“Bianco e noir”, Verona: una serie di racconti a puntate. Dagherrotipi e litografie,
vecchie foto in bianco e nero: ovviamente Verona, due secoli fa.
Ogni foto nasconde un mistero: l’ispettore Mastino Giusti è il protagonista.
Il Cafè Noir è la sua base, la grappa e le api le sue passioni.
Di più non posso svelare, questo è il primo episodio.


Verona, 24 dicembre 1881.

I rintocchi della campane risuonano cupi mentre la processione si avvia lungo il viale del camposanto. I corvi svolazzano sopra le nostre teste, impeccabili nei loro smoking neri. Alzo il bavero del cappotto e abbasso la tesa del cappello di lana grezza. Stringo gli occhi per proteggermi dal turbinio della neve che scende portata dal vento e serro la presa sul mastino d’argento che sormonta il bastone d’ebano scuro. Chiudo la fila, fatico con il mio passo malfermo, gli scarponi lottano con il fango che m’inzacchera i pantaloni.
Al mio fianco Marogna cammina con il suo grugno duro, gli occhi arrossati e il respiro che si perde in nuvole di vapore. Un suo caro amico, un càna come lui, è stato trovato morto in casa sua, due sere fa.

Più avanti c’è la fossa che attende il nuovo inquilino. Intorno pochi parenti, canuti devoti che stringono il rosario e l’Ispettore Martini. La vedova è avvolta in una veste scura e il velo che le copre il viso si alza ad ogni folata di vento. I suoi occhi, neri come il cielo che incombe sopra di noi, sono più freddi di questo vento che ci sbatte contro. Il suo sguardo mi regala un brivido che percorre la schiena.

Non vedo lacrime. Ognuno di noi elabora le perdite in maniera diversa: c’è chi si dispera, chi sospira alla vita che verrà dopo la morte, chi brinda al defunto. Lei, la donna in nero, non lascia trasparire nulla.
– Mastino… – mi sussurra Marogna – Manca il fratello.
E le sue parole risuonano come il peggior atto d’accusa.

Il prete sproloquia sulla caducità della vita. Le preghiere riempiono l’aria in questa vigilia di Natale. E’ buffo, penso, in un giorno che prelude alla vita stiamo celebrando la morte.
Sarà il mio sesto senso ma quell’uomo è stato ucciso.
In pochi qui lo sanno, a parte me s’intende.

Il cielo si fa ancora più scuro portando nubi cariche di gelo. La cerimonia è finita, la bara viene calata nella buca e le litanie di rito accompagnano i becchini, attori consumati che portano a termine il loro lavoro.
Il suono che giunge annichilisce.
Non mi resta che render giustizia al morto, per questo mi hanno chiamato: sistemo sulla Terra quello che più avanti toccherà a Dio giudicare.

– Seguimi – sussurro a Marogna mentre ci incamminiamo verso casa.
La vedova ci precede, ha il passo spedito, la camminata di chi ha qualcosa da nascondere.
Le stiamo dietro, faccio fatica ma non mollo.
La donna svolta a destra, traffica con le mani nella borsetta ed entra in casa.

L’Adige sotto di noi scorre tumultuoso.
Siamo dello stesso animo, io e Marogna.
– E’ casa loro – mi dice l’agente.
Non ha ancora elaborato il lutto, il suo collega ora abita al Monumentale.
– Lo so – rispondo.

C’è una locanda lì vicino.
Propongo un brindisi in onore del defunto. Prendo il bicchiere e mi verso una dose abbondante di grappa. La sento scendere ad infiammarmi gli intestini: riprendo colore, calore, forza.
Marogna fa lo stesso.
Beve ma è come se non sentisse nulla.

La grappa rinfranca.
Così torniamo in strada mentre il vento sibila rabbioso.
– Passiamo dal fratello – propongo avviandomi.
C’è un dubbio che m’assilla. Se troverò la risposta che cerco questo caso sarà chiuso.
Marogna non capisce. Non è colpa sua, alle volte proprio non ci arriva. E’ un campagnolo al quale hanno fatto indossare la divisa. L’acume non gli appartiene ma i suoi sberloni sono un’arma micidiale.
– Non possiamo andare subito da lei – dico come a spiegargli un’ovvietà.

La casa del fratello non è distante.
Saliamo al piano e non troviamo nessuno.
E’ la conferma che cercavo.
– Dalla vedova – dico all’agente mentre torno sui miei passi.

Non c’è bisogno di bussare.
Da dentro la casa giunge un lieve sussurrare.
– Buttala giù – ordino a Marogna che mi guarda stralunato.
E’ una frase che è un invito all’azione, al càna basta un calcione e la porta s’abbatte sul pavimento insieme a cardini e calcinacci.
Un botto tremendo.

Solo per noi a quanto pare.

La donna infatti non si scompone.
Non ci degna di uno sguardo.
Sullo sfondo un camino acceso rischiara una stanza spoglia che odora di muffa e di chiuso.
Mi aspettavo di trovarli insieme, la vedova e il fratello.
Ma di certo non credevo di vederli in questa situazione.
L’uomo infatti è imbavagliato, stretto da corde che gli imprigionano braccia e gambe ad una sedia. Lo sento mugolare, atterrito.
Ci credo che se la stia facendo sotto.
La vedova nera ha un coltello in mano.

Accade tutto in un attimo.
Assisto come in un brutto sogno a Marogna che le si getta contro e la immobilizza. Il coltello vola lontano mentre il prigioniero, in un riflesso condizionato dalla paura, si butta all’indietro e vola a terra con la sedia.
Sbatte la testa, una tega tremenda.
In un attimo sono sopra di lui, pronto a dare un soccorso che non serve perché il colpo gli è stato fatale.

– Era il fratello – conferma Marogna tra una bestemmia e l’altra.
La donna confessa tra le lacrime: il matrimonio finito ancor prima d’iniziare, la passione per l’altro uomo che però non la corrispondeva.
La follia l’ha portata ad uccidere due persone.

Brutta faccenda le tresche amorose.
Se consumate in famiglia diventano tragiche e non è questione di statistiche: la realtà dei fatti è più che evidente.
Poi c’è la follia alla quale non si può dare spiegazione.
Così metto in bocca una liquirizia, prendo il tabacco dal taschino della giacca e mi preparo una sigaretta.

Villa Giusti è casa mia.
Fervono i preparativi del Natale: cenone con la nobiltà veronese.
Mia madre ha organizzato tutto nei minimi dettagli.
Mia madre…
Il rapporto con lei assomiglia a quello di un eroe che sfida l’Idra: c’è sempre una nuova testa da tagliare, una nuova incomprensione da risolvere, un nuovo litigio da intraprendere.
Non andiamo d’accordo.
Mai.
Nella carica di Custoza ci ho rimesso una gamba e ho perso mio padre, il Generale. Lottavamo per valori più alti di un tè nei salotti del Caffè Dante.
Quei crucchi bastardi me l’hanno ammazzato.
Una palla di cannone ha frantumato le nostre vite.

Sento le campane del Duomo suonare.
La mezzanotte è vicina e la cena è già iniziata.
Io ho altre cose a cui pensare.
Alla grappa per esempio.
E ai miei demoni privati.

Smokey Salmon

biancoenoir