera, il sapore che esplodeva in bocca esplodeva in realtà in tutta la stanza, e sembrava tenere insieme tutte le cose attraverso l’etere

Masticavo con discernimento, come i cristiani masticano la comunione, aspettavo che lo spirito del sughetto pungente mi invadesse ad ogni morso. Sono ampolloso? Sono barocco? Fatevi invitare dai C+C. Ne chiesi ancora.

Durante il pasto non abbiamo parlato di loro né della loro musica, ricordo soltanto una frase, tra un morso e l’altro:

“Una volta abbiamo suonato a Sanremo”. Silenzio, il sughetto rimane in sospeso nella bocca, “in paese, in un locale minuscolo”.

Non ho parlato delle patate, ma che c’è da dire delle patate? Le patate sono sempre buone, le patate salvano i popoli durante le carestie e gli hamburger quando sono troppo piccoli.

Nel mezzo delle chiacchierate a volte mi trovavo immerso in discorsi e situazioni di cui tutt’oggi non saprei identificare l’inizio, e infatti, non saprei come, d’un tratto vengo avvolto dalla colonna sonora di “Mamma ho perso l’aereo”, di cui tutti (tutti!) in quella stanza sembravano esperti compositori mimandone la direzione d’orchestra, mimandone la colonna sonora.

Preso a parlare dell’importanza di alcuni film decido di iniziare ad essere una persona seria, spalmo le marmellate sul formaggio estratto magicamente dal frigo, sposto le briciole dal tavolo in modo da poter appoggiare i gomiti senza dovermi sentire torturato (sì eravamo in maniche corte, il camino faceva il suo sporco lavoro) e penso a quello che forgia la musica di un artista ma musica non è.

Penso: ‘quali produzioni cinematografiche sono riuscite ad accordare le vostre vite per far risuonare una dolce armonia fatta di cinema e musica e slancio artistico all’occorrenza?’

Dico: “Dimmi un film…”

“Fitz Carraldo, di Werner Herzog hai presente?”

“Mannaggia, no, l’ho sentito ma mi manca”.

“Fitz Carraldo è la storia di un viaggio in Amazzonia per costruire un teatro: dentro ci trovi veramente di tutto, utopia, avventura, storia, il tirarsi-la-tega. Se mi chiedi così di consigliarti un film ti direi quello…”.

“E i libri? Cosa si legge a Vaggimal guardando le colline?” chiedo, ovviamente.

“Parlo per me”, dice Tobia, “sai quanto conta l’America per noi, ti parlerei soprattutto di quanto mi abbia influenzato la letteratura americana.”

“Il lato psych deriva da quegli anni?”.

“Quali quelli?”, si allontana, Tobia, per guardarmi meglio.

“QUELLI”.

“Ah, non così direttamente ma sì, la beat generation. I racconti di libertà di Kerouac, ma anche qualcosa di più onirico, i racconti di Burroughs.”

I C+C leggono Kerouac, se vi sembra scontato a me appare invece ordinato, mi sembra che a volte nella vita per fortuna tutte le cose si mettano al loro posto.

Mentre veleggiamo sopra le praterie del Tennessee accade questo:

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Ma non disperate, è una buona notizia, perché l’autore del misfatto è talmente costernato che lo convinciamo a comprarci del gelato per farsi perdonare. La stanza si svuota, rimaniamo in due tre…e usiamo le parole per tornare a parlare di montagna, anzi:

 

3 Parte 3 – dopo il pranzo, quando abbiamo spostato le montagne con le parole.

 

Ora che si fa dura, in grassetto le mie parole.

Nel silenzio ragiono meglio: “Abbiamo parlato d’America e della Lessinia, di Kerouac e del fatto che cantiate in inglese…la vostra musica suona come musica d’oltreoceano, perché la tradizione da cui deriva è quella; allo stesso tempo, però, porta a tutti la realtà di Vaggimal: questo sì che è un viaggione.”

 

“Ahah”, quando ride Tobia ha tantissimi denti, “è vero quello che comunichiamo è marginale, abbiamo mischiato una realtà che ci ha sempre affascinato con i luoghi da dove veniamo. La forza di Vaggimal è di essere una realtà marginale, un mondo marginale e solo nostro, se fossimo nati nella bassa avremmo fatto la “CAMPI-DE-RISO-RECORDS”.

E come sempre quando due cose interagiscono tra loro entrambe ci guadagnano, ne sorge sempre un ulteriore più potente della semplice somma delle due cose prese in partenza.

Inizio ad illuminarmi, comincio a capire a fondo la potenza del loro progetto, ed ho l’impressione che anche Tobia stia acquisendo una qualche comprensione migliore:

“La musica folk-rock anni ’60 la fanno tutti al mondo, i musicisti di Seattle hanno raccontato la loro tega. A noi piace tantissimo la loro musica e il loro stile di freakkeggiare, ma andiamo a freakkeggiare sui monti e invece di bere la Miller mangiamo la soppressa, perché lo faremmo comunque.

Se uno ci ascolta pensa che siamo americani, credo. Da un lato mi fa piacere ma andando avanti negli anni mi piace sempre meno questa cosa.”

 

“Capisco, abbiamo vari esempi in cui spingere la propria realtà con strumenti presi da altri ha funzionato, mi viene in mente il Partito Comunista Francese (mi scende una lacrimuccia)…ma restiamo nella musica! Pensa al successo di Morricone, a quando negli anni ’90 i Modena City Ramblers hanno preso il combat folk irlandese mischiandolo con i canti partigiani italiani.”

 

Poi penso al reggae in Europa, i musicisti europei hanno fatto una rivoluzione non indifferente nella musica proveniente dalla Jamaica, l’hanno mischiata ed intrisa dei nostri valori e sono riusciti (quasi interamente) a levare il lato omofobo da tantissimi testi e da tantissime canzoni, migliorando sensibilmente la qualità del messaggio. Ci sono voluti gli europei per “migliorare” il reggae, gente nata dai valori del Rinascimento e della resistenza.

 

A questo punto mi viene in mente la domanda più bastarda di sempre:


“Quindi, cosa può migliorare la Lessinia della tradizione americana?”

“Ci dev’essere qualcosa da migliorare?”

 

“Non per forza ma rispondi”, sorrido.

 

“Guarda, del mondo americano ci piace la musica in sé. Però ricorda che anche quella musica non è che sia spuntata da zero, ogni musica è frutto di influenze precedenti; la stessa beat generation nasce da una contestazione della borghesia americana. Ci sono troppi fattori da considerare, ma ti posso parlare della realtà americana che ci descrive Miles (l’artista vicino ai C+C, presente in vari pezzi e vari progetti con loro).

Il problema americano è il capitalismo, e non lo dico con retorica: in America hanno i soldi per fare qualsiasi cosa e per certi versi per loro è tutto più facile, ma progetti musicali come il nostro non partono senza un piano di business che garantisca un successo. Gli americani hanno di positivo che non si perdono in chiacchiere, non stanno in osteria a tirarsi la tega (anche perché cosa mangiano!?), loro fanno producono e poi alla fine riescono, riescono più facilmente di noi. Ma se non ci sono i soldi o la prospettiva dei soldi un progetto non parte nemmeno.

Abbiamo questo da insegnare loro, forse, l’America è tanto tanto tanto finalizzata al business della musica, la Lessinia o l’Italia, la cultura mediterranea, può insegnare ad essere più umani.”

 

“Che bello, grazie Tobia, posso prendere io la nocciola?”

 

P.S.: il posto nel mondo di ognuno di noi è a metà.

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LA RICETTA: GOTE DI MAIALE ARROSTO, dei C+C=Maxigross.

 

Preparate il soffritto in una pentola molto larga.

Scottate nel soffritto sui due lati la carne.

Coprite il tutto di vino bianco.

Lasciate cuocere a fuoco lento per due ore (ma più si cuoce più diventa tenero) e man mano che il vino si assorbe aggiungere brodo.

 

Gustosa anche la variante con il vino rosso, in questo caso si può speziare con chiodi di garofano.