Marco Favero - Hammer Head
Quando pensiamo ad un artigiano, la prima cosa a cui pensiamo è un falegname stile Geppetto. Occhio di vetro, baffi pregni di nicotina e un fantoccio di legno da usare come amante nei momenti di solitudine.
Eppure nella felice cittadina di Villafranca di Verona (esatto, dove Satana in persona ha suonato poco tempo fa), vi è un giovane artigiano che non si occupa di costruire mobili o sedie, bensì computer.
Si chiama Marco Favero, in arte Hammer Head, ha 21 anni e un debole per la tecnologia.
Con grande gentilezza, alla richiesta di una piccola intervista, si offre subito di ospitarci nel suo piccolo laboratorio.
Mie domande in grassetto.
Come ti è venuto in mente di cominciare?
Io ho iniziato 5 anni fa a costruirmi il primo computer per giocare ai videogames; poi mi sono reso conto che mi piacevano di più i computer di quanto non facessero i giochi.
Le macchine mi danno soddisfazione: sono una persona molto puntigliosa, e i computer hanno bisogno di precisione e concentrazione per essere costruiti.
Nel panorama italiano c'è poca gente che fa quel che faccio io e quelli che lo fanno non si pubblicizzano particolarmente bene e indirizzano il loro mercato agli enthusiast: persone che mediamente giocano solo ai videogiochi, che non utilizzano al meglio le proprie macchine.
Poi trovi in Italia un ingegnere che fa simulazioni nelle gallerie del vento ed usa programmi pesantissimi con dei pc a mio avviso disdicevoli.
Quindi il tuo obiettivo è riuscire a fornire una buona macchina a chi ne può fare un buon uso?
Esatto. Più avanti mi piacerebbe arrivare ad avere una mia linea in piccola serie, per mantenere le macchine a stampo artigianale.
Il difficile è far capire alle persone perché un computer dei miei costa tanto rispetto a quelli che si trovano in negozio.
I materiali, la cura e la precisione, la customizzazione... Per me è importante che il cliente sia soddisfatto, che le sue aspettative vengano esaudite: e questo per me è una sfida! Non sai quanto è bello dover affrontare i problemi che si presentano durante il lavoro; dalla gestione dello spazio alla ricerca della componentistica.
Passavo le serate ad overclockare invece di uscire la sera.
Quanto è importante il design nel tuo lavoro?
Molto. Ci metti del tuo, ed ogni macchina ha un fattore estetico preponderante.
Macchine belle dentro e fuori.
E ho un progetto in mente che probabilmente a causa del suo costo realizzerò fra una decina d'anni.
Voglio prendere un blocco di marmo e farlo scavare dentro per inserirvi la componentistica interna; in modo tale da avere un cubo di marmo senza nulla, tasti, mouse, niente.
Il bello di questo progetto è che tu hai questo monolite di fronte a te che non sai cosa sia: non è un computer, non è un pezzo di marmo...
... è AL9000?
Mentre parla, la passione e la dedizione di Marco penetrano in ogni singola sillaba del suo discorso.
Sembrava di sentire l'aria vibrare di conoscenza.
Poi, ad un tratto, come un fulmine a ciel sereno, si è fatto strada in me un pensiero.
Proprio in questo periodo, caso vuole che io stia leggendo Frankenstein.
Tutti noi più o meno ne conosciamo la storia: ossessionato dalla ricerca dei segreti della vita, Victor Frankenstein si è spinto dove l'uomo, secondo la visione del tempo, non avrebbe dovuto spingersi dando vita ad un essere abominevole assemblato con parti di cadaveri.
La triste vicenda del libro suggerisce l'assurdità di voler tentare di sostituirsi a Dio, ammesso che ne esista uno.
Ma cos'è un computer, se non un essere assemblato, freddo e privo di sentimenti come lo era il mostro di Frankenstein?
Che differenza c'è fra Marco e lo scienziato?
Frankenstein voleva darci una lezione di etica: il mostro si ribella al padrone perché ha voluto troppo; ma questa volta il nostro giovane "Geppetto" ci ha dato una contro-lezione: la sete di conoscenza, la dedizione e la passione non creano mostri, ma opere d'arte.
www.youtube.com/watch?v=wKem_4djcjU
Beci Beci
Salmonello
Per interviste scrivere a raulfabioriva@gmail.com
Non Temere Antropos - La musica secondo Salmonello
Che cos'è Non Temere Antropos?
Un gruppo eterogeneo, come amano definirsi i componenti.
Un focolaio di post-modernismo, come preferisco vederli io.
Più precisamente sono Lorenzo Visco alle chitarre e basso, Giacomo Dal Forno basso e chitarra, Riccardo Scaioli al sax e Tiziano Girardi alla batteria.
Ho sempre ammirato quelle band che sono state in grado di trovare un compromesso fra la propria identità e i gusti delle masse.
Il bassista dei Red Hot Chili Peppers, Flea, riferendosi alla propria band, ha dichiarato "dopo la morte di Hillel Slovak (ex chitarrista) entrarono John Frusciante e Chad Smith. (...) Con questa formazione, diventammo quattro parti di un qualcosa completamente diverse fra loro ma tutte con lo stesso desiderio. Se ci fossero stati quattro poli sulla Terra ognuno di noi verrebbe da uno diverso rispetto all'altro".
Incuriosito da questo melting pot musicale, ho deciso di passare con loro una giornata per conoscerli meglio, approfondire i loro gusti e carpire quale desiderio comune li spinge verso un'unica meta.
Oltre alla droga, intendo.
Partiamo a mezzodì in macchina per avviarci verso quella che sarà la location delle riprese del videoclip, nonché casa della nonna di Valentina, la ragazza di Niccolò, il produttore musicale dell'album dei Non Temere Antropos. Sposato con Brooke, ex di Ridge, già nuora di Quinn.
Dobbiamo arrivare sul Monte Cucco, a Sezano: il tragitto è lunghetto, ed io non sopporto la macchina.
A distrarmi dal mal d'auto ci pensano le chiacchere di Nic che mi parla dei suoi progetti musicali e di un piccolo festival che vorrebbe organizzare. Inoltre, ad attenderci, c'è l'ambito caffè di nonna Imelda: leggenda narra che per macinarlo ci voglia la forza di mille uomini e che i chicchi provengano dalle lontane Indie, luogo di perdizione e di selvaggi uomini dalle teste bitorzolute.
Non appena arrivati nascono i primi problemi:
"Ma non avete pranzato?"
"Se l'avessi saputo sarei venuto già mangiato!"
Giammangiato, un film di Maccio Capatonda.
"Ma non avete portato l'amplificatore da chitarra?"
"Non lo dovevo portare io..."
Forse un po' sbadati, ma musicalmente eccellenti: vedere per credere.
https://www.youtube.com/watch?v=bq6LcDO_cSU&feature=youtu.be
Dopo aver girato il videoclip, smontato il palchetto e esserci rifocillati con il delizioso farro alle zucchine preparato da Valentina, registratore alla mano e parto con l'interrogatorio.
Cosa fanno gli NTA?
Non Temere Antropos produce musica eterogenea, perché è eterogeneo ed ogni componente introduce le sue influenze ed i suoi trascorsi musicali.
Come mai vi chiamate Non Temere Antropos?
-È il nome del wi-fi del mio vicino, che viene puntualmente bistrattato dalla moglie che lo chiama stronzo, lo mena pure... lei è super-mega avvocato di estrema destra; lui è impiegato di banca e lo vedo uscire tutte le mattine,e sta male, nella sua utilitaria in giacca e cravatta, arrabbiato che non sa perché va al lavoro... E l'unica cosa che ha potuto scegliere è il nome del wi-fi che è Non Temere Antropos, un'esortazione a sé stesso: in questo mondo in cui vai a casa, ti prendi le parole...
-... e non sei sicuro, non sei minimamente felice nemmeno a casa tua.
- Non Temere Antropos vuole essere un'evasione.
... E pensate che questa storia sfocierà in un omicidio?
-Non lo so, ma un posto nel freezer lo tengo sempre libero per un pezzo di moglie.
Con una parola a testa, potete dirmi da quale genere provenite? Così cerchiamo di mettere insieme i pezzi del puzzle.
-È più complesso di così... Però diciamo che vengo dal progressive metal e rock.
-Io suonavo alt rock italiano.
-Ambient. E anche classica.
-Una sola parola? Grunge.
Una band progressive alternative ambient grunge.
Nemmeno il più esperto degli alchimisti sarebbe in grado di mescolare questi generi.
Questo è il bello della musica. Abbatte le barriere, appiana le divergenze ed unisce i cuori verso un'unica meta.
SALMONELLO
Vendo biglietti per Giudi & Quani
Lo scorso weekend è stato un momento tanto atteso quanto snobbato da ogni salmone amante della musica. Contraddistinto da compra-vendite online di biglietti, un caldo che nemmeno gli altiforni di Murano e l'angoscia dovuta ad un temuto attacco terroristico sventato dagli impeccabili omini con il giubbotto catarifrangente, l'I-Days di Monza è stato un tripudio di emozioni.
Un discorso a parte merita la distanza da percorrere dall'entrata del parco all'effettivo ingresso del festival: credo che se ci fossero stati veramente degli attentatori a metà strada si sarebbero fatti saltare piuttosto che dover camminare così tanto. Tre chilometri a piedi sotto il sole cocente, autobus carichi di persone da far invidia ai peggiori treni di Nuova Delhi, bagarini che tentavano di appioppare gli ultimi biglietti rimasti invenduti, vucumprà abusivi che gridavano “COCCOBBELLO COCCOFRESCO”… sembrava di essere i protagonisti di un documentario di National Geographic Channel. “Ed ecco l'uomo, mammifero seminomade del Borneo Meridionale, che migra verso il suo luogo di ritrovo.”
Idiozie a parte, non sono mancati i grupponi: tra le grandi star internazionali che hanno calcato il palco del festival ci sono stati Rancid, James Blake e Radiohead. Gli altri è meglio non ricordarli... Ad accompagnare i colossi da big money, con grande sorpresa, ho scoperto che ghe n'era anca una de Verona: parlo del duo soul-punk Giudi & Quani, formato da Giuditta Cestari, batteria e voce, e Francesco Quanili, alla chitarra e voce.
Avevo già avuto il piacere di sentirli all'opera in occasione della festa universitaria di Santa Marta rimanendo piacevolmente colpito dal loro brio e tecnica. Strabiliante è il modo in cui Giuditta riesce a suonare la batteria e cantare contemporaneamente. A coronare la performance tecnica ci pensa la sua voce roca e graffiante, tipica del blues sporco e del rock acido anni '90. Francesco è un ottimo chitarrista: le sue esecuzioni sono impeccabili ed il suono della sua chitarra è impastato e fuzzoso al punto giusto.
Il duo veronese ha fatto vedere i sorci verdi a tutti quelli che pensavano che gli head-liner della serata sarebbero stati Thom Yorke e la sua cricca i quali, dopo aver suonato Fake Plastic Trees, Creep e Karma Police una dietro l'altra, avrebbero meritato solo sassi e sputi.
Pochi giorni dopo il festival scrivo a Giuditta per incontrarci in Piazza delle Erbe e dirigerci in un baretto. Seduti al tavolino, iniziamo la ciacolata:
“Da quanto suonate assieme?”
“Da un anno e mezzo. Entrambi suoniamo da tanto tempo: lui suona nei Masons e in una tribute band dei Pink Floyd, i Divisionband. Io arrivo da parecchi anni di rock'n'roll; suonavo in una band chiamata Best Before End e contemporaneamente porto avanti un gruppo chiamato Lord Byron e le sue Amiche Ruspe. Adesso abbiamo questo progetto che ci sta prendendo bene, ci divertiamo.”
“Com'è la formazione a due?”
“Beh, è una sfida: devi riuscire a creare l'energia anche per i componenti che mancano. E a me piacciono le sfide.”
“Mi ricordate molto i White Stripes.”
“Francesco è un grande fan di Jack White!”
“Fate solo cover?”
“No, abbiamo anche pezzi nostri: in autunno vorremo registrare, avere un album nostro con le nostre canzoni. Non sappiamo dove lo registreremo, ma le idee ci sono.”
A Giuditta piacciono le sfide, lo skateboard, il punk e la musica soul. Se volete saperne di più sul suo conto, sui loro concerti e progetti futuri vi consiglio di ascoltare l'intervista audio nel player qui sotto.
Se invece volete saperne di più sul mio conto, andate nel bagno della stazione di Porta Vescovo: il numero in alto a destra con su scritto “Manolo” è il mio.
Con affetto,
Salmonello
Le frequenze disturbanti
Una coscienza con le cuffie; un grillo parlante bastardo e cinico, che ti sbeffeggia per ogni cosa tu faccia o pensi. Si incazzano se dici loro che fanno rap o noise.
Non vogliono essere categorizzati in nessun genere, forse perché uno non basta.
Devono riempire i vuoti con parole, suoni e immagini più o meno disturbanti e torrenziali, proposte con una veemenza a tratti ripugnante. Sono un gruppo che fa emergere il tuo lato masochista: ecco perché tutti coloro che li ascoltano un po' li odiano e un po' li amano.
Ecco cosa sono gli Uochi Toki, band alessandrina composta da Matteo “Napo” Palma (voce, disegni e testi) e Riccardo “Rico” Gamondi (Elettronica).
I loro concerti sono un vero trip, vedere ed ascoltare per credere. (partire da 1:04).
Ho avuto il piacere di poter chiacchierare con Rico, lo smanettone: quello che usa le macchine per capirci. Ci parla del progetto fumettistico in cantiere, del loro rapporto con la musica e con la tecnologia: il tutto ben scandito da excursus filosofici che vertono alla ricerca di un piacere nel creare quasi fine a sé stesso.
Bella djente e belli salmoni, consiglio caldamente di ascoltare la loro intervista nel player qui sotto per capire di cosa parlo.
Se non vi basta l'intervista questa sera si esibiranno al Colorificio Kroen, in via Pacinotti 19 a Verona.
Ci vediamo lì.
Stay Salmon
Salmonello
Del Ghosting, o dell'arte di essere stronzi
Dissertazione ragionata su una pratica quanto mai diffusa
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Non so se qualcuno oltre a me se n'è accorto, ma pare sia tornato di moda il fatalismo dannunziano di inizi '900.
Tutti gli ubriaconi da osteria hanno finalmente una scusa per sentirsi veri e propri bohemien.
E questa moda, che sembra colpire soprattutto coloro che hanno deficit di vitamina B12 (esatto, ce l'ho con voi vegani), ha come incubatore primario internet, luogo deputato a discarica dei pensieri di tutti.
È bastato poco: qualche canzone dei Joy Division, un corso accelerato di filosofia su Wikipedia, overdose di Twin Peaks e... SBAM!
Tutti vestiti di nero, tristi e mogi, coi risvoltini e le scarpe da beccamorto, nonché una spocchia da finto intellettuale.
C'è però un modus operandi che negli ultimi anni si è insinuato a tutti i livelli sociali, rendendo ancor più sgradevole il mondo dell'internet e le sue mode: parlo del fenomeno del Ghosting, ossia “la finissima arte del dileguarsi”.
Sembra essere nato fra le celebrities dello star system hollywoodiano; il caso più eclatante è quello di Charlize Theron che troncò la relazione con Sean Penn, sparendo da un giorno all'altro.
Negli strati più bassi della società questo comportamento è stato lentamente trasformato in "visualizzo ma non rispondo".
Mollo la conversazione lì, senza spiegazioni apparenti.
E sinceramente, quanti di noi hanno lasciato in sospeso una risposta per il puro piacere di farlo?
Se tu che stai leggendo questo articolo non hai mai fatto l* stronz*, allora chiudi la pagina e vai a leggere l'oroscopo, che è meglio.
In caso contrario, stai pronto: arriva un bel suppostone.
Subendo a mia volta questo tipo di comportamento passivo-aggressivo, ho capito quanto frustrante potesse essere aspettare per ore o per giorni una risposta che poi non arriva mai.
Che questo qualcuno sia il/la superiore al lavoro o il/la vostra schiavo/a sessuale non importa; voi vorreste avere una risposta subitanea, senza attesa di sorta; e quando questa risposta non arriva le strade sono due: o sono impegnato con qualcosa che mi distrae dall'attesa, o iniziano le paranoie.
“Eh, ma perché non risponde? Magari ho detto qualcosa di male.”
Questo interrogarsi sui propri errori è un comportamento molto controproducente quando l'altr* ci lascia privi di risposta.
Berger e Luckman, sociologi ed autori del libro “La Realtà come Costruzione Sociale”, spiegano come il mondo abitato da noi uomini di tutti i giorni non sia altro che un insieme di segni usati per convenzione in modo da poterci muovere meglio nella realtà caotica circostante. In parole povere, come riassume il titolo del loro testo, l'uomo crea la realtà in relazione con altri uomini per non perdersi nei propri pensieri.
Senza società l'uomo sarebbe smarrito, lasciato a se stesso ed incapace di orientarsi nel mondo di tutti i giorni.
Quando conversiamo con una persona, creiamo un microcosmo fatto di segni e di ciò che abbiamo imparato durante le precedenti socializzazioni: ci salutiamo; magari chiediamo “come stai?” quando in realtà della salute altrui ce ne frega men che nulla: ma è educazione farlo.
Per essere parte di questo mondo o quel mondo diventiamo educati e rispettiamo una serie di schemi.
Se la persona in questione, aiutata dalla distanza virtuale, sparisce o ci lascia in balia del dubbio, scattano quei meccanismi di difesa psicologica attraverso i quali cerchiamo di tenere in piedi il microcosmo che stavamo creando.
Cerchiamo degli sbagli nel nostro approccio tendendo a dare un senso agli avvenimenti, quando magari è solo quell* dall'altra parte del telefono che vuole fare l* stronz*.
O magari è solo impegnato a fare altro, visto che non ci siamo solo noi nel mondo.
Cosa fare allora, quando subiamo del ghosting più o meno intenzionale?
Stappatevi una birra se siete astemi, iniziate a fumare se non fumate, mangiatevi le unghie se ancora ne avete, andate a correre se siete in sovrappeso.
Insomma, fate qualcosa di diverso, muovetevi, non aspettate che la vita vi dia segni. E non cercatene dove non ce ne sono.
SALMONELLO