Non giocare con il cibo, disegnalo!

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Gli antichi classificavano le varie arti in una scala di valori basata su quanto ognuna di esse fosse vincolata alla forza di gravità: dall’architettura, arte minore, alla musica, suprema arte fatta di suoni impalpabili nell’etere. In mezzo a questi antipodi variano pittura e scultura: l’equilibrio del legno e lo spray che cola a terra dal muro di un writer. Non avevo mai capito a fondo le implicazioni di questo concetto fino a quando, parlando di case con Cibo, non ho confrontato la sua grande taverna con le abitazioni che mi hanno ospitato nelle interviste precedenti, soprattutto con la piccola abitazione del maestro d’orchestra Andrea Battistoni.

“La realtà è che fare musica non ti occupa tutto lo spazio che serve a me.”

Tra tavoli, tele, bombolette, e strani strumenti, capisco che sarà una giornata illuminante. .

Di Cibo conosco quel che ho trovato sulla pagina Facebook, ho visto varie opere in giro per la città, ma non avevo idea che quelle fossero solo la punta di un iceberg le cui fondamenta vanno ricercate in vent’anni di dedizione, tantissimi progetti intrapresi e una continua ricerca di portare l’arte alla gente che non può permettersela, fuori dalle gallerie, per la strada.

In grassetto le mie domande.

 “Non pensavo, Cibo, che questo per te fosse un lavoro…credevo che facessi altro nella vita. Hai sempre vissuto d’arte o è un progetto recente?”

 “La mia educazione artistica mi ha portato fin da subito verso lavori “creativi”, ance ho sempre cercato di rimanere a lavorare nell’ambito della ristorazione: dalla cucina, alla sala, dal banco bar, al banco freschi al supermercato. Poi tutto si è fuso, ho tenuto dei blog di enogastromia che mi hanno portato a lavorare per riviste di cucina nazionali e a farmi conoscere direttamente i produttori andando presso le loro sedi.

I miei pezzi sono comparsi a Verona circa sei anni fa anche se è dal lontano 1997 che sono sui muri, io faccio parte della seconda generazione di writer, quella dopo gli audaci sperimentatori e prima della mercificazione. Cibo in realtà per me è solo un progetto tra i tanti, ma è forse quello meglio compreso.”

“Cosa vuol dire seconda generazione di writer? Ne esiste una terza?”

“Sono venute a mancare le condizioni per averne una terza con i dovuti valori propri della strada. Con gli arresti dell’inchiesta “Valpantena writers” si è perso il ricambio generazionale e questo gap ha portato la nuova generazione ad essere più “bomber” che artista. Perciò gli sbirri hanno fatto quasi danni maggiori, prendendo a caso i butei, anche perchè non sono stati i colpevoli a pagare. I rimasti si sono un po’ vendicati – e come dargli torto – la repressione crea terroristi artistici. Io fortunatamente ero in esilio! Ora sta tornando un po’ di scena e vedo gente che ci tiene, che ha slancio, e ciò mi fa ben sperare”

La nostra conversazione si interrompe con l’arrivo in tavola di un risotto dal gusto amarognolo ma buonissimo, alzo lo sguardo e vedo Cibo che mi osserva minaccioso, da vicino:

“Guarda che mi son punto le mani a raccogliere i bruscansi nei campi, ma sentirai che gusto!”

Quando non disegna, Cibo, potete trovarlo a far digging di erbe spontanee e zucche lasciate nei campi dai contadini.

 “Stavamo parlando delle nuove generazioni di writer…”

“Io non sono nato e non sono mai stato un writer legato al mondo hip-hop, non ho mai capito la tega delle tag: per me un’opera dev’essere riconoscibile per tutti, perché dare un messaggio incomprensibile al lettore?”

 “Nel mondo hip-hop credo derivi da quando le tag sui muri delimitavano quartieri controllati da questa o quella gang; o sfide tra writer a chi aveva più tag di altri e in posti più strani. È un sistema codificato di comunicazione urbana, che gioca sul fatto di essere estremamente visibile e estremamente criptato allo stesso tempo”.

Poi a Verona, non è famosa per formare nuovi artisti, non è un ambiente stimolante, anche perché sui muri vedo molte opere che sono una disperazione, non frutto di una pulsione, propria dell’arte, ma di mero guadagno o pigra ribellione. Non c’è sfida, non c’è ricerca stilistica e soprattutto non c’è un cazzo da dire.

La street art a verona è in ancora in fase embrionale e tocca a noi l’onere e l’onore di formarla, ma non stiamo andando nella direzione corretta, a mio dire. Non è una risposta al grigio, è una domanda colorata!

Le istituzioni non capiscono, e la burocrazia regna. Per dire: se un negoziante domani si sveglia e si sente mecenate, forse deve pagare tasse pubblicitarie per un’opera d’arte, già un ossimoro, e le deve pagare perché un omuncolo privato che lavora in esclusiva per il comune prende un obolo per ogni sanzione emessa… Allora, io capisco tutto, paghi il logo, ma il disegno no! Ovvio che un pasticcere vuole una pastina, e ovvio che lo fa per il bello del suo edificio, ma lo fa anche per il senso civico, per dare adito ad un artista, perché semplicemente gli va. Cioè non pretendo che sia incentivata, ma almeno compresa, quello si! Dobbiamo batterci tutti noi artisti per un mondo meno noioso, e privo da dogmi.

 “Poi, come in tanti altri ambiti underground, entrare in questo tipo di mondo vuol dire accettare questo tipo di regole, no? Vuol dire far parte di un sistema con dei valori precisi, delle direzioni da seguire e dei rapporti che valgono ben più delle leggi dello stato.”

 “Si la strada ha le sue regole e molto spesso il torto subito viene sanato anche in maniera creativa. Io non ho mai seguito la scena, ma ho riconosciuto le regole.
Il problema dei writers è che pur essendo dei grandi comunicatori hanno degli enormi problemi di comunicazione: non si capiscono, si perdono in discussioni infinite ed inutili per poi litigare.
Non comprendono il loro potere e la loro responsabilità civica, un’opera rimarrà in strada per anni se non decenni, nonostante sia effimera per natura, e nostra è la responsabilità di dare al panorama urbano una nuova veste. Non sarebbe la prima volta che cancello personalmente un mio disegno perché a mio avviso non convincente. Poi i giovani devono essere più audaci, sperimentare, anche combinar cagate se utili a capire, ma vedo che la ricerca stilistica, il sentirsi unico e riconoscibile, viene meno, eppure è la caratteristica principe di ogni artista.

E poi c’è l’ego che chiama. Ogni writer in fondo al suo cuore vuole che tutti sappiano chi è che gli si porti sconfinato rispetto, altrimenti perchè scrivere il proprio nome… il problema di tutti i furbi: non resistono alla tentazione di far sapere che sono furbi, ma questa è filosofia spiccia”

A questo punto ci avviciniamo alla battaglia più interessante di Cibo: la battaglia contro le scritte di Forza Nuova sui muri. Cosa significa scrivere frasi fasciste in giro per la città? Credo siano l’emblema di tutto quel che abbiamo detto fino ad ora riguardo alla mancanza di cultura: da una parte, scrivere DVX, TITO BOIA o disegnare una svastica vuol dire avviare un processo di abbruttimento estetico della propria città, dei luoghi pubblici e visibili. È un atto di vandalismo che, secondo punto, inneggia ad un sistema di pensiero che se attuato politicamente – in nome della Nazione, dello spirito estetico e dell’ordine – condannerebbe quel gesto stesso in modo più radicale di qualsiasi altro regime.

“Bhe sia chiaro, a me di politica non frega un cazzo, copro anche i CARLO VIVE e soprattutto i TI AMO, quelli sono i peggiori, slanci di “creatività” che rappresentano sentimenti morenti.

Battaglia? Scaramucce da bontemponi! Innanzi tutto odio lo sporco e il disordine, quelle scritte sono oggettivamente brutte. Inoltre sono fatte da persone che non hanno cultura, ne ho più io sul argomento. Esempio: chi ha scritto TITO BOIA, secondo voi chi lo ha scritto aveva chiara la situazione dei Balcani ai tempi di Tito?  Sono dei poveretti con l’hobby per il nazionalsocialismo, quello tenero, quello delle frasi fatte da circolo combattenti e del “crediamo in qualcosa che altrimenti devo parlare dei compiti di scuola”.

Poi c’è da dire che sono parte di una performance artistica molto divertente ed utile. Se sapessero che con il loro rovinarmi i murales mi hanno donato per l’indignazione più di un terzo dei followers e che è solo grazie a loro che mi chiamano a sistemare altrettante scritte, molto probabilmente non avrebbero mai proseguito una guerra impari. Senza contare il fatto che per loro è controproducente, rovini un parco giochi per i bambini?!… è cattiva pubblicità per il loro movimento sociale. Però se avessero risposto sul muro in maniera adeguata, sarebbe stato anche interessante e la loro causa poteva sembrare anche meritevole di rispetto, ma così son strilli da cortile.”

“Loro hanno scritto TITO BOIA e tu hai fatto un wurstel. Questa frase è poesia”

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“La vera poesia è che sono tornati a riscriverlo, ed io ho aggiunto la salsa sulla scritta… te l’ho detto, per me è solo un assist, e sappi solo che non è la prima e non sarà l’ultima, e ti dico solo che è sempre finita con mie grasse risate. A livello mediatico perderanno sempre con noi writers, abbiamo creatività, mezzi e determinazione, loro hanno solo il branco e una bomboletta da ferramenta.

Comunque non c’è odio, ma compassione, con il nuovo anno ho resettato tutto e per me è pace.

– non sono cattiva, è che mi disegnano così (cit.) -”.

Ricapitolando: quelli di Forza Nuova ce l’hanno con i writer, di fondo, perché i writer sono promotori di libero pensiero, e manifestano quest’odio imbrattando i muri, cioè trasformandosi in writer della peggior specie.

Ciò che mi lascia tranquillo è che Cibo esiste, ha vinto, e vincerà sempre contro tutto questo.

“Ma quanto tempo ti occupa disegnare cibo, Cibo?”

“Beh è comunque il mio lavoro. A parte le cose che faccio gratis, in giro, ho collaborato con vari enti privati. L’importante è che quello che ti senti di rappresentare sia arte e che racconti una storia, non semplice decorazione, l’importante è che quest’arte ti porti a farti delle domande, non che abbellisca in modo sterile il luogo dove vivi.”

A questo punto, in misura molto maggiore e con un grado d’intensità ben più elevato, scopro che Cibo attua la mia stessa strategia, come pagamento dei suoi pezzi: come me, che vado a pranzo dalle persone che intervisto, Cibo si fa pagare in alimenti. E mai, mai come in quel momento davanti a quel piatto di riso con i bruscansi, ho trovato nel mondo reale una così forte incarnazione di una frase di “La Collina” di De André da farmi sorridere senza che i miei ospiti capissero fino in fondo perché.

“Sembra di sentirlo ancora dire al mercante di liquore, tu che lo vendi, che cosa ti compri di migliore?”

Cibo disegna cibo e si fa pagare (in parte) in cibo, perché tanto, con i soldi, null’altro gli interesserebbe così tanto quanto mangiare bene.

“Pensa se mi chiamassi Braghette avrei un armadio pieno di solo pantaloni! [LOL ndr]. La cosa che mi interessa di più al mondo è mangiare bene. Ho anche rifiutato dei lavori perché il cibo che mi offrivano mi faceva schifo, o perché la filosofia aziendale non era conforme a quello che vorrei io da una azienda agricola, o da un ristorante, ma per fortuna a Verona di solito mi va bene, perché Verona è rurale e il territorio è una risorsa.

“Fammi fare della filosofia, per favore.”

“Eccolo…”

“Ahah, dai. L’arte contemporanea si è fondata sul togliere agli oggetti comuni il loro grado di usabilità oggettuale per renderli immagine, per innalzarli alla loro forma più pura in un museo, senza nient’altro attorno. Dal water di Duchamp in poi…l’opera non è più rappresentazione della realtà ma un tentativo di mostrare la realtà nella sua forma assoluta. Tu mi metti in crisi con le tue opere, perché anche tu astrai dalla realtà ma il luogo dove disegni l’oggetto astratto è il luogo stesso dove l’oggetto esiste: penso agli asparagi. Non porti gli oggetti in un museo ma è come se con le tue opere marchiassi a fuoco sul muro una realtà nascosta perché troppo visibile, troppo comune, troppo abitudinaria.”

 “Sì il bello della street art è che ha senso solo in quel luogo e in quel momento preciso, non la puoi strappare dalla sua realtà e portarla in un museo. Non ha senso fare un murales dell’11 settembre a Belfiore, oggi. Il Cibo sta lì perché è lì che deve stare. E deve tornare a farci vedere qualcosa a cui siamo abituati, deve farci fare delle domande. Domande su un problema del cibo che deve andare oltre all’Expo e oltre a Farinetti… E l’altro lato bello è che le persone sono costrette a vedere i miei pezzi, in un certo senso faccio una violenza visiva e gli impongo un pensiero o un sorriso.”

“Certo, e soprattutto, come hai detto all’antipasto – credo – hai una grossa responsabilità: la gente che va nelle gallerie d’arte è educata e compie un gesto volontario, mentre tu devi arrivare ad ogni passante, anche alla signora Maria che va a prendere il pane la mattina.

 Vorresti lavorare in una galleria d’arte?”

 “Mi darebbe molti stimoli, certo, ma probabilmente lo farei solo per i soldi. Sai con i soldi che mi darebbero là cosa potrei fare? Alla fin fine io voglio guadagnare per mangiar bene e per poter comprarmi nuova attrezzatura con la quale fare opere gratis: come sto facendo negli asili (mi faccio pagare mangiando con i bambini in seggioline minuscole) e in una cooperativa sociale per i malati di mente. Se non porti l’arte a queste persone a cosa serve? Di solito la gente che si merita l’arte non può permettersela, rimediamo, no? ”

“Ma è tutto illegale, quel che vediamo in giro? Non rischi nulla?”

“Io vado nei luoghi vestito di arancione in pieno giorno, ed inizio a dare una mano di bianco. A quel punto i vecchiotti – perché ho coperto le tag o le svastiche sottostanti – mi dicono: “Brao giovane!”, pensando che io sia del comune, ma già cancellandogli le scritte gli stai simpatico. Poi inizio lentamente a disegnare e, di solito, ho trovato gente felicemente incuriosita.

  • Eh salve! Ghe piase el formaio? Belo belo giovane, almanco che lo veda visto che non posso maiarlo! –

Evito di dar fastidio comunque, a meno che il posto non si a ghiotto. Vado in posti abbandonati o rovinati, a volte mi informo sulla proprietà dell’immobile, proprietari sciatti lasceranno in rovina lo stabile e il mio disegno forse sopravvivrà!

“E non hai paura che succeda qualcosa di questo tipo?”

NEW YORK TIMES

“Bah, arrestato è una parola grossa. Non faccio niente di male…anche se potrei giocarmela bene in termini di pubblicità. In carcere però se la dovrebbero metter via eh, disegno anche col sangue: “non sono io che son chiuso dentro siete voi che siete chiusi fuori”. In prigione avrei una stanza con 5 superfici…non so se gli convenga!”

Di solito la gente che si merita l’arte non può permettersela, mi ha detto Cibo. Scoprendo come lavora e il progetto che sta portando avanti mi ha riempito la testa e il cuore di speranza. E io, che il cibo lo amo, che odio il fascismo e l’elitarismo, ho ritrovato in questo artista un tentativo di fare qualcosa di veramente concreto per le persone e per l’arte. Con lo stomaco pieno dell’amaro dei bruscansi e della grappa – sempre ai bruscansi – torno verso casa trattenendo in me una nuova definizione della parola americana “real” – nel senso di autentico –  e della parola “giusto”.

Grazie.

 

Risotto coi Bruscansi, il germoglio primaverile del pungitopo:

Scritta da Cibo:

“Amaramente racconto tra le mille spine della Val Galina, cotto e ricoverato in freezer assieme alla sua acqua di cottura utilizzata poi per il brodo. Un Risotto come vostra madre comanda:

soffriggi lo scalogno, tosta il riso, aggiungi i bruscansi, sfuma con vino bianco, cucina il riso con la giusta quantità di brodo, manteca con burro, “formaggia”, controlla il sale e impiatta. Per Il digestivo, i medesimi bruscansi messi a dimora nella grappa, accompagnano il caffè e il dolce. Per concludere la giornata in maniera coerente, Murales a tema asparagi, i “parenti da aia” dei bruscansi. Inutile dire che tutti i prodotti arrivano da luoghi che posso osservare con un binocolo, tranne il burro che amo quello chiarificato tedesco da allevamenti sostenibili il cui latte è munto solo per fare burro.”

Sockeye – interviste al sugo controcorrente. Una volta al mese pranzo con artisti e salmoni vari di Verona, chiacchiero, mi faccio grandi scorpacciate e poi vi racconto la loro vita, la loro quotidianità e la loro cucina.