Madonna Verona non ha tempo di morire

*Questo reportage narrativo è nato durante il corso ‘Scrittura dal vero’ tenuto da Nicola Feninno alla Scuola Holden di Torino. È stato scritto nell’estate 2022.

di Francesca Moscardo

Sono in ritardo quel tanto che basta per sentirmi in dovere di avvisare. Chiamo Luisa. 

«Allora mi faccio un altro goto» risponde tranquilla in vivavoce. Il suo tono basso e cantilenante mi fa pensare a un tessuto prezioso. «Ti aspetto». 

Mi divincolo tra le vie del centro e parcheggio lungo il fianco di Sant’Anastasia, la chiesa più grande della città. È un pomeriggio di luglio e Verona è piena di turisti, ma il locale di Luisa è chiuso e non riceve nessuno. Tranne me. 

Mi avvio a piedi con un moto centripeto verso sinistra, seguendo un automatismo dettato dall’abitudine: vicolo, vicoletto, porta. La scritta “Piano Bar” sulla tenda a calotta mi ricorda che qui un tempo un pianista suonava ogni sera. Da fuori ha tutta l’aria riservata di un club privé e nella posizione in cui si trova ci vai solo se lo conosci. 

Il neon rosa dell’insegna è spento: in fondo sono solo le cinque del pomeriggio.

«Quel posto “brulicava” di personaggi che arrivavano da tutto il Triveneto per fare una serata», mi ha confidato A. durante un aperitivo domenicale a Castel San Pietro, sulla terrazza panoramica della funicolare. «A una certa ora non c’erano tanti locali dove potevi andare. Il Madonna Verona era uno di quelli e stavi lì anche fino al mattino». Lì divanetti di seta rossa, luce soffusa e un horror vacui di oggetti; qui aria e sole accecante che illumina ogni cosa. 

Fatico a decifrare l’uomo che ho di fronte, un fisico asciutto da maratoneta e l’atteggiamento discreto di chi parla poco e osserva molto. Gli chiedo qualche aneddoto: lui dice senza dire e mi chiede di restare anonimo. È molto conosciuto a Verona, mi spiega. «Succedevano tante cose, incontri particolari. Era come essere in un’altra dimensione, la percezione era un po’ diversa».

Madonna Verona. Su Wikipedia sarebbe una pagina di disambiguazione: 1. la statua romana della fontana al centro di Piazza delle Erbe; 2. la maschera del Carnevale veronese ispirata alla statua; 3. l’omonimo locale storico. 

A condensare tutto in un significato univoco c’è Maria Luigia Vassanelli detta Luisa, classe 1937, la persona che sto per incontrare.

È lei Madonna Verona, la donna dalle mille vite, l’icona rivoluzionaria di un centro di provincia. Una signora con la quinta elementare nominata Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana grazie ai suoi bar, che hanno fatto la storia della città in un’epoca in cui le donne imprenditrici non avevano spazio: uno, due, tre, quattro Boomerang e infine il Madonna Verona, l’unico che le è rimasto.

Spingo la porta, che ‘muggisce’ in modo familiare. Luisa mi saluta di spalle dal fondo del bar, sta trafficando dietro al bancone e vedo solo i suoi capelli bianchi. È strano entrare qui di giorno, negli ultimi tempi il locale apriva alle 22:00. 

 

Mi guardo in giro, è tutto al suo posto: la fontana di marmo rosso al centro, la riproduzione della statua di Piazza Erbe, la costellazione di divani semicircolari e pouf dove languire per ore davanti a un calice, la parete a specchio che raddoppia la luce calda degli abat-jour e la teoria infinita di cimeli appesi ovunque. Legno scuro, oro, bordeaux. E poi, scendendo tre gradini, l’altra sala con il pianoforte a coda ormai silente. Da qui sono passati personaggi famosi come Celentano, Capossela, Aldo Fabrizi, cantanti, attori, politici e i ricchi della città che al Madonna Verona avevano il proprio caveau per tenere i liquori più costosi. Qui è sempre un’ora – e un’era – indefinita.

Luisa prende una bottiglia, due bicchieri e mi raggiunge. Ci sediamo a un tavolino qualsiasi, non il “suo” là nell’angolo, dove come una matrona riceve gli ospiti. «Bevi un goccio di Prosecco con me?» chiede. 

Quella che ho di fronte è una nonna con gli acciacchi dell’età che vuole andare in pensione. Non chiuderà davvero lo storico locale ma, come per la maschera del Carnevale, passerà lo scettro alla figlia. «Mi sento obbligata ma non nel senso brutto del termine, perché fa parte della storia della città» mi ha detto Paola di recente da uno di quei sofà rossi, triangolata da me e sua madre attorno allo stesso tavolino come in una singolare seduta medianica, dove non si evocano spiriti ma ricordi. «Non puoi lasciar perdere una cosa del genere. Chi c’è, se non io, che può rispettarne la memoria? In onore di quello che lei ha fatto, in onore di quello che c’è da fare». È comunque la fine di una leggenda: il Madonna Verona non sarà più lo stesso senza il suo genius loci.

Mi rendo conto di conoscere poco di Luisa: chi c’è sotto le sue infinite maschere?

«Sono nata nel posto più bello del mondo: in un mulino sull’Adige». Luisa ha un ricordo gioioso della sua infanzia legata al fiume, alfa e omega della sua esistenza. Prima di tre fratelli in una famiglia povera, ha dovuto fare presto i conti con la paura delle bombe e le file per il pane. «Non avevamo da mangiare, però c’era un calore in casa!».

Da grande avrebbe voluto fare il chirurgo, ma non erano i tempi per le grandi ambizioni: doveva darsi da fare nell’osteria dei genitori. «Io volevo scappare perché non mi piaceva, allora c’era una nuvola di fumo costante perché tutti fumavano e io ho sempre odiato il fumo. Un giorno ero sulla porta, è passato un bel ragazzo, mi ha guardata e ha detto: “Che peccato che lavori all’osteria, perché io odio le osterie”. Ho deciso che l’avrei sposato. È stato il padre dei miei tre figli». 

Luisa è abituata a raccontarsi, a ripetere gli stessi aneddoti a interlocutori sempre diversi. «È durata poco perché mi picchiava e io finivo in ospedale». 

A cadenza regolare il rumore della macchina del ghiaccio sovrasta la voce di Luisa: «Io dicevo “A me non va bene. Appena i bambini saranno in grado di tenere in mano il cucchiaio io ti lascio”. E l’ho fatto. Paola aveva tre anni, Umberto sei. Me ne sono andata coi bambini». In mezzo aveva avuto Giampaolo, morto a pochi mesi. Era la fine degli anni ’60 e il divorzio non esisteva ancora. «Sono stata la prima a Verona, ma ero già scappata di casa».

«Si avvertiva immediatamente che era forte, attenta, sveglia. Luisa era conosciuta da tutta Verona come una bellissima donna, era molto ambita». Alberto zittisce Alexa prima di continuare. «Ero un agente della Spirit, importante azienda liquoristica che forniva i prodotti più prestigiosi agli american bar. E quindi Luisa faceva parte dei miei clienti, non aveva intermediari».

L’uomo accanto a me sul divano di velluto Tiffany è alto, prestante, e non fatico a immaginarlo come un giovane tombeur-de-femmes. Mi fa vedere una foto sul cellulare: è lui negli anni ’90, elegante insieme al figlio già avviato alla stessa professione. «Mostrala a Luisa e dille: “Ti ricordi?”». 

L’appartamento è fresco, luminoso, quasi minimale. Chissà se il tavolino-bar dietro di me contiene anche i liquori che rappresentava lui: Ballantine, Cointreau, Cognac Martell, Beefeater per i gin tonic. Alberto si sbilancia: «Avevo la sensazione, nel parlare con Luisa – con la battuta facile, il sorrisino sempre pronto e malizioso – che avesse negli occhi un lontano senso di malinconia, quasi di rassegnazione».

È nel punto più buio della sua vita che Luisa trova una forza inaspettata; inizia la sua impresa con il bar senza nome di una pompa di benzina. Dura poco. Le mancano i mezzi, ma ha buone idee e due figli da mantenere. 

«Ho cominciato a firmar cambiali». D’istinto alzo la testa: il soffitto del Madonna Verona è tappezzato di cedole sotto vetro che attirano sempre l’attenzione dei nuovi avventori. Le ho viste ogni sera che sono entrata qui, ma solo adesso le osservo con gli occhi di Luisa. «Se mai dovessi sentirmi triste, basta che guardi le cambiali». 

In questo modo rileva un locale sfitto che aveva servito i militari della base NATO e lo chiama Boomerang. «Perché se un cliente si trova bene, torna». I clienti non solo tornano, ne fanno il centro della movida veronese degli anni ‘70. Alla fine i Boomerang saranno quattro.

«Luisa ha inventato il concetto di catena prima che arrivassero gli americani a insegnarcelo e il caso dei Boomerang è geniale». Diego è stato l’ultimo cameriere di Madonna Verona e mi racconta tutto mentre condividiamo le patatine fritte del chiosco davanti allo Stadio. Ha scelto di affiancare Luisa nell’ultimo periodo per un motivo preciso: «Quando mi ricapita di fare un master in Business Administration gratis?», dice ridendo. «Lei parla di clienti ben vestiti, bicchieri e bottiglie di Prosecco, il carico e scarico della merce, il listino e tutto quanto. Nella mia testa c’è una sorta di traduttore: quando lei mi parla di bicchieri di Prosecco io penso ai moduli software che devo realizzare; quando mi parla di clienti qualificati io penso a come qualifico i miei clienti». 

La compostezza di questo ragazzo in camicia e ben rasato è a metà tra il maggiordomo e il praticante di arti marziali. Diego, in realtà, è manager di una solida azienda nel settore informatico. «Non ho mai trovato un locale come Madonna Verona. Luisa ha fatto l’opposto di ciò che ti insegnano all’università: se n’è fregata delle regole, ha ragionato fuori dagli schemi e creato una strategia a 360° sempre efficace». Per esempio l’attenzione al decoro nel vestire e al dialogo. «Lei ha imparato a stare con tutti. Ho visto cene al Madonna Verona con il politico di destra, di sinistra, di centro, il prete: tutti erano lì per lei a bere un bicchiere insieme. Riesce in maniera magica a unire le persone».

Luisa rilevava locali che non voleva nessuno e, come un Re Mida, li trasformava in tendenza. Diego non riesce a spiegarselo: «Ha applicato le sue intuizioni con un successo che io guardo ancora come caso di studio. Potrei stare in silenzio e imparare per i prossimi trent’anni. È una donna moderna nata nell’epoca sbagliata».

Al Madonna Verona le ore vengono scandite dalle campane di Sant’Anastasia, distante sì e no cinque metri da muro a muro. Luisa l’ironica, la maliziosa, quella che ti legge le carte, ha per vicino di casa il parroco. 

«Quando mi hanno proposto questo spazio qui non c’era niente. Mi piaceva moltissimo, però era attaccato a una chiesa e io volevo fare piano bar». In bocca a Luisa ogni aneddoto diventa epico. Andò da don Cappelletti a chiedere il permesso: «Però non le ho detto che lo chiamerò Madonna Verona». La Madonna in questione è solo profana, non blasfema, e il prete, dopo aver indagato sulla sua reputazione, la lasciò fare. Il patto di reciproca tolleranza era concluso. 

Dal canto suo Luisa è una vicina di casa quasi inesistente. Abita da sola nel palazzo di proprietà della Curia di fronte al locale e Zeno, il suo dirimpettaio laico di qualche anno fa, al telefono me la descrive affettuosa e prodiga di inviti a cena al Madonna Verona. «Quelle poche volte che era in casa era silenziosa e riservatissima, ma praticamente abitava giù al locale perché aveva l’abitudine di andare a letto molto, molto tardi. Io dormivo quando rientrava, ma poteva essere anche verso le sette di mattina».

Luisa vive in una dimensione tutta sua. Quando le chiedo “Che anno era?” ci deve pensare, fa confusione, risponde “quarant’anni fa”. A volte si aggiunge degli anni all’età reale, così per gioco. Per una come me abituata a fare ricerca storica, è disturbante non poter tracciare una linea cronologica con date certe. Ricordo le parole di Diego: «Non ha senso sapere quando è nato il Madonna Verona. È sempre esistito: è un simbolo».

Riguardo un’intervista su YouTube del 2018. Era un evento aperto a tutti: il locale strapieno di affezionati, Luisa in ghingheri sul divano rosso mentre beve Prosecco e risponde al microfono. Una volta che le si dà il via, lei apre la diga dei ricordi che vanno dalle vicende cupe agli aneddoti gustosi, come Vinicio Capossela che suonava al piano bar o l’acquisto di un Porsche color oro. Ma ha anche preso la patente dell’ambulanza e quando le chiedono se non dorme mai, lei risponde che così la Morte non può coglierla a letto. «No g’ho tempo de morir!».

Nel silenzio della mia camera riascolto le interviste che ho fatto nelle ultime settimane: cerco un denominatore comune o almeno un filo da seguire per raccontare una storia, ma appena penso di averne ricostruito la figura, Madonna Verona si frantuma di nuovo. Ogni persona che mi parla di lei aggiunge un livello di complessità imprevisto e fatico a far coincidere l’immagine della signora anziana che ho di fronte con le rocambolesche avventure che racconta.

Chiedo aiuto a Filippo, musicista e conoscitore dell’underground veronese. «Luisa è cinematografica. Quando lei parla parte il film, il posto si anima e diventa un altro mondo». Beviamo un caffè pomeridiano in una sala biliardi: arredamento anni ’80, temperatura polare, rumore di stecche sul panno verde. «È d’obbligo sedersi e parlare con lei, fa parte dell’esperienza. Riesce a trasportarti in questo passato veramente incredibile.».

Faccio una ricerca su Google: non trovo quasi nulla. L’intervista su YouTube è il risultato più esaustivo; oltre a quella qualche articolo locale, poche foto di Luisa, tutte recenti.

Dove sono le sue biografie? Dove le foto dei personaggi famosi che frequentavano i leggendari locali? 

Madonna Verona viaggia su frequenze diverse, il suo medium non è digitale. È un mito analogico; se non l’hai conosciuta puoi solo affidarti alle testimonianze orali.

Un giorno d’agosto Luisa mi fa una sorpresa. Siamo nel ristorante vicino al suo locale, dove lei è di casa; fa un cenno verso il sacchetto appeso alla sedia: «Ti ho portato delle fotografie. Le guardiamo dopo». Finito di pranzare ci spostiamo all’esterno su un tavolo apparecchiato con una tovaglia a quadri. «Per vederle bene ci vuole la luce».

Man mano che Luisa mi passa manciate di foto, le cose che racconta, assurde e irreali, diventano nitide: giovane mamma con i bambini, in abito da sera, sull’ambulanza, signora del Carnevale; e poi il cavallo Stinger, il levriero Sirio, il fantomatico ma concretissimo Porsche dorato. È tutto vero. E non importa se la data sul retro di una foto del Boomerang n. 1 è in anticipo di almeno sei anni sulla linea del tempo che ho tracciato: è sempre esistito.

«Hai fatto un sacco di cose» le dico.

«Ho vissuto» risponde mentre assorbo ogni fotogramma. E poi: «Cosa resterà delle foto fatte con questi telefonini?». 

Me lo chiedo anch’io, Luisa, che cosa resterà.

Mentre torno alla macchina mi accorgo di un bagliore familiare. Rosa. 

Alzo la testa: l’insegna è accesa.


UN “RIFUGIO” PER CHI VIVE PER STRADA

di Sardon

Intervista ad Alberto Sperotto, vicepresidente della “Ronda della Carità”

Arriviamo in un’officina abbandonata da tempo. Due caseggiati e un capannone, su un terreno abbastanza spoglio, ma grande. Di fianco, la ferrovia.
Il verde della vegetazione attorno è crudo, grezzo. Sembra di non essere più in città, anche se siamo a qualche chilometro dal centro.
Eppure, dopo essere stata affidata alla “Ronda della Carità”, la l’organizzazione veronese che si occupa di aiutare chi è senza dimora, questa struttura ha cambiato faccia.
Oggi, quella vecchia officina si chiama “Rifugio 2” – in via Campo Marzo 32, dietro al cimitero monumentale – e funziona da secondo centro (dopo quello storico di via Garbini 10) per l’associazione, che ha sistemato gli edifici rendendoli agibili.
Incontriamo Alberto Sperotto, vicepresidente della onlus.

Cos’è il Rifugio 2?
La Ronda della Carità è conosciuta principalmente per l’attività notturna, coi furgoni per le vie della città a portare coperte e cibo a chi dorme per strada. Meno conosciuta, invece, è l’attività diurna. Al Rifugio 2 offriamo le colazioni e un servizio aperto a giugno: un’officina per le biciclette.

Di cosa si tratta?
La ciclo-officina “Kamara d’aria”, in ricordo di Kamarà, un ragazzo di ventitré anni morto due anni fa di tubercolosi, aiuta chi è senza dimora ad aggiustare la propria bicicletta. Nella sua baracca abbiamo trovato degli attrezzi, che sono stati il primo patrimonio dell’officina.

Ci viene mostrato il capannone, di cui ormai è rimasto solo lo scheletro metallico, straripante di telai, ruote e manubri pronti ad essere riparati.
Davanti a noi, alcuni ragazzi e dei volontari sistemano le biciclette con gli attrezzi del rifugio.

Com’è cambiato il servizio con l’emergenza sanitaria?
Da un giorno all’altro abbiamo perso la quasi totalità dei donatori di cibo, principalmente ristoranti e locali. Contemporaneamente, le persone per le strade sono aumentate in modo esponenziale. Il picco è stato a ottobre, con duecento novantasei senzatetto, mentre nello stesso giorno del 2019 erano state ottantasette.

Esiste una caratteristica comune a chi vive per strada?
Tutti sono diversi. Non si può generalizzare. L’unica cosa che condividono è l’assenza di reddito. Tanti hanno voglia di lavorare, ma alcuni vivono in quelle condizioni da talmente tanto tempo, che ora sono “patologici”.

Parliamo delle istituzioni.
La prima cosa che le istituzioni fanno è chiedersi: “É di nostra competenza?”.
Una volta ci è capitato di dover assistere una donna incinta e sua figlia di tre anni che dormivano per strada. Era un venerdì sera, e nessuno ci aiutato, né questura né carabinieri. Esistono dei dormitori, ma solo chi ha un documento può entrarci, e tanti non lo hanno.
Per questo motivo, chi vive per strada è un invisibile. E quando comunichiamo all’amministrazione i nostri report, sono increduli.
Il Comune, d’inverno, aumenta la disponibilità dei posti letto, ma non sono sufficienti.

Come vi finanziate?
Quando apriamo gli estratti conto, quasi ci scende una lacrima. Una lunga lista di donazioni, grandi e piccole, da persone a noi sconosciute, che non possiamo neanche ringraziare.
Questo ci fa capire quanto sia importante il nostro lavoro.

Verona è spesso associata all’intolleranza. È davvero così?
No. Riceviamo tante offerte, anche di cibo, e tanti si offrono come volontari. Tutto questo è un grosso aiuto.

Guarda il nostro mini-reportage "Breakfast in Ronda"


134 volte grazie

GRAZIE!!

134 grazie per tutti quelli che in un periodo così difficile hanno supportato Salmon Magazine attraverso le T-Shirt! Eravamo molto preoccupati, non avevamo mai fatto del merchandising prima perché avevamo sempre avuto paura di un super mega flop.
Ora non sappiamo dire se 134 sono tante o poche magliette. A noi, però, ci emoziona pensare che 134 di voi abbiano fatto lo sbatti di metter mano al proprio portafoglio e siano andati sul sito a procedere con la transazione, aspettare settimane perché la mandassimo in stampa e venire a ritirarla in negozio. Tutto questo per il Salmon: stupendo, veramente!

Un mega grazie anche ai 3 screanzati di Gaffe Studio: se non ci fosse stato il loro entusiasmo, se non ci fosse stato il loro spunto iniziale, se non ci fosse stata la loro abilità grafica, se non ci fosse stato il loro senso estetico, se non ci fossero state le loro idee precise non l’avremmo mai fatta.
Quindi 135 grazie.

Anzi 136, perché un 5 alto va anche a Marco e a tutto lo staff di Pixel aka Spaceneil. Super cordiale e super competente nel gestire questa pratica così confusionaria: grazie mille gnari di Veronetta!

E poi grazie a tutti quelli che hanno creduto anche nella mappa di Veronetta.
È fighissima, siamo super felici del risultato ottenuto. Solo grazie al supporto di tanti amici di questo quartiere mitico, siamo riusciti a realizzare un qualcosa che causa Covid sembrava compromesso. Rimanendo liberi da ogni condizionamento, liberi di scrivere ed esprimere a modo nostro l’amore per Veronetta e Verona in generale.

A tal proposito: siamo stati in giro, porta a porta, a parlare con tutte le piccole realtà di vicinato. Vi possiamo assicurare, non è un periodo easy: ci sono famiglie di piccoli imprenditori che sono veramente in grossa difficoltà. Negozi, bar, osterie… in grossissima difficoltà. Ci sono tanti lavoratori che sono a casa in cassa integrazione (nel migliore dei casi). Tante attività costrette a chiudere perché impossibilitati ad andare avanti. C’è tanta più gente che s’aggira come fantasmi, senza più nulla.

Non prendiamo sotto gamba questo periodo; è difficile, difficilissimo, ma dobbiamo stare attenti. Per cui, mai come adesso, pensiamo bene dove spendere i nostri soldi e, soprattutto, seguiamo le pratiche anti-covid. Scusate il momento “tristezza”, ma solo se sappiamo fare tutti la nostra parte, possiamo uscire fuori bene da questo periodo del cazzo

Inoltre, un pensiero alla lotta contro le discriminazioni razziali: le vite di chi ha un colore di pelle diverso dal nostro sono importanti anche a Verona.

Infine, un pensiero a Betta de la Vecia Veroneta: tanti di voi se la ricorderanno, sempre sorridente e disponibile, sempre carica e allegra. Ha lasciato un grande vuoto nel nostro quartiere e soprattutto ai suoi cari; teniamola sempre nei nostri ricordi!

 

Scarica qui la mappa di Veronetta in PDF


Tour da Salmon: Veronetta

Cos'è il "tour da Salmoni di Veronetta"?
È un tour a costo zero, veloce e tutto fronzoli: se vuoi conoscere un territorio parti dai dettagli, lasciati andare e un pochino perditi.
Fatti solleticare da Veronetta, lascia che ti bisbigli un segreto insolito e guardala arrossire.
I classiconi possono aspettare.
-
Avvertenze: organizza questo tour in ordine sparso, non pratico, non consequenziale: non mettere in ordine i punti, non ottimizzare il percorso, goditi il passare 2-3-4 volte dalla stessa via, osserva, elabora un tuo pensiero e giudizio critico, lascia il percorso, riprendilo, condividilo, fallo da solo, ripeti l’esperienza e assapora come varia la percezione, fallo con il sole, fallo con la pioggia, fallo concentrandoti sugli odori, fallo in bicicletta oppure, ignora ogni consiglio.
In una frase: fallo come vuoi ma fallo.

Location: Veronetta

Tempo di percorrenza: da 15 minuti a 3 generazioni

Dislivelli: ocio ad alcune scalinate davvero potenti

 

VIA ALLE TAPPE!

Vicoletto Cieco Croce di Malta
Sarà la vicinanza con il centro scommesse più chic di Verona e provincia, sarà il fatto che in quella viuzza non ci batte mai il sole o sarà quel che sarà, ma questo vicolo ci ha sempre ispirato sensazioni alla bassifondi di Bladerunner.
NB. Se sei nel vicolo e passa la polizia, “vai in prigione direttamente senza passare dal via.”

 

I Matitoni di via XX Settembre
Tra 15 anni, quando la nostre prole, eventuale nipotame o fratelli piccoli andranno tra le mura di questa ex-cartoleria a fare aperitivo, ci piace immaginare che almeno i Matitoni saranno ancora al loro posto.

Nota postuma: i Matitoni non ci sono più. Che siano in restauro presso quanche studio affiliato al ministero dei Beni Culturali? O sono stati comprati da un ricco collezionista d'arte?

:(

 

 

 

Si stava meglio quando c'erano loro.

 

Antichità e Restauro in Via S. Giovanni in Valle
Un’occhiata alla vetrina e poi dentro a chiedere se hanno il libro della Storia Infinita o Jumanji (prima edizione).

 

 

“Il traffico siete voi”
Andate, leggete, pensate e lasciate un fiore.

Nota postuma: rimosso da qualche zelante imbianchino. La poesia rimane, e se una notte volete andare a ripozionarla con una decisa spraiata di colore non dite che vi abbiamo istigato.

 

 

Insegna “pesce fresco e surgelati”
Il carretto passava e quell'uomo gridava, “surGelati”. Insegna premio design 2008. In via S. Nazaro since memoria.

 

 

Il camion e L’In’s
Una storia d’amore che si manifesta ogni settimana.
Un tir arriva in Via S. Nazaro e con una manovra millimetrica si infila dentro l’In’s in un atto amoroso fatto di aderenze e carezze tra giranti. Poesia e consumismo: al contempo una critica al sistema e un invito a volersi bene incondizionatamente.

Solo foto by Google Maps. Non è semplice intercettare questo magico momento. Tu sei riuscito? Vuoi mandarci la tua foto?

 

 

Portabici UniCredit
Lucchetti arrugginiti, catene consumate e rottami incompleti. Il triangolo delle bermuda dei bicicli, il cimitero del “costa di più sistemarla che ricomprarla”
Anche qui lascia un fiore; non la bicicletta.

 

 

Meridione life sottoscala
La scala di S. Nazaro è un capolavoro. Se ci vai, prima di schiacciare il gradino numero 1 guardati intorno e respira la vibe meridionale di un vicolo monopolizzato da famiglie del sud Italia: That’s Amore! Poi visto che si siete salite la scala per studiare i tetti di Veronetta.

 

 

Il negozio di lampadine e sua insegna

Lazzarin, una luce nella notte di Veronetta. Eh sì qui si vendono bulbi luminosi dal giorno seguente in cui furono inventati. Menzione speciale all'insegna con la "S" capovolta e la scritta OSRAM che, come avranno già notato i più fini latinisti, al contario è MARSO.

 

 

Terrazza don Calabria
Salendo da via Scala Santa si arriva al non modesto complesso del Don Calabria. Se non ci vai alle 4 del mattino dovresti trovare aperto. Accedi al terrazzo panoramico e goditi forse la miglior vista possibile e immaginabile su Veronetta.

 


Perché mappare Veronetta

di Irene Viviani

Dopo una passeggiata alla scoperta della Lessinia, giungiamo fino alle porte della città per un
aperitivo in Veronetta, precisamente in Via Venti Settembre, per i più solo Via Venti, un po’ la via Mazzini de noialtri.
Una zona tanto amata quanto odiata, tanto evitata quanto frequentata, che vive di una
reputazione che non merita, ma che per noi salmoni ha un sapore speciale. Una casa colorata che accoglie tutte le
diverse anime che popolano questo quartiere: universitari, lavoratori, residenti e immigrati, creativi
squattrinati e gran signori veronesi. Veronetta un ostello che ospita, nei propri spazi storie, profumi, colori e sorrisi da tutto il mondo.
E come ogni viaggio on the road che si rispetti, abbiamo deciso di fare tappa in ostello e di
dedicare una pagina del nostro diario di bordo a questo quartiere che in troppi pensano di conoscere e aver inquadrato nel bene e nel male: dal canto nostro noi alziamo la pinna e dichiarando ingnoranza urliamo: vogliamo saperne di più!
Impossibile mappare Veronetta annoiandosi: qui si svolgono gli eventi più contemporanei nei
luoghi e nei locali più alternativi, dove le menti più folgorate si radunano per dare a Verona quel
tocco international/alternative/hipster/multiculturale/cool che, oggettivamente, manca. Oltre a
tutte queste robe da ciapadi, Veronetta vanta di una caratteristica speciale che la
contraddistingue da tutte le altre zone della città: è autentica (aka per i veri duri). Abbiamo fatto due ciaccole con una persona che il quartiere lo conosce come le sue tasche, in lungo e in largo, avanti e dopo Cristo: Pierluigi Grigoletti (Associazione Dèsegni e Cocai) che come prima perla ci offre il seguente stimolo, “Veronetta è una New York in miniatura dove delle volte si sta in trincea e delle altre volte ti sembra di essere in centro storico. È la terra delle contraddizioni. Veronetta non è per fighi, è per persone vere”, le quali, spiega Pierluigi, “hanno scelto di uscire dal proprio guscio con la volontà di entrare in
contatto con l’altro diverso da loro”. Queste persone se ne fregano della citazione shakespeariana e riscoprono in Veronetta tutto il mondo che c’è al di fuori delle mura (a volte reali a volte ideali) di Verona. Noi salmoni abbiamo accettato la sfida e da veri duri vogliamo capire cosa significa mappare un quartiere autentico. Vogliamo mappare Veronetta non perché sia una figata in sé, ma perché dodata di una sua identità viva e pulsante. Noi vogliamo immergerci testa e piedi, fare il pieno di chicche e riempirci la bocca di stupore e meraviglia.

Venite anche voi a sporcarvi le mani?


Hidden Verona - Centro Storico: Smaltotecnica Arco dei Gavi

Oggi vi parliamo di un bottega di quelle vere, di quelle come una volta, in cui il rapporto umano e la passione sono in prima linea. Siamo stati a fare due parole con chi da quasi 70 anni fa vivere la Smaltotecnica Arco dei Gavi: ecco cosa ci hanno raccontato.

Da quanto è aperta la vostra
attività? È sempre stata qui?

Si, la Smaltotecnica è qui circa dal 1950, allora c'era il nonno. È un locale storico, anche l'insegna è quella originale di ormai settant'anni fa. Diciamo che nel mentre che molte cose qui intorno cambiavano, noi ci siamo mantenuti più o meno uguali.

Sicuramente oggi è un posto un po'
inusuale per il centro storico, che negli ultimi anni ha indirizzato
sempre di più le attività verso i turisti. Come siete riusciti a
resistere a questa tendenza?

Si, negli anni abbiamo mantenuto un certo target anche a costo di non avere grandi guadagni. Pur essendo un punto molto frequentato da turisti ed il negozio stesso lo è, a discapito del guadagno abbiamo tenuto duro mentre tanti altri hanno chiuso. Certamente siamo un po' di nicchia, oggi hanno aperto molti centri commerciali e cartolerie varie, ma si tiene duro. Non manca ovviamente la volontà e la voglia di innovarsi: l'idea ora è di fare proprio questo: rilanciare l'attività, riassortire nuovamente e ristrutturare il locale, senza però venire meno ai valori e a tutti quegli aspetti che i nostri clienti apprezzano.

Qual è l'identikit del cliente del
vostro negozio? Si va dal turista curioso al cliente affezionato?

Beh, tra i nostri clienti ci sono molti storici artisti della città; c'è poi il presidente della SBAV (Scuola Belle Arti Verona) che manda qui tutti i suoi studenti. Anni fa facevamo anche promozione all'Accademia, nelle scuole. In effetti entrano anche turisti, a volte rapidamente entrano ed escono, altre volte scatta un qualcosa che magari li fa ritornare a distanza di anni. È successo anche con degli spagnoli che ancora ci mandano scatole di cioccolatini!

Com'è il rapporto con gli altri
esercenti della zona? Ci si aiuta, ci si ignora?

Beh, ci conosciamo
tutti qui in zona. Poi negli anni tanti negozi sono cambiati, noi
siamo un po' l'osso duro! In generale andiamo d'accordo con tutti,
con gli esercenti cosi come con i clienti.

Per lavorare con serenità cerchiamo sempre di coltivare il rapporto umano: ascoltiamo, diamo consigli. Pensa che qualche artista ormai non più giovincello ricorda che ha mosso i suoi primi passi da qui, perché gli regalavamo i tubetti di colore! Sono cose belle e chi dimostrano che lo spirito è quello giusto.

C'è qualche aneddoto particolare
che vi è capitato in tutti questi anni di attività?

Beh, nel corso
degli anni tanti artisti sono diventati amici di famiglia. Voi siete
giovani, ma per esempio Aladino Ghioni, artista veronese molto famoso
negli anni '70-'80, fu incaricato di dipingere un grande Cristo nella
basilica di San Zeno: un giorno eravamo in piscina insieme e Aladino
scelse papà, disteso sul lettino, come modello per la sua opera!


Hidden Verona - Centro Storico: Libreria Il Gelso

Un luogo speciale e che non poteva mancare sulla nostra guida del Centro Storico: la sognante Libreria il Gelso, luogo fatto di libri e oggetti semplicemente bellissimi.

Libreria Il Gelso, un giardino da leggere, nel cuore di Verona.

Prima domanda di rito: Libreria il Gelso è sempre stata qui in Via Zambelli? Quand'è nata?

Non è sempre stata qui: era in Corso Porta Nuova, ma questa forma cartoleria-libreria c'è da quando ci siamo noi, da più di 25 anni. L'idea della cartolibreria, di unire la carta ed i libri, è stata nostra.

Sicuramente la parte di cartoleria è ricchissima, molto particolare e -immagino- riconosciuta come tale. Come selezionate le materie prime ed i fornitori?

In effetti una volta è venuto un nostro fornitore di carta e ci ha assicurato che a Verona, ma anche a Milano e Torino, non esistono negozi di carta così ben forniti. Abbiamo tutte le cartiere più importanti d'Italia, i prodotti classici e quelli più recenti, e non solo: teniamo prodotti dalla Francia, dal Nord Europa, dall'Oriente e da laboratori locali.

Insomma, avete fornitori da tutti gli angoli del mondo! E gli articoli di cartoleria li producete voi?

Il 90% di quel che è cartoleria lo facciamo noi: i biglietti, i quaderni, gli album, i libri-firma. L'oggettistica, i prodotti per la scrittura, i soprammobili ed i fermalibri, arrivano principalmente dal Nord Europa, ma dall'anno scorso abbiamo cominciato a sviluppare dei prodotti nostri con una ragazza, Chiara, che è specializzata in lavori con il legno. Abbiamo degli artisti che collaborano con noi, alcuni ormai di vecchia data ed altri più giovani: calligrafi, incisori, artigiani.

I prodotti di questi artisti sono esclusivamente per noi: richiediamo loro di sviluppare dei temi ed i lavori finiti li si possono trovare solo qui. Ovviamente poi loro fanno molte altre cose, murales, dipinti eccetera. Sono tutti bravissimi!

Ultimamente si può dire che la necessità di scrivere è sicuramente calata, sostituita da nuove tecnologie. Voi che lavorate con carta e penna, cosa ne pensate?

Beh, crediamo che negli ultimi anni si sta verificando un ritorno, una riscoperta del piacere di scrivere. Proprio l'altro giorno leggevamo un articolo che racconta di una scuola friulana di 'nuovi amanuensi'; nell'articolo veniva sottolineato anche il valore terapeutico della scrittura: se pensi allo sviluppo negli ultimi anni di libri da disegnare – come ad esempio quelli di mandala - , questi sono nati proprio come antistress, come terapia. L'esercizio di scrivere si è staccato dalla scrittura come necessità scolastica, perché probabilmente i nativi digitali hanno sempre meno a che fare con i quaderni già nella scuola, così ci stiamo lentamente rendendo conto di tutti quei vantaggi lasciati per strada, vantaggi connessi al fare un esercizio di coordinazione occhio-mano-pensiero.

Bisogna dire che ci sono stati anche importanti esponenti italiani che sono riusciti a riunire tendenze e movimenti diversi: penso ad esempio a Luca Barcellona, che era un writer ed ora è un grande calligrafo. Ha unito questi due mondi, sicuramente ha contribuito ad avvicinare tante persone ed a ridare slancio alla scrittura!

E voi personalmente avete riscontrato questo ritorno al piacere della scrittura e questo nuovo interesse per la carta?

Si, in generale si, alla gente piace. Pensa che alcuni turisti dalla Florida, dalla Gran Bretagna, hanno approfittato di un soggiorno a Verona per passare qui in libreria, perchè avevano letto di noi su riviste specializzate all'estero. Per noi quando capita è motivo di grande soddisfazione e orgoglio! Questo rispecchia molto anche il vostro progetto come Salmon: dare valore alle peculiarità, alle botteghe del territorio. Spesso ci dimentichiamo che la bellezza, il fascino del nostro paese è dato proprio da questa particolarità, le piccole realtà tipiche radicate nel territorio. Di frequente le città fanno importanti investimenti in zone commerciali con grandi brand internazionali, quando in realtà il turista non viene a cercare quello, ma il piccolo laboratorio autentico.

E il cliente cosa cerca? C'è qualche prodotto che vi rappresenta in particolar modo?

Beh, ti sembrerà assurdo ma il prodotto più venduto è sicuramente l'album portafoto. E' il primo prodotto che abbiamo sviluppato: lavoravamo con un'azienda produttrice che aveva degli ottimi materiali, poi molti ragazzi da lì sono venuti a lavorare con noi ed è nato il nostro laboratorio, con i primi modelli di album e quaderni. Poi i biglietti, i segnalibri. Pensa che da quindici anni un cliente di Madrid viene una volta all'anno e si porta a casa i segnalibri, pezzi unici fatti a mano, da collezione.

Ci avete parlato della vostra passione per la carta. E l'altra faccia della libreria il Gelso? Raccontateci un po' dei libri!

Un giardino da leggere nel cuore di Verona: la libreria nasce negli anni'80 come centro di cultura ecologica, in corso Porta Nuova; poi ci siamo spostati qui e pur mantenendo l'originale vocazione alla bioarchitettura, urbanistica, manualistica sulla gestione dei rifiuti, siamo diventati più romantici. Abbiamo inserito prodotti di carta riciclata ed il ventaglio di libri si è aperto anche verso la narrativa: si va dalla letteratura di giardino, le poesie di Prevert sugli alberi, ai manuali di botanica. L'altra parte importante è la letteratura di Verona, pubblicazioni veronesi sulla città e dintorni e libri fotografici; negli ultimi tempi abbiamo sviluppato anche una piccola sezione sul camminare, con qualche guida d'escursionismo ma in particolare libri di filosofia di viaggio. Fondamentalmente è gestita come se fosse la biblioteca di casa: tutto quello che ci piace e che ci sta, lo inseriamo.

Nel settore dei libri, così come in altri, Internet offre oggi possibilità d'acquisto infinite. La carta vincente di attività come la vostra può essere proprio riuscire ad offrire al cliente una selezione ed un consiglio che il web non può dare. Siete d'accordo?

In linea di massima chi compra online è un cliente che sa già cosa comprare; chi viene in libreria invece molto spesso entra, chiede un consiglio, non sa ancora cosa comprerà. Negli ultimi anni abbiamo avuto la conferma che non si può fare concorrenza al web, per lo meno sul prezzo; quello che possiamo fare noi come negozianti è fare quello che non possono fare loro: accogliere il cliente, fare consulenza, avere il piacere di fare due parole e coltivare il rapporto umano. Probabilmente è l'unico modo che hanno i commercianti di sopravvivere. Da questo punto di vista vedo più avvantaggiati i piccoli negozi, che hanno la possibilità di avere questa intimità con il cliente, rispetto alle grandi catene in cui questa componente manca: se andare in un negozio fisico diventa come comprare on line, a quel punto compro on line. Se invece la piccola bottega riesce a darmi un servizio in più, allora mi rivolgerò sempre lì.


Hidden Verona - Centro Storico: Osteria al Duomo

Siamo stati nel cuore della città, all'Osteria al Duomo, a farci due ciacole e due bigoli col musso. Il proprietario Giorgio ci ha raccontato la sua attività ed il suo amore per la cucina veronese: qui si fa “resistenza gastronomica”! Ecco la nostra intervista.

Prima solita domanda: da quanto
tempo avete aperto? Osteria al Duomo è sempre stata qui?

Si, l'Osteria è sempre stata qui dagli inizi del '900. Ho rilevato la proprietà nel 1994 e dal 2001 siamo due soci.

Nel corso delle nostre interviste abbiamo scoperto le difficoltà nel sopravvivere in centro storico: la miscela è saper essere appetibili per la clientela locale ma anche saper lavorare con i turisti, che sono una risorsa importante per la città. Siete d'accordo?

Si, l'Osteria al Duomo è
fondamentalmente un locale conosciuto e frequentato dai veronesi; poi
il turista che non si accontenta dei grandi classici pizza e
spaghetti, che cerca una cosa un po' più tradizionale ed in linea
con la storia della città chiede e trova noi.

Ed il turista che viene qui è un
turista preparato? Si aspetta di trovare piatti “esotici”?

I giapponesi sono preparatissimi: cercano e trovano, arrivano con la fotografia, con il nome del piatto e chiedono di poterlo assaggiare. Poi c'è qualche inglese, qualche americano; pochi anni fa avevano parlato di noi sul New York Times: un giornalista americano era stato qui, aveva mangiato i bigoli con il ragù d'asino ed ha scritto un articolo sull'Osteria!

Qualcun altro si siede impreparato, si
alza e se ne va: insomma, probabilmente la carne de caval non è così
facile. Vista da fuori è cucina etnica!

Qual è il vostro piatto forte?

Beh, probabilmente il piatto che ci contraddistingue di più sono i bigoli con il ragù d'asino: non riusciremo mai a cambiare rotta da questo punto di vista!

Secondo voi per quale motivo alcuni
piatti tipici, come ad esempio il lesso con la pearà, sono così
radicati e mitizzati nel territorio, mentre al di fuori della
provincia rimangono sconosciuti?

Sai, in Italia c'è una fortissima
tradizione culinaria regionale, locale, cittadina: piatti che mangi
qui non li mangi a Mantova, a Vicenza e viceversa. La cultura
culinaria è veramente molto radicata nel territorio! Pensa il
baccalà: a 50 km da qui, a Vicenza, lo cucinano dappertutto, a
Verona non lo trovi da nessuna parte. In Italia la cucina è come i
dialetti: cambiano nel giro di pochi chilometri.

Il fatto di portare avanti questa
tradizione culinaria veronese vi fa sentire in qualche modo come
promotori di una cultura locale che rischia di perdersi nel mondo di
oggi?

Direi più che altro che negli anni
abbiamo resistito alle mode del momento: siamo ancora qui nonostante
i pub, i sushi, i wine bar e i kebab vari. Le mode sono state tante e
sono sempre di più come fulmini a ciel sereno: ad esempio le
hamburgerie negli ultimi anni, che già ora sembrano in leggero
declino. In generale oggi l'offerta è ampia e confusionaria, così
probabilmente un cittadino italiano torna sempre più spesso a
scegliere i piatti semplici della tradizione.

Un'ultima domanda: che rapporti ci
sono con gli altri esercenti della zona? Ci si aiuta?

No, non c'è sinergia, generalmente
ognuno guarda al proprio orticello. Quando ho iniziato nel '94 c'era
la volontà di darsi una mano come ristoratori, si cercava di tenere
gli stessi prezzi sul bere, poi negli anni quest'idea si è molto
smorzata.

Un'ultima cosa la diciamo noi:
questa strada è un'angoscia, il giorno che la chiuderanno sarà un
giorno di festa...Vogliamo il plateatico!


Hidden Verona - Centro Storico: Gelateria Savoia

Qui in redazione siamo cresciuti a pane e Mattonelle Savoia. Veramente la gelateria di una volta, un simbolo della città e una garanzia. Come non includerlo nella nostra guida del centro?

Da quanto tempo siete aperti?

La gelateria Savoia nasce nel 1939 nel centro storico di Verona, sotto l’Orologio, a fianco della Farmacia Internazionale; nel 1964 viene spostata qui in via Roma. Questa è la terza generazione; lo zio di mio padre la fondò con il nome di gelateria Bonvicini, per assumere il nome attuale nel 1972.

Essendo questa è la gelateria più antica di Verona ci viene spontaneo capire se come sia cambiato il modo in cui fate il gelato...

Non siamo cambiati molto: non ci siamo mai “venduti” a preparati che possano agevolare la preparazione a scapito della qualità! Ad esempio sulle materie prime: se al posto della frutta si usano dei surgelati o dei preparati, si fa risparmiare sì tempo al gelatiere... Ma la lentezza è parte fondamentale della nostra filosofia. Per dire, abbiamo il fruttivendolo che ci porta ogni mattina la frutta di stagione.

Verona è la quarta destinazione per numero di turisti in Italia, immagino che questa cosa influisca molto sui flussi di clienti qui dentro. Corretto?

Esattamente, noi per la maggior parte dell’anno lavoriamo all’80-90% per i veronesi; nei mesi di maggior afflusso turistico arrivano per lo più turisti stranieri che anche grazie alle informazioni che reperiscono su Internet vengono qui e sanno già quali gusti ordinare.

Quando prendono piede queste attività, chiaramente chi lavora bene ottiene fiducia, dall’altra parte spuntano come funghi competitor che copiano i prodotti a scapito della qualità, è una cosa che respirate anche voi?

Certamente, questo accade soprattutto nel settore enogastronomico. Nascono attività come pizzerie e ristoranti che vanno a copiare, depauperando la qualità. Bisogna continuare a inseguire la qualità per fidelizzare il cliente.

Ad esempio ho visto "La Mattonella" anche in un'altra gelateria...Sacrilegio!

Ho capito a cosa e a chi vi riferite! Vi dico già che hanno smesso di farla... Per fare la Mattonella serve essere molto bravi e pazienti. Per prepararla artigianalmente servono cinque persone e i costi di produzione sono elevati. Non un prodotto facile da copiare!

C'è qualche aneddoto particolare, anche storico o divertente, o qualche cliente celebre che è entrato?

Tantissimi... potrei nominare Renato Zero e Silvio Berlusconi. Il mio aneddoto preferito però è successo l’anno scorso in occasione della presentazione di una  nuova collezione di Calzedonia, personalmente ho consegnato un gelato a Julia Roberts in un hotel qui vicino. Quando l'ho incontrata non l’ho salutata come “Miss Roberts”, ma come “Vivian”, come nel film Pretty Woman, degli anni ’80. Per me è stata un’esperienza che ricordo ancora oggi con simpatia.

Cari amanti del gelato artigianale, siete avvisati: un salto dalla gelateria Savoia è d’obbligo, soprattutto se siete alla ricerca di atmosfere che rispettino le vecchie tradizioni tramandate di padre in figlio!


Hidden Verona - Centro Storico: Al Carroarmato

"Al Carroarmato non si sparano cannonate, ma gioia e socialità". In un magnifico locale del milletrecento, da più un quarto di secolo l'osteria Al Carroarmato propone la cucina tipica veronese a cittadini e turisti curiosi. Qual è il segreto dell'attività? L'autenticità.

Da quant è aperto il Carroarmato? È
sempre stato qui?

Questa edizione di Carroarmato nasce il
4 giugno 1988: l'anno scorso abbiamo festeggiato 30 anni di attività.
Sempre qui in vicolo Gatto. Il locale è del XIV secolo, lavoriamo
quindi all'interno di una storia molto profonda.

Ma dunque prima dell'88 c'era già
un'osteria?

L'osteria da cui abbiamo preso il nome è nata qui nel 1920, chiusa nel 1954. L'aveva aperta un carrista: amava l'arma ed ha scelto questo nome. È diventata poi un magazzino per molti anni ed infine è rimasta sfitta. Sapendo dell'antica osteria, volevamo restituire a questo luogo la sua vocazione aggregativa: l'idea era di porre come protagonista il vino. Abbiamo deciso di mantenere il nome dell'osteria originale -nonostante all'inizio mi facesse accapponare la pelle- ed abbiamo commissionato alla fonderia Brustolin la costruzione di questo magnifico carro armato di Leonardo. È diventato il simbolo della nostra osteria.

Come si compone la vostra clientela?
Veronesi e turisti?

Io li considero tutti clienti:
qualsiasi persona che entra al Carro Armato è per me una persona che
va seguita ed accompagnata all'interno del percorso della nostra
proposta e dei suoi desideri. C'è il veronese che non è mai venuto
qui, il veronese che frequenta le nostre quattro mura ed il turista.

La cucina veronese non è molto
conosciuta in Italia. I tuoi clienti sono per lo più persone che
vengono a cercare i piatti tipici veronesi o persone che entrando qui
scoprono la nostra cucina?

La cucina veronese
non è una cucina ampia: a parte i due piatti tipici, la pearà
e la pastissada de caval, ci sono poi cucine locali come
quella del lago di Garda o delle basse veronesi. In generale chi
entra al Carro Armato cerca l'autenticità: ai miei clienti propongo
i piatti tradizionali della città, tutto il resto fa parte della
tradizione della mia famiglia.

Qui al CarroArmato negli anni avete
proposto anche proiezioni, concerti, spettacoli?

Si, negli anni
abbiamo ospitato degli eventi meravigliosi. Dall'89 abbiamo proposto
musica per oltre 15 anni: abbiamo ospitato il primo seminario di
Barry Harris di interpretazione jazz, quella sera c'erano qui
più di 40 jazzisti da tutta Europa. Ancora mi emoziono quando
ripenso alla bellezza di quegli eventi!

Secondo lei c'è spazio oggi per una
ricerca culinaria come la vostra, legata al territorio ed alle
tradizioni? C'è ottimismo verso il futuro?

No, non sono
ottimista verso il futuro. Siamo nell'epoca dei fast food: il cliente
cerca qualcosa di veloce, qualcosa che trova in tutto il mondo. Non è
interessato a curiosare, perchè la curiosità comporta tempo e
purtroppo oggi viviamo troppo velocemente. All'opposto, chi viene al
carro armato sa che deve parcheggiare fuori dal centro, passeggiare
fino a qui, sedersi a tavola e mangiare con tranquillità: è
un'esperienza molto diversa.

Penso che siano
scelte politiche: ad un bivio bisogna sempre scegliere quale strada
intraprendere, se quella dell'interesse immediato, delle grandi
compagnie o invece quella di dare la possibilità all'ospite di
godere veramente della città, non solamente di 'passarci'.

Un'ultima domanda: c'è un episodio
curioso, un aneddoto particolare che è accaduto qui al Carro Armato?

In trent'anni di
attività di aneddoti ce ne sono una montagna! Di sicuro almeno una
generazione intera ha scambiato socialità ed incontri all'interno
dell'osteria: studenti, lavoratori, cittadini, turisti che hanno
aneddoti ed emozioni legate a questo luogo. Ho avuto la fortuna di
condividere con loro il lungo percorso di Carro Armato.