Ciao Zio!
Era il 2014, 20 Giugno probabilmente.
L'Immensità ti porterà dove sei già
Non c'è un'età per ridere, per piangere, per vivere
Non è il momento per smettere di esistere, di esistere"Gioia" da Deserto, C+C=Maxigross
It was 2014, 22nd June probably,
Nearby San Rocco di Piegara, on some land that someone had lent out for the first Lessinia Psych Fest.
It was late, it was dark, the stage was a low platform of sorts and the audience was right there close to the stage, as if the usual distinction between the two roles had been removed. In the background, really close to the stage there were some trees lit up with the odd spotlight.
When Miles Cooper Seaton when on stage it was late, everything was running late. I didn’t know much about him, except for the fact that he played with The Akron/Family. An American band that was strange and undefinable, that had played at Interzona. The name Family was to become a sort of prophecy…
So, there he was, in the cosmic middle of nowhere. Not at Coachella where you might have expected to see him, but in San Rocco di Piegara, Lessinia.
His guitar in the darkness; that incredible sound, a mix between the thick blade of a Saracen saber and Father Christmas’ warm Lapland scarf. A crazy mix of rare beauty; a cut to the heart of indescribable power and warmth. A sound I’ve not heard matched to this day.
And then the voice. He wasn’t tall, he wasn’t big, he wasn’t famous for his vocal talents. You wouldn’t have expected that he was able to produce such a deep, low, and powerful voice. Warm like that grandfather’s blanket in front of the fire, a feeling we all know. Yet that night he was able let out that sweet cry that seemed to travel far and wide.
It was 30-40, maybe 50 unforgettable minutes, a rare intimacy with Miles, who, in the dark of that night, with the classic Lessinia breeze moving the branches of those trees in the background, took us somewhere else. It was more than just a musical performance. It was a magical ritual that carried us all to a place where we were all joined as one. A family.
Trust me, it’s difficult to put into words, but it was unforgettable. An indelible memory.
This was Miles Cooper Seaton.
From that moment, together with his past experiences in Verona (thanks to the fantastic Interzona family) something unique had begun.
He was in New York, Brooklyn to be exact, right when it seemed like everything was happening there.
He travelled the world thanks to his music.
He then moved to Los Angeles, in California.
He then chose to come and live in Verona, yes him.
It was a revelation. Someone, but not just anyone, not from here, jerks you and says “but don’t you realise where you live?!”.
Here he was welcomed into a new family, one with the same name as a supermarket. An extended family, made up of friends, acquaintances, parents, grandparents, admirers and the list goes on.
And that’s how we ended up meeting this American who was like a mirror for us, who chose Verona for the way we are. Just think what that meant for us ‘salmoni’!
And it’s here that he spread his unending curiosity for humanity in every shape and size: he wanted to know everyone, he wanted to talk to everyone. From the market in Piazza Isolo to our local intellectuals, from other local musicians to the farmers from the ‘bassa’, from the neighbour next door to the trendy artist, from Nareth to the Casa del Raviolo. An unending curiosity that was also seen in his cooking experiments: ‘lo zio’ (uncle, in Italian) became his nickname in his new family, he was maestro of the dips and salsas: a bit American, a bit Moroccan, a bit Asian etc etc. Not forgetting the thousands of different versions of hummus that he explained to you in his constantly improving Italian.
In between all this, obviously, lots and lots of music, including the launch of a solo album, not in Los Angeles, not in New York, not in Seattle, but in Verona. In a deconsecrated church: at Santa maria in Chiavica with a handful of musicians accompanying him, from Sardinia to Senegal, passing by Saval on the way. More of a ceremony than a concert. Again, another magical moment lit up with hundreds of candles that surrounded him. Because he was in the middle with his guitar and his voice. In the middle of his big family.
Miles left Verona exactly one year ago, to go back to Leanne in Los Angeles, leaving almost everything behind.
Last night Miles left and went to a different place entirely.
Wherever he goes, he is leaving behind families that are thinking of him and will do always.
Thanks, Zio.
OROSCOPO MARINO 2021
Dopo il 2020, nessun astrologo sano di mente si metterebbe a scrivere un oroscopo del 2021 … ma noi, vecchie volpi del mare, non abbiamo nessuna paura di fare previsioni. Siamo abituatissimi ai cambi d’idea delle maree, agli sversamenti di petrolio, alla microplastiche, a glaciazioni e perfino allo scioglimento dei ghiacci: cosa volete che ci spaventi? Una pandemia? PFUI!
Ecco che allora la Zia Salmona vi prepara l’oroscopo marino del 2021!
AR(IET) INGA
Banchi di nebbia sul futuro degli amici nati sotto il segno dell’aragosta. No, non perché c’è incertezza ma perché pare che resterete in pianura padana ancora per un po’. Abbiate pazienza, arriverà presto una corrente dal mare del Nord che vi riporterà a viaggiare.
TO(RO) NNO
In questo funesto anno, i nati e le nate sotto il segno del tonno hanno imparato a non spezzarsi più con un grissino. Ora non vi resta che allenare le vostre pinne gialle per solcare i mari del 2021, facendo sempre attenzione a non finire sott’olio.
G(EME) AMBERELLI
Anche nel 2021, gli amici del segno dei gamberi faranno marcia indietro. Un passo avanti e due indietro, un mano alla cintura ed una alla cabeza: tanto varrà mettere su un hullygully ( o se gradite, un po’ reggaeton) ed attendere tempi migliori.
CANCRO o per gli amici, GRANCHIO
Piccoli granchietti del mare, sgranchite le chele! E’ ora di dare una bella pizzicata a quelli che vi hanno scassato il carapace e a quelli che cercano in tutti i modi impanarvi le chele e metterle nel fritto misto.
LEONE MARINO
Cari Leoni marini, la conoscete la barzelletta del tricheco dalla lunghe zanne che starnutisce?
Per il 2021, studiate l’arte comica ed il cabaret … e terrete banco nelle riunioni di famiglia virtuali come un vero showman del mare.
V (ERGINE) ONGOLA
La vongola non passa mai di moda, inutile negarlo. Spiace perché le restrizioni del 2020 non hanno permesso alle vongolette del mare di schiudersi e far ammirare la loro perla. Abbiate pazienza verranno tempi migliori!
(BILANCIA) | BALENA
I nati sotto il segno della balena, ma soprattutto quelli nati “in cu** alla” suddetta, saranno decisamente baciati dalla fortuna. Salutate Giona e Pinocchio e nuotate veloce verso un roseo futuro!
S(CO) STORIONE
Che sia il 2020, il 2021 o il 1964, lo storione la spara sempre grossa: non credete ad una parola di ciò che vi dirà. E a voi, che invece storioni ci siete nati, dico: per il 2021 ridimensionatevi.
SAGITTARIO
Se nello zodiaco è mezzo uomo e mezzo toro, nel mare lo trovate mezzo gamberetto e mezzo polipo. Nel 2021 queste creature semi-mitiche, proto-divine, ittico-ancestrali vedranno l’avvento di un periodo magico che speriamo si riveli contagioso.
CAPRICORNO DI MARE
Il Capricorno di mare, un po’ come quello di terra, non è molto incline alla monogamia: fa e riceve corna con una sportività olimpionica. Nel 2021 non cambierà nulla e se tutto va bene, potrà tornare alle sue scorribande su Tinder.
ACQUARIO
Male. Ricordate che vi parla un pesce: chi finisce nel segno dell’acquario, finisce in una prigione.
PESCI : il “varie ed eventuali” del mare.
Se non vi piace nessuna delle previsioni precedenti: buttatevi nei pesci. Sappiate che per la legge ittica e le convenzioni è oceaniche è legale cambiare segno e non si deve nemmeno andare all’anagrafe.
Ai pesci quest’anno andrà tutto bene, benissimo, splendidamente.
Sarà una figata: lavoro, amore, famiglia, forma fisica, salute … potreste anche vincere alla lotteria, se desiderate giocarci.
No, non è vero.
Cioè, non è che non sia vero … è che non lo so, né io, né Paolo Fox, nemmeno la scienza. Nessuno lo sa. Però nel dubbio: meglio crederci.
Veronacontemporanea - Restart 2020
Veronacontemporanea nasce nel 2019 come una rubrica per segnalare eventi e iniziative culturali che riguardano l’arte contemporanea. Una rassegna di nomi, luoghi, opere da vedere, festival, fiere ed eventi a cui partecipare, per un pubblico sensibile e curioso.
Festival, fiere ed eventi sono mutati, e per i futuri mesi saranno sicuramente molto diversi da quelli che abbiamo fino ad ora raccontato.
Così come tante realtà, anche noi di Urbs Picta, ci siamo presi del tempo per riflettere su come aggiornare Veronacontemporanea.
Abbiamo cercato di capire durante questa pausa, in questi mesi di “sospensione” del mondo, come la nostra città ha reagito e come le realtà dedite all’arte contemporanea, come gallerie, spazi culturali e musei, si sono adeguati a questo cambiamento.
Abbiamo anche capito più chiaramente uno dei nostri obiettivi: rompere con il modello della galleria destinata a pochi iniziati, cancellare quell’ invisibile barriera di diffidenza ed esitazione che separa ancora una buona parte di cittadini dall’arte contemporanea. La nostra volontà è quella di far uscire l’arte dai luoghi d'élite, di farla conoscere più da vicino ed avvicinare così chiunque vuole fare un’esperienza culturale.
Un esempio illuminante e modello su cui riflettere, è ciò che sta avvenendo nella città di Bologna con GALLERY TO GALLERY: una nuova modalità di visita guidata (iniziativa che si chiuderà il 24 Luglio 2020) che vede protagoniste sei gallerie della città di Bologna. È un progetto collaborativo che invita a prenotarsi per un tour nelle gallerie e spazi espositivi non prevedibile; In base al tempo a disposizione del viaggiatore viene costruito il percorso, condiviso solamente una volta arrivati alla galleria di partenza: dove terminerà l’inedito pellegrinaggio?
Vi condividiamo le parole dei galleristi che più ci hanno ispirato: Gallery to Gallery “è un invito all’azione per incoraggiare le persone a riattivare lo sguardo e guardare l’arte dal vivo in un periodo di totale allontanamento dall’esperienza fisica e di fruizione degli spazi espositivi, è un invito a consumare l’arte attivamente e a tornare a vivere la galleria come luogo di scambio culturale. Questo progetto di collaborazione si è sviluppato dall’idea di celebrare l’esperienza dal vivo e segna anche la riapertura delle rispettive attività espositive dopo più di due mesi di chiusura.”
“Sebbene difficile questo è il momento per sottolineare la nostra presenza in città, le basi della nostra professione e l’impegno verso la comunità. Da anni supportiamo i nostri artisti attraverso la diffusione e la promozione di progetti sempre più ambiziosi, contribuendo in maniera costante alla scena culturale nazionale e internazionale. Il sistema arte fatto di tantissimi attori - curatori, assistenti di galleria, allestitori, consulenti, uffici stampa - è in una situazione di estrema fragilità, e per questo il mercato è oggi più che mai indispensabile per la sopravvivenza degli artisti, il supporto alla produzione e l’intero sistema”
E noi, a Verona, come stiamo reagendo a questa crisi?
Qualche galleria ha deciso di riaprire e ripartire subito, c’è chi invece ha cercato di colmare il vuoto attraverso una progettualità virtualizzata o con un diverso uso dei social, e chi infine ha deciso di essere cauto e prendersi del tempo per pensare o rivedere i progetti dell’anno 2020.
GALLERIA ARTERICAMBI ha aperto il 18 maggio lavorando con le opere della collezione online, riservando delle private view a clienti mirati su opere del loro magazzino. Stanno inoltre preparando la doppia personale di Donata Lazzarini e Bruno Muzzolini che verrà presumibilmente inaugurata a settembre.
STUDIO LA CITTÀ ha riaperto i battenti il 19 di maggio permettendo al pubblico di visitare le mostre Vetro e Aleph, personale di Massimiliano Gatti. Hanno programmato inoltre delle visite guidate con prenotazione obbligatoria il venerdì e il sabato.
Per chi non se la sentisse di andare fisicamente in galleria, la mostra Vetro è comunque visitabile virtualmente con la voce guida di Hélène de Franchis, a questo link: http://studiolacitta.it/mostra-in-corso/
LA GALLERIA LA GIARINA torna con prudenza alla normalità dando la possibilità di vedere su appuntamento la mostra presente in galleria, Non c'è più orizzonte, a cura di Luigi Meneghelli, con gli artisti Abbas Kiarostami, Andrea Bianconi, Alex Pinna, Ehsan Shayegh e musiche di Moein Fathi (è stata prorogata fino al 2 settembre).
La Giarina è una galleria molto attiva sui social, e per questo vi consigliamo di seguirla e vedere i video di backstage con i protagonisti della mostra che si raccontano o ragionano sul significato dei loro lavori.
L’attività di FONDERIA 20.9 è al momento in stand-by anche se la voglia di ripartire è tanta. Purtroppo sono molti i progetti saltati: una mostra a New York, un festival di Fotografia Europea, un evento a Montpellier dove erano stati invitati come lettori. Inoltre, La residenza di SÅM, prevista nel mese di maggio, per il Film Festival della Lessinia di cui da diversi anni Fonderia si occupa, è stata posticipata al 2021.
Francesco Biasi, presidente dello spazio culturale ci racconta: “Siamo convinti che, al di là delle produzioni spontanee e comprensibili di questo periodo, ci sia la necessità da parte di tutti, artisti e curatori, ma anche fruitori in generale, di riflettere a fondo su come la fotografia e l’arte debbano relazionarsi con questa nuova situazione.
Sarebbe bello che la produzione che uscirà come risultato di tutto questo, sia in questi mesi e anni, qualcosa di utile non solo a comprendere ma anche a ricordare come siamo arrivati qui. Sarebbe bello che la fotografia - e l’arte - ci aiutassero a non commettere gli stessi errori, con quella capacità propria della sensibilità artistica di toccare la nostra vita a 360 gradi.”
Ha riaperto a SPAZIO CORDIS, EURAMIS, la mostra personale di Giulio Squillacciotti, artista, regista e ricercatore il cui lavoro si basa sull’indagine di narrative possibili, che includono la sofisticazione di eventi reali di matrice storico-antropologica, la rielaborazione degli apici culturali e la maniera in cui le tradizioni assumono nuove forme cambiando contesto.
Il 21 luglio alle 18.30 segnatevi un appuntamento imperdibile: Valeria Marchi introduce e media un talk di chiusura della mostra con vari ospiti speciali.
Spazio Cordis ha dunque ripreso la sua attività e così anche la sua progettazione: vi anticipiamo che tra ottobre e dicembre ci sarà Ornaghi & Prestinari e Simona Andrioletti.
PALAZZO MAFFEI, il nuovo museo di Verona, nato dall’esposizione della Collezione Carlon, era stato inaugurato pochissime settimane prima del lock down ed è attualmente ancora chiuso. Con molta probabilità verrà riaperto a settembre e siamo sicuri che questo periodo di chiusura ha permesso di attuare novità e nuove interpretazioni che potremmo vedere alla riapertura.
SANTAMARTA - CONTEMPORANEI CONTEMPORANEE - la Collezione di Giorgio Fasol al Polo Universitario di Santa Marta non è ancora visitabile, è tutto in stand-by vista la chiusura dell’Ateneo. Rimane attivo il “Gruppo dei contemporanei” ossia gli studenti che si occupano di tenere attiva la mostra, ma di fatto non è possibile riprendere con le visite guidate. Vi segnaliamo però la recentissima apertura di “Contemporanea”, una piattaforma transdisciplinare legata alla mostra, dove alcuni docenti hanno realizzato degli approfondimenti.
La GALLERIA D'ARTE MODERNA ha riaperto il 27 giugno con una nuova mostra “La mano che crea. La galleria pubblica di Ugo Zannoni (1836-1919) scultore, collezionista e mecenate”. Questa mostra offre uno studio dedicato all’artista e al tema del mecenatismo che ha portato alla nascita delle collezioni civiche della Galleria d’Arte Moderna. Ugo Zannoni è uno dei maggiori scultori dell’Ottocento veronese che tra il 1905 e il 1918, donò ai Musei Civici veronesi la sua cospicua collezione di opere d'arte, contribuendo così a gettare le basi per la costituzione di una Galleria d’Arte Moderna a Verona. ll punto di avvio del progetto, curato dal direttore dei Musei Civici Francesca Rossi - affiancata da un comitato scientifico composto da Maddalena Basso, Camilla Bertoni, Elena Casotto, Tiziana Franco, Sergio Marinelli, Patrizia Nuzzo e Pietro Trincanato - ha coinvolto gli studenti dell'Università di Verona, del Dipartimento Culture e Civiltà e dell'Accademia di Belle Arti di Verona, con una modalità di approccio partecipativo, collaborando con lo staff nelle attività di cura delle collezioni, partecipando a laboratori di alta formazione per la produzione artistica e la professione museale e alle metodologie di gestione del patrimonio culturale (catalogazione, restauro, mediazione culturale).
BRIDGE FILM FESTIVAL, da un'idea di Diplom Art e in collaborazione con Canoa Club Verona, non smette di sognare e a sorpresa si conferma la settima edizione con tre giorni di proiezioni da tutto il mondo, con documentari, cortometraggi, film d’artista sperimentali presso l’Antica dogana di FIUME quartiere filippini. Un’edizione di resilienza e resistenza.
“Il tema di quest’anno - ci racconta Ginevra Gadioli - è la Generazione Z; i cosiddetti Homeland sono i successori dei Millenials, figli del primo millennio, nati dopo il 1997 e primi “Nativi digitali”. Sono cresciuti tra smartphone, Tablet e schermi al plasma che hanno approcciato spontaneamente senza doverne leggere le istruzioni; una generazione destinata a rimanere a casa, senza più la voglia di partire e andare in giro per il mondo perché nati in un mondo già globalizzato che non ha orizzonti né confini che li possa ostacolare, né barriere di connessione? I loro guru sono gli influencers e gli youtubers, intrecciano relazioni e si documentano nuotando nell'immensità della rete che per loro è più rassicurante e protettiva di una realtà che potrebbe portare delusioni emotive e psicologiche. In questa settima edizione del Bridge Film Festival 2020 ci piacerebbe conoscerli meglio e capire se sono veramente così come si descrivono; sulle rive del fiume Adige vogliamo osservare e connetterci con il loro che è anche il nostro mondo.”
Il programma completo, gli eventi collaterali, la giuria di selezione e tutto quello che c’è da sapere per fruire delle proiezioni in sicurezza e serenità cliccate qui.
Verona insomma non ha bisogno di nuove realtà; di realtà che sono ripartite e che stanno capendo come farlo nel migliore dei modi, come avete visto, ce ne sono parecchie. Quello che manca è forse quell’unità, quella collaborazione, quella solidarietà che altre città, come ad esempio Bologna, aveva già provvidenzialmente capito durante i mesi di sospensione. Forse nella nostra città non è ancora maturata quella “visione comune” delle realtà che hanno a che fare con l’arte contemporanea. Ci troviamo di fronte ad un puzzle scomposto, ad una frammentazione che deve essere unita. Ma noi giovani, cittadini, veronesi possiamo comporre una nuova abitudine: andiamo in queste realtà, viviamole, visitiamo le mostre che con molte difficoltà riaprono, apprezziamo la fortuna di poter vedere ciò che ha riaperto e aspettiamo con entusiasmo ciò che deve ancora riaprire. Nelle gallerie, negli spazi culturali, nei musei non affollati da turisti quest'estate non troverete tantissima gente. Cogliamo questa occasione per cominciare ad approcciarci a queste realtà con distanze fisiche e mascherine ma senza barriere e distanze mentali, cominciamo a viverci questi luoghi come posti sicuri da esplorare.
Giulia Costa e Silvia Concari
Perché mappare Veronetta
di Irene Viviani
Dopo una passeggiata alla scoperta della Lessinia, giungiamo fino alle porte della città per un
aperitivo in Veronetta, precisamente in Via Venti Settembre, per i più solo Via Venti, un po’ la via Mazzini de noialtri.
Una zona tanto amata quanto odiata, tanto evitata quanto frequentata, che vive di una
reputazione che non merita, ma che per noi salmoni ha un sapore speciale. Una casa colorata che accoglie tutte le
diverse anime che popolano questo quartiere: universitari, lavoratori, residenti e immigrati, creativi
squattrinati e gran signori veronesi. Veronetta un ostello che ospita, nei propri spazi storie, profumi, colori e sorrisi da tutto il mondo.
E come ogni viaggio on the road che si rispetti, abbiamo deciso di fare tappa in ostello e di
dedicare una pagina del nostro diario di bordo a questo quartiere che in troppi pensano di conoscere e aver inquadrato nel bene e nel male: dal canto nostro noi alziamo la pinna e dichiarando ingnoranza urliamo: vogliamo saperne di più!
Impossibile mappare Veronetta annoiandosi: qui si svolgono gli eventi più contemporanei nei
luoghi e nei locali più alternativi, dove le menti più folgorate si radunano per dare a Verona quel
tocco international/alternative/hipster/multiculturale/cool che, oggettivamente, manca. Oltre a
tutte queste robe da ciapadi, Veronetta vanta di una caratteristica speciale che la
contraddistingue da tutte le altre zone della città: è autentica (aka per i veri duri). Abbiamo fatto due ciaccole con una persona che il quartiere lo conosce come le sue tasche, in lungo e in largo, avanti e dopo Cristo: Pierluigi Grigoletti (Associazione Dèsegni e Cocai) che come prima perla ci offre il seguente stimolo, “Veronetta è una New York in miniatura dove delle volte si sta in trincea e delle altre volte ti sembra di essere in centro storico. È la terra delle contraddizioni. Veronetta non è per fighi, è per persone vere”, le quali, spiega Pierluigi, “hanno scelto di uscire dal proprio guscio con la volontà di entrare in
contatto con l’altro diverso da loro”. Queste persone se ne fregano della citazione shakespeariana e riscoprono in Veronetta tutto il mondo che c’è al di fuori delle mura (a volte reali a volte ideali) di Verona. Noi salmoni abbiamo accettato la sfida e da veri duri vogliamo capire cosa significa mappare un quartiere autentico. Vogliamo mappare Veronetta non perché sia una figata in sé, ma perché dodata di una sua identità viva e pulsante. Noi vogliamo immergerci testa e piedi, fare il pieno di chicche e riempirci la bocca di stupore e meraviglia.
Venite anche voi a sporcarvi le mani?
Il vento ha scritto la storia di Benyamin
“...splende la luna e sta
bruciando la terra,
per questa terra chi è che perde la
sua vita?
Nessuno lo vede e accetta il mio
dolore,
allora è per questo che le montagne
e le stelle piangono.
alzati tesoro mio, il mio cervo
ferito,
ancora sono sulla strada.
La mia primavera sta scomparendo.
Alzati tesoro mio, il mio cervo
ferito,
splende la luna sulla curva delle
tue labbra
dove finisce il mio sguardo.
Questa è l'ennesima primavera
che senza un inizio finisce,
ed è per questo che le montagne e
le stelle piangono.
Alzati tesoro mio, il mio cervo
ferito,
ancora sono sulla strada.”
Inizia così, con i versi di una canzone di Ahmet Kaya, famoso cantante curdo nato e cresciuto in Turchia, la mia intervista con Benyamin Somay: sono versi carichi di dolore, ogni parola recitata da Ben pesa come un macigno. La storia recente dei curdi è una storia di sofferenze, di ingiustizie; ma, come traspare dall'ultimo verso, è una storia ancora da scrivere, in un futuro incerto in cui non manca la speranza: “Alzati tesoro mio, il mio cervo ferito, ancora sono sulla strada”.
Benyamin
Somay è nato e cresciuto a Neychalan, un piccolo villaggio
del Kurdistan iraniano al confine con la Turchia. All'età di 22 anni
ha dovuto lasciare la famiglia e fuggire verso l'Europa: un viaggio
lungo e pericoloso, che l'ha portato, dopo aver sbattuto la faccia
sul trattato di Dublino, a ricostruirsi una vita in Italia.
Oggi è rifugiato politico, vive a Verona, lavora nella gelateria 'è Buono' nei pressi di ponte Pietra, ed ha raccontato il suo viaggio nel libro Il vento ha scritto la mia storia, pubblicato da La Meridiana nell'autunno del 2017. Per un colpo di fortuna ho avuto la possibilità di conoscerlo e di riflettere con lui sulla sua esperienza: quest'intervista è il risultato di una lunga chiacchierata con Ben, e vorrei condividerla con tutti voi Salmoni.
Benyamin,
per arrivare in Italia hai dovuto varcare molti confini, ed una volta
qui ti sei reso conto sulla tua pelle dell'importanza che ancora oggi
hanno i confini nazionali nel delineare l'identità di uno stato.
Cosa ne pensi? Cosa significa confine per un kurdo?
Ti racconto un aneddoto a tal proposito: c'è una città in Kurdistan che si chiama Halabja, tristemente famosa per il massiccio bombardamento subito durante la guerra tra Iran e Iraq. Fu una strage: 5000 morti a causa delle armi chimiche utilizzate dall'esercito di Saddam Hussein. Ecco, fino a qualche anno fa ero convinto che questo paese si trovasse in Iran, poi ho scoperto che faceva parte dell'Iraq.
Per noi curdi non esiste un confine, non lo abbiamo mai avuto: qui in Europa oggi significa barriera, muro, ma per noi significherebbe avere un luogo giuridico dove vivere in pace, avere leggi che difendano i nostri diritti e possibilità di crescita. È sempre stato un sogno per il mio popolo, ma i confini stabiliti dopo la prima guerra mondiale dalle potenze coloniali hanno spezzato il sogno dei curdi: oggi essi combattono per difendere la propria identità, per avere un po' d'autonomia, ma è sempre più difficile poter immaginare dei confini per il Kurdistan.
Nel
libro racconti che durante questo lungo viaggio hai sofferto momenti
di disperazione dai quali sei riuscito con grande coraggio a
risollevarti, anche grazie ad alcune storie, leggende della tua terra
che ti sono state raccontate fin da bambino. Ce ne racconti una in
particolare?
Si, è vero. Ci sono alcune storie che mi hanno aiutato molto, sono
state una luce che mi ha guidato in una notte buia. Ce n'è una in
particolare, che racconto spesso anche agli incontri con i giovani:
ero appena stato respinto dalla Danimarca qui in Italia , nel centro
di accoglienza di Restinco a Brindisi. E' stato per me un periodo
molto difficile, in Danimarca stavo studiando la lingua e frequentavo
un corso per diventare guida turistica, avevo faticato tanto per
arrivare lì ed era un sogno che si stava realizzando. Per di più,
venni a sapere in quei giorni dell'impiccagione in Iran di un amico
che non era riuscito a scappare dal paese.
Mi è crollato il mondo addosso, per alcuni mesi ho sofferto molto,
finché mi tornò in mente questa vecchia storia: “due uccellini
costruirono il loro nido e faticarono molto per completarlo. Una
notte però giunse un vento molto forte che distrusse il loro lavoro:
gli uccellini, guardando quel che restava del loro nido, piansero e
chiesero a Dio per quale motivo avevano dovuto subire
quest'ingiustizia. Dio mandò un angelo, che spiegò loro che mentre
riposavano nel nido si stava avvicinando un serpente, che li avrebbe
ingoiati in un sol boccone: il vento li aveva salvati, avevano perso
la loro casa, ma avevano salva la vita e avrebbero potuto costruire
nuovi nidi”.
Ecco, è un po' quello che è successo a me: se fossi rimasto in Iran
sarei stato arrestato e giustiziato; partendo ho perso il mio nido,
la famiglia, ed ho affrontato molto dolore, ma sono vivo e per questo
ho sentito il dovere di rialzarmi e sfruttare le possibilità che
questa seconda vita mi poneva davanti.
Nella
tua vita hai svolto lavori diversi, tra cui il fornaio. Nel libro
scrivi che la gioia più grande che ricavavi da questo mestiere era
l'opportunità che avevi in questo modo di diminuire l'immane carico
di lavoro che nel tuo paese grava sulle donne. Qual è oggi la
condizione della donna curda e in che modo sei riuscito a sviluppare
una sensibilità così profonda nei confronti delle donne, in un
contesto in cui non era magari così facile coltivarla?
Beh, storicamente le donne curde hanno sempre avuto una libertà
maggiore rispetto alle donne in altri paesi musulmani. Purtroppo però
l'Iran è oggi una Repubblica Islamica e noi curdi siamo obbligati ad
osservare le loro leggi: le donne soffrono molto, su di loro grava
una grande quantità di lavoro domestico e sono chiuse sottochiave
nelle loro case. Non hanno quindi possibilità di studiare,
soprattutto non hanno possibilità di scegliere del loro matrimonio,
che viene concordato dai genitori. Per me questa è una gravissima
ingiustizia, ed una testimone di ciò è stata mia madre: all'età di
18 anni ha subito la scelta dei suoi genitori ed ha sposato mio
padre, che non conosceva e non amava. Io sono testimone della
sofferenza di questa donna, che ha vissuto una vita infelice con un
uomo che non amava, e questo ha fatto molto male anche a me: fin da
piccolo ho vissuto questa situazione come una profonda ingiustizia,
non riuscivo a capire come mai le bambine non potessero fare ciò che
potevo fare io. Spero con tutto il cuore che questo cambierà, che le
donne in Iran possano avere più libertà, come prima della
Rivoluzione del '79.
Te
l'ho chiesto perché in realtà in Italia si sente parlare spesso
della lotta del popolo curdo e proprio la figura della guerrigliera è
diventata ormai un simbolo di emancipazione nazionale e di genere. A
questo proposito, racconti nel libro dell'incontro con i partigiani
del PKK: hai mai pensato di rimanere a combattere con loro?
Questa è una domanda che mi fanno spesso: forse adesso ho diversi
motivi per cui non ho partecipato alla lotta armata al loro fianco,
ma quando li ho incontrati la prima cosa che ho visto nei loro occhi
è stata la disperazione. La morte non è piacevole per nessuno, i
giovani che scelgono di seguire questa strada hanno accettato la
morte: la parola peshmerga significa letteralmente “avere la
morte davanti”. Forse non ho avuto il coraggio necessario, però
sentivo in qualche modo di essere diverso da loro: io non credo nella
lotta armata, la violenza genererà sempre altra violenza.
Io oggi combatto, certo il mio impegno non è nulla rispetto al loro,
ma sono diventato, come alcuni mi definiscono, 'ambasciatore del mio
popolo'. Porto il loro messaggio, racconto la storia del mio popolo e
le sue sofferenze ad ogni incontro; racconto chi sono questi ragazzi,
che in Occidente sono visti come terroristi, mentre sono persone che
combattono per salvaguardare la propria etnia, la propria identità:
questo è il popolo curdo che combatte, in tutte le sue forme.
Parliamo
del tuo arrivo in Italia: nel nostro paese troppo spesso
l'accoglienza è sulle spalle di associazioni volontarie o del mondo
cattolico. Nel tuo caso, sei entrato a far parte di una comunità
cattolica in Salento: è stato difficile per te, da musulmano,
entrare così rapidamente in intimità con questa realtà religiosa?
Certamente all'inizio non è stato facile per me, perché sono stato
educato come musulmano e per la prima volta incontravo il mondo
cristiano. A poco a poco ho conosciuto questa comunità, mi sono
affezionato e le mie paure si sono trasformate in curiosità, in
voglia di approfondire la vostra religione: alla fine ho capito che
tutte le fedi hanno un terreno comune, l'importante è saper amare la
diversità e stare bene insieme. Io pregavo in chiesa con amici
cattolici e questo è a mio parere un messaggio fortissimo. Ed è il
messaggio che Don Tonino Bello ha portato con sé dalla Puglia nel
suo lungo impegno per la pace, la tolleranza e l'accoglienza: gli
sono molto grato per l'insegnamento che ho tratto dalle sue poesie,
dalle sue parole e dalle sue opere. In tre parole è la convivialità
delle differenze, il necessario nome della pace: a Gallipoli
vivevo in una comunità cattolica e dividevo la stanza con un ragazzo
senegalese ed uno nigeriano; mangiavamo insieme, pregavamo insieme,
cantavamo insieme. Questo è il messaggio: se possiamo stare insieme
su una tavola, perché tutta questa sofferenza, queste guerre,
quest'intolleranza?
In
seguito, attraversando lo Stivale con tappe più o meno lunghe, sei
arrivato a Verona.
Com'è
stato il tuo primo impatto con la città?
Ormai tre anni fa, vivevo ancora a Gallipoli ed avevo due settimane
di ferie: decisi quindi di girare un po' l'Italia. Arrivai a Venezia,
ospite di Don Nandino Capovilla, che mi propose di accompagnarlo a
Verona per un incontro. Non conoscevo niente della vostra città e
così accettai volentieri. Arrivammo qui e ci accolse Don Marco
Campedelli nella parrocchia di San Nicolò; poi camminai un
po' da solo per la città e mi piacque moltissimo. Una volta tornato
a Gallipoli, Don Marco mi disse che sarebbe venuto con il gruppo di
giovani di San Nicolò nella nostra parrocchia e mi propose di
raccontare la mia storia. Accettai, e strinsi subito amicizia con
quei ragazzi veronesi. Tramite queste testimonianze e queste
amicizie, alla fine sono finito qui!
E
dal punto di vista della solidarietà, che a Gallipoli avevi trovato
in così poco tempo, tanto da costruirti quasi una seconda famiglia,
cosa ne pensi di Verona? Sei riuscito ad ambientarti in fretta?
Beh, sono solo due anni che vivo qui, forse è un po' presto per
risponderti! Posso dirti che in questo periodo ho conosciuto
moltissimi veronesi che, come in Puglia, fanno ormai parte di questa
mia grande seconda famiglia. Per fortuna non ho incontrato persone
che mi hanno trattato male, fino ad ora; purtroppo però gli
intolleranti ci sono dappertutto , anche in Puglia ho incontrato
persone che non ne volevano sapere di accogliere migranti, che
avevano paura dello 'straniero'. Per il momento non ho notato grandi
differenze, sono stato accolto con amore anche qui.
Il
vento ha scritto la mia storia è una storia che parla di
sofferenza, di coraggio, ma soprattutto di speranza. Come tu stesso
sottolinei nel libro, hai avuto la fortuna di incontrare persone che
ti hanno mostrato solidarietà, ti hanno aiutato e dato forza.
Ogni
giorno sentiamo di giovani che invece non ce la fanno, rimangono
impantanati nei campi profughi o nei centri d'accoglienza: che
sentimenti provi nei confronti di questi giovani e dei tanti episodi
di intolleranza che accadono anche nel nostro paese?
Mi fa veramente male, mi dispiace tanto. Essendoci passato anche io,
so cosa significa rimanere bloccati alle frontiere nei campi profughi
e nei centri d'accoglienza, rimanere soli, senza lavoro e perdere la
speranza. Nel nostro piccolo ognuno di noi può fare qualcosa per
questi giovani: ognuno può fare la propria parte, senza rimanere
indifferenti di fronte alla sofferenza. E parlo di aiutare a trovare
un lavoro, un tetto sotto cui dormire: quando vedo qualcuno che dorme
per strada, ricordo del freddo che ho provato dormendo in strada a
Parigi, e soffro per loro.
A Gallipoli è andata così: abbiamo fatto del nostro meglio, ed uno
alla volta abbiamo aiutato molte persone; proprio in questi giorni,
nella parrocchia dove vivevamo, è stato aperto un centro
d'accoglienza che ospiterà tanti migranti che trovano lavoro
stagionale ma sono in difficoltà nel trovare un posto dove dormire.
Sono davvero felice per questo, perché anche lì nella parrocchia
c'era chi diffidava di questa iniziativa; ora la comunità è ancora
più ricca, più variopinta, ed anche la gente del luogo è contenta
di aiutare i giovani che arrivano.
Un'ultima
domanda Ben: ormai delle tue avventure passate so quasi tutto, che
progetti hai invece rivolti al futuro?
Beh, ho conseguito da poco il diploma di scuola media qui in Italia e
molto probabilmente mi iscriverò ad una scuola serale ed andrò
avanti con gli studi: è sempre stato un mio obiettivo ed ora l'ho
ripreso in mano, e finché potrò porterò avanti questo percorso
perché lo studio e la conoscenza sono molto importanti per me.
Il mio sogno è di riuscire a portare la mia famiglia qui, non è facile ottenere il ricongiungimento familiare ma ci proverò, per me è molto importante. Sto bene, sono stato fortunato, e so che poco alla volta questi sogni si realizzeranno!
RAL 3022 - LE SBRONZE DELLO SPIRITO ED ALTRE CAZZATE
LE SBRONZE DELLO SPIRITO ED ALTRE CAZZATE
Ciao pescetti belli della zia, scusate ma è stata un’estate un po’ incasinata.
So che non dovrei dirvelo, ma vabbè, ve lo dico: ero la wedding planner dei Ferragnez ... per questo non ci siamo sentiti.
Ci sono tante cose che vorrei dirvi, ma ne scelgo una che ha davvero poco a che vedere con il Royal Wedding italiano sopraccitato, perché effettivamente questa storia ha sbriciolato la minchia ai pesci, molluschi e crostacei di tutti i sette mari.
Vorrei parlarvi di cazzate.
Sapete quelle azioni fatte/quelle decisioni prese/quelle parole dette con leggerezza, senza minimamente considerare le conseguenze?
Ecco, so che sapete cosa intendo e so che anche voi le avete fatte/prese/dette.
Alcune sono gesti sconsiderati che vi mettono in pericolo e sapete bene che non le approvo, anzi vi sgrido sonoramente se:
guidate da sbronzi, fate sesso non protetto, andate in giro a farvi i selfie sulle rotaie del Frecciarossa .. e tutte quelle cose che sapete di non dover fare mai.
Io intendo quelle cazzate frutto dell’ebbrezza, della stupideria, della felicità.
A volte succede che si stia così bene, che si sia così felici, che le cose siano così belle che la sensazione che sentite addosso vi faccia girare la testa e ballare le gambe come dopo tre gin tonic, di quelli carichi che si bevono il venerdì sera in qualche angolo di Veronetta. Il problema è che, oltre la testa e le gambe, questi gin tonic dello spirito vi fottono anche la lucidità e finite per lasciar decidere allo stomaco (ed agli insetti di varia natura che esso contiene) come comportarvi.
E quindi succede che, nel bel mezzo di una situazione di benessere e serenità, frutto magari di una combinazione di fattori irripetibili, vi lasciate andare e mollate gli ormeggi andando alla deriva verso la conclusione più ovvia, meno razionale e certamente meno logica.
Lo schema è lo stesso della sbronza classica: avete mal di testa il giorno dopo?
/ Si.
E allora smettete subito. Non esiste OKI per il pentimento: correte a rimediare se potete farlo o almeno chiedete scusa per quello che avete detto/fatto, se quello che è successo non è riparabile.
/ No.
E allora può essere che quei gin tonic mentali vi diano un’ebbrezza strana, forse non sana, ma di certo rivelatoria. Una specie di visione della realtà aumentata, che non vi sareste immaginati da “sobri”.
Ora, non sappiamo se quello che avete visto è davvero la realtà, ma se la cosa è fattibile, il mio suggerimento è quello (quantomeno) di tentare perché come le cazzate che si fanno quando si è contenti, deflagano forte ma non fanno quasi mai grossi danni.
Forse, al massimo, possono creare qualche situazione che lì per lì ci sembrerà bellissima, ma che poi guarderemo con tenero imbarazzo..
tipo: pensate che Fedez, se non fosse stato perché era felicissimo, l’avrebbe mai fatta cantare al proprio matrimonio una come Giusy Ferreri?
Being a Volunteer in Kratié, Cambodia
Domenica mattina, il sole sorge ed illumina il fiume Mekong. Suona la sveglia alla Dolphin English School: i galli cantano ed i bambini giocano per le strade. Non è il giorno del Signore, ma è giorno di riposo anche qui a Kratié, Cambogia. Ed allora, prima di prendere il motorino per avventurarsi tra i villaggi sulle sponde dell'immenso fiume, si ha il tempo di riepilogare e rielaborare la tempesta di nuove emozioni provate in questa settimana.
Sono arrivato qui lunedì mattina con un piccolo e cigolante mini-van da Siem Reap, la città che dà l'accesso al sito archeologico religioso più maestoso al mondo, i templi di Angkor; Mr Yuth, il direttore del progetto, mi ha accolto con un sorriso ed una pacca sulla spalla, come a dire “Grazie, sei dei nostri ora!”. Lasciatemi spendere due parole su di lui: Mr. Yuth ha 42 anni, è nato e cresciuto in questo villaggio alle porte di Kratié, da qualche anno fa parte del KAFDOC, l'associazione per lo sviluppo della 'Countryside Cambogiana'. In quest'ambito ha intrapreso nel gennaio 2016 il progetto 'Dolphin English School': ha cioè lasciato la sua abitazione, una graziosa costruzione in legno con tanto di quattro camere da letto, cucina, bagno e ampio cortile, a disposizione dei volontari e si è trasferito con moglie e figli in una piccola baracca di legno e lamiera poco distante. È un uomo di poche parole, la lingua inglese certo non lo aiuta ad esprimersi al meglio, ma al di là degli ostacoli linguistici si riesce a percepire fin dal primo momento la sua generosità, la sua determinazione e l'abnegazione alla causa: offrire a bambini e bambine del villaggio la possibilità di imparare una nuova lingua, conoscere persone provenienti da culture differenti e quanto meno garantire un luogo sicuro dove giocare e divertirsi in compagnia.
Insomma, neanche il tempo di disfare lo zaino e mi sono trovato di fronte ad una ventina di ragazzini, per la prima volta sull'altra sponda nel processo d'insegnamento: io con la lavagna dietro le spalle e quaranta occhi curiosi e divertiti incollati a me! Non sapevo cosa aspettarmi, non avevo idea del loro livello di inglese, di cosa li potesse divertire e viceversa annoiare. Dunque improvvisazione pura; risultato: figata totale. Man mano che i giorni passano, la complicità con i miei studenti aumenta e tra vocabulary, past e future simple ci si diverte da matti: sembra banale quanto impossibile, ma ho scoperto come possa essere spassoso imparare giocando. Ed ho avuto un'altra rivelazione durante il mio soggiorno alla Dolphin English School, sorprendente e destabilizzante: giorno dopo giorno ho realizzato che pur essendo io l'insegnante, giunto dall'Europa per distribuire istruzione a questi 'unprivileged children' della profonda campagna cambogiana, sono in realtà quest'ultimi a darmi più di quanto io possa dare loro. Davvero. Mi istruiscono a suon di risate, di abbracci, di giochi di strada che noi in occidente abbiamo completamente rimosso; mi dimostrano ogni giorno che nelle menti e nei cuori dei bambini non esiste intolleranza, non c'è spazio per paura e diffidenza nei confronti del diverso: e questo, ne sono convinto, vale per i piccoli di ogni paese, a prescindere dalla cultura in cui si ritrovano poi immersi. C'è n'è da imparare.
E gli studenti non sono i soli da cui trarre insegnamenti da caricarsi nello zaino e riportare a casa: qui viviamo 24 al giorno tra noi volontari, di età diverse e provenienti da paesi differenti, bisogna imparare ad adattarsi ai ritmi ed alle esigenze di tutti; ognuno poi, quando si cena tutti insieme, ha le proprie storie da raccontare e dubbi ed ambizioni da condividere.
Ho riflettuto molto, prima di arrivare qui, sull'idea presuntuosa che abbiamo noi occidentali nel venire nel cosiddetto “terzo mondo” a lavarci la coscienza facendo del volontariato, e mi sono chiesto se insegnare l'inglese nella Cambogia rurale non fosse anch'esso, in ultima analisi, un tentativo di penetrazione culturale mascherato da azione pia e compassionevole. Mi è bastata una settimana a Kratié per darmi delle risposte: qui la gente freme per oltrepassare i confini, fisici, linguistici e culturali che siano, in cui la Cambogia è stata intrappolata per anni a causa di conflitti e miopia politica, qui il diverso è curiosità, è opportunità; partecipare ad un progetto locale di sviluppo come quello proposto da Mr.Yuth non ha niente a che fare con le grandi ONG europee né tanto meno con le aziende che trasferiscono sedi qui alla ricerca di manodopera a basso costo giustificando tale sfruttamento come 'creazione di posti di lavoro per i locali'. Qui si entra nella comunità in punta di piedi, con umiltà, si dà e si riceve tanto: questo è il surplus che il volontariato locale riesce a generare, un piccolo ponte culturale con le fondamenta più forti di qualsiasi rapporto politico, diplomatico ed economico tra paesi diversi.
Beh, mi aspetta un'escursione ai 'floating villages' ed alla ricerca dei famosi delfini d'acqua dolce...Si, sarò il primo salmone a sguazzare tra le acque del Mekong! Mica male!
RAL 3022 ROSA SALMONE - Di quando facciamo come le libellule
Ieri risalivo fino al Delta del Po, sapete quella zone leggermente acquitrinosa non troppo lontana da Verona in cui moltissimi nonni vanno in vacanza? Ecco, lì.
Lì, oltre ad una discreta rappresentanza delle più svariate versioni di zanzare dalle basic alle deluxe, vive una colonia di libellule. Osservando i loro voli e masticando un po’ di libellulese ho evinto che le libellule femmine hanno un metodo infallibile per sfuggire alle avances spinte dei loro corteggiatori maschi: si fingono morte.
L'ho trovato geniale da un lato, leggermente sadico dell'altro … ma a conti fatti straordinariamente efficace. E poi pensavo: non è la stessa cosa che fate anche voi umani?
Non tanto quando dite di avere il mal di testa, ma quando, se qualcun* vi marca stretto, voi fate quella cosa che vi piace chiamare ghosting. E non sono certo qui per condannarvi, ci mancherebbe: quella di sparire è una fine arte, frutto dell'equilibrio tra doppie spunte blu, mancati accessi ed infinite notifiche lasciate pendenti.
Sappiamo che libellule lo fanno con i corteggiatori con i quali non hanno nessuna intenzione di accoppiarsi, ma sappiamo cosa pensano i libelluli rimbalzati con questo duedipicche così teatrale?
No, ma credo di potervi dire cosa pensano gli esseri umani:
che grandissim* stronz*!
E ve lo dico perché, anche se sono solo un pesce, l'ho pensato un sacco di volte anch'io. Ma sbagliavo.
Non era esattamente uno stronzo, era che avrei dovuto capirlo al secondo messaggio andato a vuoto che non gli piacevo … e lui non aveva abbastanza squame sullo stomaco per dirmelo.
Credetemi, avrete risolto almeno il 73% dei vostri problemi se al posto di incaponirvi su qualcun* che chiaramente non vi vuole, penserete: "Ma sono scem* io a darti ancora retta".
SALMONA PASTURA
Giovanni Cobianchi ci racconta il suo viaggio in Nicaragua
Abbiamo fatto due parole con un Salmone davvero tosto: il fotoreporter veronese Giovanni Cobianchi, appena rientrato da un viaggio in Nicaragua. Cosa sta succedendo in quel piccolo paese del Centro America? Perché guerra civile? Cosa lo ha spinto da quelle parti? Perché questo suo viaggio è durato meno del previsto? Cosa lo aspetta ora?
4 minuti del vostro tempo per capirne qualcosa. Buona visione!
[tutte le foto in questa pagina sono di Giovanni Cobianchi]
Alla C.A. del Direttore del Traffico sentimentale
Amati pescetti, posso esimermi dal dire la mia sull'evento mondano della settimana?
Ma CERTO CHE NO.
Insomma dai, come si fa a non restare affascinati dallo sfarzo dei matrimoni dal sangue blu? Come si può non cedere al fascino di una coppia così carina, composta dal più birbante di casa Windsor e dalla sua sposa afroamericana? E poi c'è pur sempre Lei, Her Majesty The Queen, che dall’alto dei suoi 92 anni tiene tutto sotto controllo: dalle isole più sperdute del Commonwealth ai cappellini in perfetto pendant con le scarpe.
Ho studiato il caso nei dettagli (sapete che nel mare le onde del pettegolezzo si diffondono meglio,no?) e ci sono alcuni particolari della storia che potrebbero rivelarsi utili anche per noi, miei adorati Duchi e Duchesse della pearà.
Il fatto che tutto questo sia nato (almeno così dicono i tabloid) da un appuntamento al buio combinato da un'amica dei due che “ci aveva visto lungo”, mi porterebbe a consigliarvi di fidarvi delle vostre amicizie.. GIAMMAI. Cioè Sì, fatevi portare alle occasioni mondane ma scappate a pinne levate dai “Ti presento mio cugggino!”, che di cugini fenomeni ne abbiamo visti ancora pochi.
Se invece gli amici “dalla vista lunga” siete voi, sappiate che orchestrare sentimenti e dirigere il traffico dell’amore non è cosa per tutti e - a meno che voi non siate la Divina Maria De Filippi o il Sommo Piero Angela - è meglio che siate cauti. E qui l’esempio principe, anzi principessa, viene di nuovo da Buckingham Palace: la triste storia di Margaret* ci dice proprio che la Regina avrebbe fatto molto meglio a farsi i cazzi suoi, lasciando la sorella libera di vivere con l’uomo che aveva scelto.
La buona notizia è che stavolta Her Majesty, dopo aver fatto dei gran casini con sua sorella e con Diana, ha finalmente capito che non avrebbe dovuto impicciarsi e che Harry era grande abbastanza da poter seguire il suo cuore.
Che poi è quello che dovremmo fare tutti noi.
(*sorella di Elisabetta, che la Regina ha separato dall’uomo che amava, perché già divorziato e più vecchio di lei, inducendola poi a sposarsi ad un uomo “più adatto” con cui finì malissimo)
Salmona Pastura