di: Aurora Lezzi

 

Mega tranqui è il loro motto: è il loro modo di prendere le cose, di vivere la vita con estrema serenità.
Si può dire anche che è stato il mood della situazione che si è creata tra di noi una volta che abbiamo preso una birretta al bar come se fossimo amici da tempo.

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Sofia, in arte Livrea, e la sua band.
Se per caso su Spotify vi fosse capitato di ascoltare la playlist pubblica “Anima R&B” della scorsa settimana, sappiate che avete il piacere di leggere quest’intervista con la ragazza che era copertina.

Via con le presentazioni, come solista e come gruppo.

S: Livrea è il mio progetto solista, supportato da un collettivo che si chiama “Zona Neutrale”, fondato da me e dal qui presente Antonio Citarella (in arte Nubula), e Francesco Mameli, il mio manager dal 2021 in concomitanza con l’uscita del mio Ep d’esordio dal titolo “Luna Calante”. Nell’ultimo anno abbiamo formato questa band per essere più versatili e fare live. Abbiamo Amedeo Abdul Jabbar (alias Jabba) al basso, Giovanni Sempreboni alla batteria, Niccolò Braggio al sax, Davide Lorenzetti alle tastiere e, ancora una volta, Antonio alla chitarra. Antonio è anche il mio produttore e scriviamo insieme i pezzi.
Questo progetto ha delle radici soul e R&B: scrivo in italiano perché è una cosa che mi appartiene, per me la lingua è importantissima e sento forte un attaccamento alla letteratura e alla poesia. Adesso è in corso l’uscita dell’album d’esordio, “Il canto del villaggio”, tripartito.

Perché la scelta di dividere l’album in tre parti?

S: Il primo atto è uscito un paio di mesi fa, il secondo atto circa tre settimane fa e il 16 giugno uscirà la terza parte. È un po’ un racconto dove narro quelle che sono le mie paure e le mie demoni, avevo la necessità di scriverlo ed è fortemente autobiografico. Essendo un racconto con un incipit e una conclusione, ci piaceva l’idea di dare un filone narrativo: la tripartizione da un senso di narrazione. Ad esempio, il primo atto è più introspettivo, più oscuro e buio; nella parte centrale c’è una presa di coscienza rispetto alle paure raccontate nel primo atto, mentre nell’ultimo vi è una sorta di conclusione, la soluzione a tutti questi lati oscuri.

Per quanto riguarda l’esigenza di avere una band, com’è nata? Come vi siete trovati?
A: Era il 2017 quando ho iniziato ad avvicinarmi al mondo della produzione e da due anni studio a Lucca e questo mi ha consentito di approfondire il lato tecnico. Mameli, con cui sono amici da anni, ha poi fatto incontrare me e Sofia e adesso collaboriamo da circa due anni, occupandomi della produzione come diceva Sofia poco fa.
G: Io vengo fuori dal nulla. Sono arrivato all’interno del progetto quando è arrivata la loro necessità di volere una band per suonare live. Tramite Davide mi è stata inoltrata la loro ricerca di un batterista e il progetto mi è piaciuto subito. La fatalità è stata la coincidenza di questa loro ricerca e della mia volontà in quel momento in quanto musicista, quella di voler suonare in un contesto musicale del genere per mescolare la batteria acustica con suoni elettronici. Era l’occasione perfetta.
J: Io ho conosciuto Sofia perché lavora nel bar del mio paese. È nato tutto un po’ per scherzo perché Sofia mi disse che aveva una data importante al Magnolia a Milano e io le chiesi se avesse del merch. Non aveva nessuno che si occupasse della vendita e io mi sono offerto. Ho avuto modo di conoscere meglio gli altri e, una volta scoperta la mia esperienza nel settore musicale underground ed essendo entrati in sintonia fin da subito, mi hanno chiesto di entrare nel progetto.

Quali sono le influenze che ti hanno condotta a questo genere musicale?

S: Il mio papà mi ha sempre imposto cose molto “da papà”. Crescendo ho scoperto il jazz e me ne sono innamorata, poi il blues, il reggae. Canto anche in un coro gospel, quindi subisco influenze un po’ da tutto e mi hanno tutte fatto arrivare al mio stile di adesso, ancora un genere non definito. Non mi riesco a definire di un genere “puro”.

Però, se dovessi dire “È lei/lui/loro che mi ha/hanno influenzato”?

Chi nomineresti?

S: Beh, sicuramente grandissime voci del passato, cominciando da Nina Simone, Ella Fitzgerald, Amy Winehouse, tutte queste voci soul, R&B. In Italia, invece, ti direi Lucio Battisti: per me è fondamentale.

Ultima domanda: parlami delle copertine perché sono spaziali. Mi sapresti descrivere il concetto? Nelle tracce del disco sento delle sonorità moderne e percepisco come un contrasto con la scelta dei costumi, quasi rurali.

S: Sono dei ritratti e sono tre copertine diverse, una per ogni atto. Nel primo ci sono quattro personaggi, il secondo ha i quattro di prima più altri tre diversi, mentre la terza copertina presenta undici personaggi in totale. Ad ogni personaggio è stato associato un pezzo, seguendo delle mie influenze a livello visivo. Sono tutte persone che gravitano intorno al progetto, che hanno dato una mano o si sono palesate in qualche altro video. Ad esempio c’è anche il mio make-up artist.I costumi li ho fatti tutti io, mi piace trovare le cose ai mercatini, cercare i tessuti e per ogni personaggio ho creato l’abbigliamento creando un moodboard. Mi sono spirata al mondo tradizionale ma anche a Pasolini, che mi ha travolta. Infatti ho fatto riferimento “Medea” dove Maria Callas è la protagonista, ho preso spunto dai costumi del film. Questo mondo tradizionale e ancestrale, come dicevi, va anche in contrasto con quelli che sono i suoni dell’album che anch’esso è ibrido essendoci una forte presenza suoni elettronici ma strumenti tradizionali dappertutto.

Alla fine di tutto, l’unico “peccato” che ci verrebbe da dire è che non ci sia un quarto atto del disco, ma… se volete ascoltare gli altri tre, lo potete fare in cuffia su Spotify perché il terzo atto è fuori il 16 Giugno. Oppure, direttamente live a Roma il prossimo 22 Giugno perché sono invitati al Maschiacce Music Festival, Largo Venue.