Un McDonald mascherato da ristorante gourmet
(cit. un commento su Trip Advisor)
Abituato com’ero al grigiore della bassa padana, così viscerale che pareva aver intorpidito la limpidezza dei miei occhi, trovarmi d’un tratto sulla strada per la Valpolicella, inondato dal sole, dai colori dell’autunno sulle colline e dalla freschezza dei finestrini abbassati, mi fece venire l’acido lattico all’entusiasmo, tanto ero stimolato in un sol colpo a viver di bellezza.
L’incontro di cui vado a raccontare è un incontro sensoriale, in cui le parole, sebben molte e ben dette, sono state la parte più debole. Incontrare Giacomo, creatore dei panini di Buns, a casa sua, significa essere immersi in molti più stimoli di quanti se ne possa cogliere ascoltandolo parlare.
L’unità di tutti i mondi consiste nel formare sistemi di segni emessi da persone.
Gilles Deleuze
La casa di Giacomo non ha il campanello, o meglio, sono io che non ho capito come e se funzionasse effettivamente quel campanello; viene ad aprirmi il mio ospite e mi accompagna in una cantina.
“Questa è casa, mi sono sistemato bene, ma è provvisorio, sopra ci stanno i miei nonni”
Effettivamente Giacomo, che d’ora in poi chiameremo Jack, vive in un luogo che se preso da una gru immaginaria e spostato sulla Highline a New York potremmo definire un loft. Solo che siamo sulle colline di Verona, e la casa di Jack si affaccia su una corte. Non ci sono mura a dividere le stanze, non c’è un letto – dorme sul divano letto – e la cucina è grande come lui, ma quella casa è un museo delle intenzioni e della vita di Jack: Goonies alla tv, una pila di libri di tutte le cucine del mondo, un giradischi con del rap, una libreria dove ho ritrovato i “Piccoli Brividi” (“ma io li odio quelli”, mi dice Jack) libri sparsi di design e del genio di Luca Barcellona, una tavola immensa e un’altra, più piccola, apparecchiata per noi. Essere in quella casa è come essere all’interno dell’angolo di cuore di Jack, da cui scaturiscono le passioni: è tutto esposto e, sapendo dove cercare, tutto quel che di importante appartiene alla sua vita, è su quelle mura e su quei quattro mobili.
Andiamo in cucina, dove il tavolo è cosparso di materie prime che si trasformeranno in manicaretti: formaggio, cipolle caramellate, zucca, riso e crostini.
In grassetto le mie “domande”.
“L’idea di Buns è nata, in qualche modo, anche qui, amavo far da mangiare per gli amici, e una volta ho fatto un hamburger con della carne che avevo preso qui vicino. Due miei cari amici, che già avevano un negozio a Verona, dopo cena mi hanno fatto una proposta concreta…e quella proposta aveva già a che fare con l’apertura di un’hamburgeria.”
“Buns è stato qualcosa di nuovo a Verona, nato forse ancor prima che arrivasse da noi la moda delle hamburgerie, e ancora è qualcosa di abbastanza unico e isolato in questo panorama.”
“Buns è un ristorante a tutti gli effetti veronese, faccio hamburger ma a Verona, con prodotti che vengono da Verona e frequentato da butei di Verona”
“Sì forse questa è la differenza con le varie altre hamburgerie, anche se, devo dirtelo gli hamburger più buoni che ho mai mangiato li ho mangiati Al Mercato e da Tizzy’s a Milano ”
“Aggiungerei anche l’Osteria del Borgo a Verona, dove lavora Andrea Colognato, il mio cuoco preferito di Verona: non è un hamburgeria, ma per qualche mese hanno fatto un hamburger che è stato uno dei miei riferimenti più importanti. In Buns c’è tutto il mio retaggio però: sto ancora andando in una gastronomia qui vicino, i Sapori del Portico, per imparare tutto sul mondo dei formaggi da un maestro come Giuseppe Bernardinelli, ho studiato moltissimo in varie realtà della zona come si gestisce la carne, e quale carne scegliere”.
“Capisco la passione, capisco l’impegno, la dedizione e la voglia di imparare…ma non sarà meccanico ora fare tantissimi hamburger a sera?”
“Tutto il mio retaggio è lì dentro ora. Sono uno che si impone, purtroppo o per fortuna, sono un po’ maniaco del controllo però da un certo punto di vista penso che la mia idea si vede che sta funzionando. Quindi, non voglio lasciarmi scappare niente. La mole di lavoro di Buns, pur essendo sì meccanica, mi ha fatto capire che amo molto anche il lato gestionale di quest’avventura.”
La prima impressione che mi ha dato Jack è di essere entusiasta e folgorato (in senso buono, letteralmente folgorato) da quello che fa, da quello che sta facendo e da come il suo progetto si sta evolvendo, talmente entusiasta da sembrare supponente, a tratti. Il confine tra “tirarsela” e “crederci con tutto sé stessi” è sottile come una fettina di cheddar, e, per me, Jack è stato salvato da tutto quello che mi distraeva dalle sue parole.
Questo è un incontro sensoriale, ho scritto, e così è stato. Fortunatamente avevo il microfono a registrare lo sbrodolìo di parole di Jack, perché in pochi istanti la mia coscienza si è spostata sui suoi gesti: su come maneggiava le cipolle e il formaggio, sul suo lavarsi le mani ogni due minuti, sul come tagliava il formaggio sul tagliere e sul suono del coltello sul legno, su come palpava la zucca e come apriva, versava e serviva il vino. La folgorazione di Jack, era d’un tratto incarnata, visibile, in una ritualità manuale che forse è comune a tutti i cuochi, ma che per me, in quel momento, aveva il sapore di un cerimoniale.
Mentre partecipo a tutto questo, spunta d’un tratto il nonno di Jack che passando davanti alla cucina ci grida:
“Eh! Sio boni de far da majar!?”
Ho la bocca piena di formaggio, un formaggio fatto cagliare con i cardi, sto ascoltando “Una Minima” di Fabri Fibra, dal vinile di Jack quando mi racconta la storia più assurda della sua vita, la storia che passa da un vecchio baule in casa sua, un giornale di satira, veronese degli anni ’80 e Buns, oggi. Un incrocio esistenziale così fitto che non posso che introdurre con chi scrive meglio di me.
Certo, se si tratta unicamente dei nostri cuori, il poeta ha avuto ragione parlando di fili misteriosi che la vita spezza. Ma è ancor più vero che essa ne tesse senza posa tra gli esseri, tra gli avvenimenti, che li intreccia, li raddoppia per far più fitta la trama, tanto che fra il menomo punto del nostro passato e tutti gli altri una ricca rete di ricordi lascia solo la scelta delle vie di comunicazione.
Marcel Proust
Primo intreccio. Si parte da una scoperta: il giovane Jack, rampante studente di “Linguaggi dei Media” alla Cattolica di Milano, trova, in un baule nascosto, in quella che adesso è la sua taverna, una maglietta di Verona Infedele. Verona Infedele è una rivista satirica nata a fine anni ’80, con sede in via Mustacchi 8, e pubblicata quasi clandestinamente fino a fine anni ’90. È qualcosa di grosso, Verona Infedele aveva collaboratori del calibro di Milo Manara ed è diventata famosa per aver anticipato dei nomi dei condannati per Tangentopoli. Estasiato per la scoperta dei numeri originali conservati dal padre, Jack scende dalla soffitta impolverata e -memore di quando girava per il Carnevale di Verona proprio sul carro di Verona Infedele – si precipita dal suo professore, e assieme decidono che Verona Infedele sarà l’argomento della sua tesi di laurea.
Secondo intreccio. Tutto felice per la laurea ottenuta, giovane spensierato e dedito alle arti, Jack aiuta Stefano Battistella con la produzione dell’album “Interrato dell’acqua morta”, progetto che terrà Giacomo impegnato per alcuni anni e, di cui, sento ancora tracce di orgoglio nel suo racconto.
Terzo e ultimo intreccio. BUNS. Abbandonata la carriera da giornalista, abbandonata la musica, Jack viene convinto ad aprire Buns, e lo apre, casualmente, proprio all’interrato dell’acqua morta.
E quindi? Mi chiederete.
I più esperti di urbanistica veronese ci saranno già arrivati, ma Verona Infedele, che Jack ha riscoperto anni e anni prima di pensare a Buns, il giornale che è stato la sua tesi di laurea – sbloccandolo dall’arido deserto dell’assenza di idee per la tesi in cui si era infossato -, aveva sede in via Mustacchi 8, che è già interrato dell’acqua morta, e che è la porta di fronte all’uscita della cucina di Buns, dove ogni sera Jack riposa tra sessioni di hamburger.
Giacomo ha troppo entusiasmo da non riuscire a tenerlo a bada, Buns è solo una fase, importante ed essenziale della sua vita, ma potrà cambiare un giorno o l’altro, esattamente come è cambiata la sua voglia di scrivere e diventare giornalista e come è cambiato il suo rapporto con il mondo della musica. Ma nella variabilità, e precarietà, di intenti di Jack, c’è una costante, un luogo che sempre l’ha accompagnato e che sempre è spuntato quasi improvvisamente in ogni avventura in cui si prodigava.
Tre dei momenti più importanti hanno un assoluto, un punto fermo, una costante, e racconti come questo sono quello per cui vale la pena di andare a intervistare la gente con Salmon, per farsi raccontare di come le cose che valga la pena raccontare non siano i successi, i risultati, l’Angus – non solo almeno, ma siano quelle dinamiche incredibili che creano, in chi le vive e in chi le ascolta, un sentimento di sacralità verso un percorso di vita.
Come un marchio, che ricorda che la bravura non è tutto, e che qualcosa dei risultati che si ottengono non dipende da te, ma da chissà cosa.
Vi lascio la ricetta, scritta da Jack, di tutto quel che ho mangiato. Non ne ho parlato perché dai crostoni alla cipolla al risotto alla zucca è stato tutto assurdo, forse tutto l’immaginario che, in me, aveva creato con i suoi gesti precisissimi si è incarnato nei piatti in tavola, nei morsi, nel gusto, nella consistenza delle pietanze: mi sono commosso…lasciate perdere Buns, fatevi amico Jack e fatevi invitare a pranzo da lui:
CROSTONI
Ingredienti:
Pane a fette
Cipolle
Monte veronese Vecchio (io ho usato un 24 mesi presidio slow food perchè ne assaggi un tochèto e ti par d’essere sdraiato in un campo a Erbezzo in un pomeriggio di fine Luglio)
Procedimento:
Tagliare il pane bianco a rettangoli. Tagliare le cipolle a rondelle e farle rosolare con un filo di olio extravergine di oliva e un pizzico di sale. Quando le cipolle saranno ammorbidite aggiungere qb di zucchero di canna e far caramellare. Godersi il momento della caramelizzazione, che è uno spettacolo per tutti i sensi. Disporre le cipolle caramellate sul crostone di pane bianco e aggiungere una fettina di Monte veronese vecchio. Cuocere in forno per 10 minuti a 200° C gradi. Resistere alla tentazione di mangiare subito il crostone. Il monte dopo 10 minuti in forno ustiona qualsiasi palato, anche il più avezzo alle alte temperature.
RISOTTO ALLA ZUCCA CON MORLACCO
Ingredienti:
Riso Vialone Nano
Burro
Zucca
Morlacco (che è un formaggio incredibile con una storia incredibile e forse avendo detto così tante volte la parola incredibile vi avrò incuriositi e andrete a cercarlo nell’internet)
Procedimento:
Pulire la zucca e tagliarla a pezzettoni. Condire con olio extravergine di oliva, sale, pepe e rosmarino. Disporre su una placca e cuocere in forno per 15 minuti a 180 °C. Controllare ogni tanto lo stato della cottura sbirciando nel forno per avere una cottura perfetta ed evitare il brusìn alle estremità.
Tostare il riso con il burro quindi aggiungere la zucca. Un po’ alla volta aggiungere mestoli di brodo fino ad arrivare alla cottura desiderata. Mescolare continuamente, che con il riso l’è un attimo e ci si ritrova con metà teia incrostata. Spegnere il fuoco, aggiungere il Morlacco a cubetti e mantecare. Attenzione: per mantecare come Dio comanda bisogna stare attenti: darci dentro sì, ma con delicatezza. Bisogna far montare il formaggio senza però spapolàr tutto. A mantecatura ultimata versare due dita di Valpolicella Classico, mescolare e coprire con un panno per due minuti (questa sarebbe la magia vera e propria del piatto e anche la parte scenica per gli ospiti a tavola. In questo caso io ho anche spento le luci inventando una clamorosa storia sul fatto che il risotto al buio vien più buono). Servire e magnàr. Che la vita è una, le gioie poche ma di riso a Verona ne abbiamo a buso.
Ci abbiamo bevuto dietro un From Black to White di Zymè (cantina che è letteralmente sotto la taverna dove vivo) e un Valpolicella Classico biologico di Speri.
Sockeye – interviste al sugo controcorrente. Una volta al mese pranzo con artisti e salmoni vari di Verona, chiacchiero, mi faccio grandi scorpacciate e poi vi racconto la loro vita, la loro quotidianità e la loro cucina.