DISCO DEL MESE: Izzy Bizu - A Moment of Madness
È passato un anno da quando è uscito “A Moment of Madness”. Mai come in questo periodo della mia vita, volevo ascoltare qualcosa di raffinato, delicato, tristemente felice o felicemente malinconico. Questo è l’album perfetto per il mio tempo, per questo tempo e per questi momenti. Questo magari non sarà rapportabile a voi. Francamente poco importa, anche perché scrivo io e voi leggete, quindi anche bene non avreste la possibilità di fare la stessa cosa.
È un album bello. Quando intendo bello, non mi riferisco minimamente all’aspetto estetico della cantante (lei è bellissima, ma è soprattutto bravissima). Anche perché la bellezza dell’aspetto esteriore è come la carta da regalo il giorno di natale. Può essere magnifico il contenitore, ma se nel contenuto non c’è quello che desideravi, te ne fai davvero poco e la butti via. Qui c’è così tanto contenuto che potrebbe non esistere il contenitore. Un album veloce, diretto, immediato e delicatissimo. Una ballata come “White Tiger”, piano voce e drum-line scarna e diretta, ti prende, ti porta direttamente davanti ad una finestra di un grattacielo in America e ti riempie il cuore, facendoti ricordare l’appuntamento incredibile che ti è appena capitato, con la ragazza che da un mese vedevi alla fermata.
C’è tanta gioia, distacco ed allegria. Si percepisce il tutto in “Give me Love”, uno dei primi singoli che anticiparono l’uscita dell’album. “Izzy” ha origini Etiopi ed una passione smisurata per Bettye Swann, James Brown. All’interno dei suoi lavori, si trova un bellissimo mix tra soul, funk e jazz. C’è poco da aggiungere, quando BBC Introducing ti sceglie per farti esibire a Glastonbury no?.
Arriverà a pieno titolo anche nel nostro paese. Con calma, con la stessa calma con la quale io l’ho scelta un anno dopo come disco del mese.
Tracklist:
1 Diamond 3:48
2 White Tiger 3:30
3 Skinny 3:56
4 Naive Soul 4:01
5 Give Me Love 3:16
6 Adam & Eve 3:15
7 Gorgeous 3:24
8 Lost Paradise 4:06
9 Glorious 3:34
10 What Makes You Happy 3:33
11 Mad Behaviour 4:40
12 Circles 4:14
13 I Know 4:10
14 Fly With Your Eyes Closed 3:45
15 Hello Crazy 3:27
16 Someone That Loves You 4:04
17 Trees & Fire 2:54
Follow Mercutio - La mappa di Veronetta
Veronetta.
Sinceramente? Il quartiere più figo di Verona. Secondo il nostro modestissimo e sindacabilissimo parere.
Follow Mercutio
Tutti conoscono Verona per Romeo e Giulietta.
Nessuno prende in considerazione tutti quei viventi che provano a contribuire alla città con iniziative dell'oggi, non dell'altro ieri.
È per questo che noi stiamo dalla parte dei Salmoni, quelli che vanno controcorrente, e di Mercutio, lo sfigato, amico di Romeo, che ci ha pure perso le penne...
Perché?
1. attaccato al centro storico ma lontano, al momento, dal quel grosso e grasso parco divertimenti impersonale in cui si sta trasformando.
2. sede dell'università di Verona: 25.000 giovani che potenzialmente potrebbero animare la zona.
3. ghetto degli immigrati, ovvero migliaia di persone che ancora sanno e vogliono vivere la piazza e le strade. Con i loro colori, le loro storie, i loro odori e le loro differenze. Quartiere pulsante, no quartiere dormitorio, che ogni giorno ti porta in viaggio in un angolo diverso del mondo. Ogni giorno è festa, ogni giorno è un transoceanica nelle vie di Veronetta.
4. affitti (abbastanza) bassi = terreno di conquista di creativi squattrinati = le iniziative più contemporanee, i locali più diversi, le menti più folgorate hanno trovato pane per i loro denti qua in Veronetta.
5. con l'arrivo di AirBnB è anche diventato punto di approdo per i backpackers da tutto il mondo. Tanti sono gli americani, gli australiani, i sudafricani e i nord europei giovani che dormono e trafficano le vie di Veronetta.
Problema
Ancora in pochi, soprattutto tra i veronesi, la conoscono. Etichettata e presentata come quartiere pericoloso, sporco e malfrequentato, in pochi conoscono questo lato della città. Anzi, se ne tengono proprio lontani; ed è un peccato.
Perché la realtà è diversa e l'unico modo per capirlo ed apprezzarlo è camminare tra le strade di Veronetta.
Soluzione
Questo il motivo per cui abbiamo pensato ad una mappetta. Soluzione vecchia come il cucco ma, proprio per questo, ancora funzionale e di facile fruizione. Al suo interno abbiamo inserito le realtà e iniziative più interessanti del quartiere. SECONDO NOI, sub-umani passibili di opinioni opinabili e correggibili.
La stampa e le lavorazioni per realizzarla sono state auto-finanziate da chi ha voluto. Chi non ha voluto c'è ed è segnalato sulla mappetta tanto quanto gli altri.
Scarica qua la mappa in digitale
Dove
La si trova in tutti i punti che sono segnalati.
Qua la lista:
7 Libre
8 Casa del raviolo
9 I Preti
11 Cañara
12 Celtic pub
13 La Giarina
15 Du schei
16 Libre art
20 Bicicaffè
22 D-HUB
23 Terracotta
24 AlBacaro
25 La cantina de santa toscana
27 Da morandin
28 Ai osei
29 Rocket Radio
31 Corinna ferrarese
32 È cucina
33 Isolo 17
34 Ivonne Sthandier
35 Deposito A
36 Dolci colori
37 Lo speziale
38 Malacarne
39 Arca di Noè
40 Fuoricorso
41 The Kitchen
43 Tabulè
45 Chesini
Se chiunque altro volesse ospitare e distribuire la mappa, sia in inglese che italiano, basta che ce lo faccia sapere a questo indirizzo:
redazione@salmonmagazine.com
Sockeye - intervista al fondatore del Tocatì
Giocare è la cosa meno importante - per questo è essenziale.
Il Tocatì è roba grossa: da quindici anni, per qualche giorno, riempie la città di giocatori e visitatori provenienti da ogni parte del mondo. Attorno alla dinamica e alla cultura del gioco di strada si crea così un intreccio di persone e culture come nessun altro evento riesce a fare a Verona: neanche il Vinitaly o quell'abominio socioculturale che è Verona in Love. Il Tocatì quest'anno è alla sua XVesima edizione ed è candidato a diventare Patrimonio Culturale Immateriale dell'Unesco.
Quando, da oggi fino a domenica, andrete a guardare i lottatori turchi sfidarsi, o parteciperete ad una partita di lippa (s-cianco per i veronesi), ricordatevi di pensare ad una cosa: tutto quello che vedrete è nato tanti anni fa, in una piccola osteria di Verona, quando un gruppo di amici appassionati di giochi antichi decise mettere il naso fuori in strada e parlare alla gente.
Un weekend di caldo incredibile di qualche tempo fa ero all'osteria Carega per parlare con Giorgio Paolo Avigo: uno dei fondatori del festival e presidente dell'Associazione Giochi Antichi.
Voi la sapete la differenza tra sport e gioco? E lo sapete che in Sri-Lanka giocano allo s-cianco per imparare a giocare a cricket? Io ho imparato tutto questo - e ben altro - in una lunga ed appassionata chiacchierata.
In grassetto le mie domande.
Qui siamo al Carega, l’osteria dove vi trovavate dovrebbe essere qui dietro no?
"Sì uno dei luoghi dove ci trovavamo sempre è l’osteria le Petarine, abbiamo anche chiesto di mettere una targa in quanto sede storica... Il tutto è nato quasi per caso, tra un bicchiere e l’altro, tra delle chiacchierate all’Osteria e una partita a s-cianco in strada - in fondo tutto questo, tutto quello che abbiamo creato è nato da quel gioco. L’associazione nasce dal recupero dello s-cianco."
…che è un gioco che facevate fin da piccoli immagino, io lo conosco ma non ne conosco l’origine, è di Verona?
"Il termine è di una parte della città di Verona. Il gioco in sé, invece, è un gioco che è praticato tutt'ora a livello internazionale ed è diffuso da sempre in diverse parti del mondo. A livello di festival quest’anno abbiamo inserito il “Torneo internazionale di lippa”: ci sono tre squadre italiane e sette provenienti da varie regioni europee.
Mi piace raccontare come ancora prima del primo torneo un gruppo di srilankesi ci abbia visti giocare e si sia subito avvicinato:
“Ma scusate perché voi giocate al nostro gioco?”
“Cossa gheto?”
E da lì, dal 6 ottobre 2002, hanno sempre partecipato al torneo di s-cianco con una squadra dello Sri Lanka. Quasi ogni anno vanno in finale, anche se è raro che vincano..."
Perché sono meno forti?
"Ma perché come accade per tutti i giochi tradizionali non è così facile rispettare le regole come sembra dall’esterno. La regola fondamentale di ogni gioco di strada è che si basa sul contesto dove viene praticato.
Sembra una cosa avulsa ma ci sono regole legate ad esempio al tipo di terreno, alla lunghezza dei bastoni eccetera...che sono legate al vissuto della zona dove vengono poi messe in atto: giocatori stranieri di lippa fanno fatica ad adattarsi a certe regole italiane, veronesi. E su questo fatto ci abbiamo giocato spesso!"
Questo tipo di giochi quindi è estremamente radicato nella tradizione specifica di una regione e di una popolazione, ma allo stesso tempo si pratica in egual modo in tutto il mondo, come mai?
"Sì, noi crediamo nei giochi anche e proprio per questo, perché sono una delle pratiche che dovrebbero fare da traino per capire le culture diverse dalla nostra, con cui veniamo - volenti o nolenti - a contatto. Il fatto che un gioco venga praticato agli antipodi della Terra nella stessa maniera significa che c’è stato uno scambio di culture nato nei secoli, vuol dire che in qualche modo ci siamo tutti incrociati fin dall’alba dei tempi."
Non sono pienamente d’accordo. O meglio, credo che alcune comunanze nei giochi nascano anche dal fatto che ci sono cose, nel rapporto che l’uomo tiene con il mondo, che siano talmente basilari da venire prima - non solo in senso cronologico ma anche antropologico - delle differenze date dalle culture. Per esempio il lanciare e recuperare una cosa, un legno, è cosa che fanno anche gli animali. La lotta è un altro esempio: sta alla base di quasi tutte le culture mitiche del mondo antico... e via dicendo.
"Certamente questa è la base, ci sono comunanze che fanno riflettere. Pensa che nello s-cianco in ogni parte del mondo i colpi di allontanamento con cui si può colpire sono tre, non due e non quattro ma tre."
Ma visto che si pratica in tutto il mondo... anche all'estero la lippa è vista come una cosa da recuperare e salvaguardare?
"In alcuni paesi molto meno, perché lo praticano: in Sri-Lanka i giovani ci giocano tutti perché è propedeutico al cricket, a Cuba ci giocano per insegnare a giocare a baseball. Quando è venuta la delegazione cubana mi ha raccontato che a L’Avana ci sono le eliminatorie del campionato proprio il giorno della Liberazione."
E in Italia invece? So che andate nelle scuole a promuovere i giochi tradizionali in generale… come reagiscono i ragazzi? Sono troppo abituati allo schermo dei cellulari?
"No guarda sul discorso che i ragazzi non giocano più e sono sempre davanti ai display mi trovi in disaccordo. Forse è vero ma fino ad un certo punto, facciamo spesso domande nelle scuole. E alla fine i bambini e i ragazzi ci dicono che comunque preferiscono stare fuori con gli amici a giocare."
Sì alla fine molti dei contenuti veicolati dagli smartphone sono ancora contenuti “reali”.
"Esatto, si fanno i video di quando giocano a calcio. Poi c’è da dire una cosa: la strada è da sempre stato un luogo dove si sta in comunità in uno spazio improvvisato. Adesso i genitori dicono che le strade sono pericolose ma secondo me è un circolo vizioso: sono pericolose perché non c’è nessuno in giro, sono monopolio delle macchine perché non c’è gente."
Mi piace il discorso del gioco e dei luoghi improvvisati. Vedendo le vite dei ragazzi oggi direi che sono comunque piene di attività, il problema è proprio questo forse?
"Quello che fanno i ragazzi oggi sono sport o attività in tempi e luoghi adibiti e pensati per fare esattamente quell’attività: c’è sempre il binomio luogo-attività ad agire sulle loro vite; prima a scuola e poi in palestra, prima lo studio e poi il campo da calcio.
Questo non è giocare, è qualcosa che non c’entra niente, i ragazzi hanno vite piene di attività istituite e organizzate che non fanno crescere la loro immaginazione come dovrebbe.
Noi siamo nati in antitesi a tutto questo. All’inizio magari non avevamo uno scopo preciso ma di alcune cose eravamo certi… Pensa che alla prima edizione ci hanno proposto di essere inglobati nelle associazioni di attività sportive tradizionali, ci siamo sempre rifiutati."
Perché? Perché quello che promuovete voi è il gioco e non lo sport? Ancora la differenza non mi è chiara fino in fondo…
"Uno sport è uguale in tutto il mondo, ha regole e leggi che hanno bisogno di essere rispettate con criteri rigidissimi. La lunghezza del campo da calcio, i materiali dell’asta per saltare, i terreni del campo da tennis e via dicendo…
Il gioco fa parte della cultura popolare invece, come la poesia, la musica o la danza popolare, e in quella è radicata. Se gioco alla lippa a Barcellona giocherò con le loro regole e i loro attrezzi. Il gioco nasce dalla spontaneità e la necessità di riempire con ingegno i momenti vuoti della quotidianità, e nasce da persone che lo fanno con quello che trovano: nella loro strada e con i loro attrezzi e per questo è importante che ci siano ovunque delle differenze."
Lo sport ha tempi e spazi precisi in cui tutta la comunità va a fare o vedere una determinata cosa e lo fa in un tempo che si dispiega in modo scandito come quello liturgico. Invece il gioco si prende lo spazio che la società non istituisce. No? Penso al calcio giocato nei campi, con le squadre, le maglie e i campionati e al calcio giocato con una palla, due felpe a fare da porta, e quattro giocatori soltanto in strada.
"Questo sicuramente, rispetto agli spazi e i tempi, ma guarda alla differenza nella pratica. Ti faccio un esempio: l’anno scorso siamo stati in Croazia, nell’Istria, a giocare ad un torneo di bocce piatte, hanno una tradizione tutta loro con delle regole più o meno simili a quella delle bocce nostre.
Quando siamo arrivati eravamo strabiliati: in un posto come la Croazia, che è uscita poco fa da una situazione poco felice, sono riusciti attraverso questo gioco a creare un torneo con sloveni, bosniaci e montenegrini.
Ora, se si riesce attorno al gioco a far fondere le culture allora forse questa è una strada da intraprendere per farle comunicare, queste culture diverse, a creare nuove comunità.
Il gioco viene considerato poco importante - e quindi essenziale, direi - e così anche popoli che si odiano e che magari non farebbero mai affari dicono: “ma sì, giochiamo, tanto è una cosa da bambini”, e da lì si può partire per riunirsi."
Ma parliamo dell’edizione di quest’anno, chi ci sarà come paese ospite?
"Quest’anno non c’è nessun paese specifico, ma attraverso la lotta tradizionale e la lippa abbiamo una quindicina di regioni europee. Promuoviamo attività che non sono legate alle nazioni politiche ma tradizioni popolari che vengono prima della loro definizione.
Pensa che abbiamo reperti che fanno risalire la lippa al 2500 a.C., questo noi dobbiamo far risaltare, questi valori in grado di unire tutta l’umanità oggi che più che mai è facile separarla."
Grazie.
Ci vediamo al Tocatì, Salmoni!
RAL 3022 ROSA SALMONE #8 - Muto come un pesce
Credo sia d’uso più che comune sulla vostra terraferma utilizzare l’espressione “muto come un pesce” per indicare un essere umano che non proferisce parola, paragonandolo alla nostra proverbiale capacità di non emettere alcun suono quando apriamo e chiudiamo bocca.
Duole contraddirvi ma i pesci parlano. Ve lo assicuro io che ne ho viste e soprattutto sentite di tutti i colori … e di Salmona Vostra ve dovete fidà.
Non vorrei risultare cafona, ma credo di dovervelo dire per amore della scienza (Piero Angela, I feel you): quelli che hanno più problemi con la parola sono proprio gli esseri umani.
Siete partiti esprimendovi con le clave e i disegni rupestri, poi vi siete evoluti e - tra tavolette d’argilla, pergamene e frati amanuensi - siamo arrivati al XXI secolo, momento in cui si comunica attraverso aggeggi elettronici ed applicativi che io mai avevo visto in tutti i sette mari e che portano nomi dai suoni esotici: MESSENGER, TELEGRAM, UOZZAP.
Vi giuro, li ho studiati e ne ho davvero un’ottima impressione: clic, clic, clic e anche la distanza è sorpassata tra una sfilza di emoticon, quaranta secondi di messaggio vocale e due gif spedite al momento propizio. Tutto bellissimo… ma vi siete dimenticati come si fa ad esprimersi, pesciolini miei.
Non parlo qui di grammatica o di ortografia (Devoto Oli R.I.P.), ma proprio di parole, LEMMI, VOCABOLI, LESSICO. Ho letto quelle che osate definire conversazioni e sono rimasta impressionata dalla quantità esagerata di emoticon che utilizzate, per camuffare quello che volete dire o quello che non avete il coraggio di confessare. Vi faccio qualche esempio, perché quando non volete capire siete più duri degli stoccafissi.
Se gli state facendo una proposta, evitate di infilarci occhiolinamenti vari per “sdrammatizzare” la situazione. Gli state chiedendo di bere un caffè assieme, non di sposarvi e se lui ha bisogno di una faccetta gialla che strizza l’occhio per sentirsi libero di declinare gentilmente un invito, allora c’è qualche cosa che non va. Allo stesso modo, se avete bisogno di infarcire il vostro discorso di faccette per fargli capire che ci state provando allora, anche lì, deve essere andato storto qualcosa.
E poi i baci, bacini, bacetti e cuori battenti: sono pixel. Sono solo pixel su uno schermo.
Se vuole dirvi che vi ama o vi vuol bene, lo dirà con le parole, altrimenti non vale. E non sta certo a voi applicare un algoritmo che studi la frequenza delle sue emoticon pucciose, calcolando il coefficiente di romanticismo impiegato e di conseguenza l’intensità del sentimento che prova per voi. Non voglio nemmeno più sentire un ragionamento tipo:
mi ha scritto <> con un bacino con il cuore, forse vuole di più?
NO. Se vuole di più, i baci ve li dà sotto casa e pure con metro di lingua.
Il mio consiglio è quindi uno solo, semplicissimo. Voi che potete farlo con la voce in tutto il suo splendore: esercitatevi con la parola, vedrete la magia! Non ci saranno incomprensioni a causa di un cuoricino di troppo e se avrete le orecchie ben sturate, capirsi sarà semplice e tutto si rivelerà molto più intensamente.
Non credete che funzionerà?
Guardatevi allo specchio, se esistete è perché questo metodo funziona. I Vostri genitori mica si sono scambiati poke su MESSENGER, no?
(qui, per farla alla vostra maniera. ci andrebbe la faccetta “capisci a’mme” che allego).
Ma sentite, ho un’altra soluzione:
che ne dite se per corteggiarci tornassimo al telefono fisso?
SALMONA PASTURA
Bianco&Noir - L'impiccato parte 2.
Parte due
Verona 21 marzo, 1882
Scosto la giacca e scopro una macchia di sangue sulla camicia dell’avvocato. E’ all’altezza del cuore, c’è una piccola foratura nel tessuto. Una ferita mortale causata da un’arma appuntita, una stilettata sembrerebbe.
- Interessante – sussurra Salgari.
- L’hanno portato su già morto – confermo.
- Sono serviti più uomini intende?
- Sicuro – rispondo mentre mi caccio in bocca un’altra gemma di liquirizia.
C’è un profumo di gelsomino nell’aria.
No, non è nell’aria. Proviene dal cadavere dell’uomo, ne sono imperniati il collo e i polsi in maniera particolare. L’avvocato Ottolini si era vestito a festa: gessato scuro, cravattino rosso e una pesante dose di profumo al gelsomino.
Uomo, gelsomino: altra incongruenza. Oppure no?
Saliamo sul ponte, la folla si è diradata un poco. D’altronde il cadavere non è più esposto, l’impiccato è stato deposto, lo spettacolo è finito – Di che scriveva Ottolini? – domando a Salgari che sta sempre al mio fianco, ormai degnissimo compagno d’indagini.
- Di politica soprattutto – risponde il corsaro della carta stampata – Era un convinto sostenitore degli austriaci.
- Non ce la caveremo mai da ‘sti crucchi del cazzo – sospiro accendendomi una sigaretta.
- Quanti uomini potrebbero servire per fare una cosa del genere? – mi domanda l’amico alludendo all’omicidio e alla messinscena.
- Almeno un paio – rispondo – Non è vero Ispettore?
Martini mi guarda stralunato e non risponde.
Le certezze nella vita sono importanti.
L’ispettore Marogna sta parlottando con una coppia distinta che mi dicono essere sul ponte da quando tutta questa faccenda è iniziata.
- Mastino Giusti – mi presento allungando la mano al gentiluomo non prima di aver fatto un mezzo inchino alla dama che lo accompagna.
- E’ della polizia? – mi domanda l’uomo.
- No ma è meglio così – risponde Marogna strappandomi un sorriso.
L’interlocutore mi pare un pochino confuso – Mi sto occupando dell’indagine. Sono un investigatore privato che collabora spesso (molto spesso, in realtà sempre) con i tutori dell’ordine – lo rassicuro – Che legami aveva con Ottolini?
- Avvocati e amici di famiglia – risponde seccamente lui.
C’è qualcos’altro di secco che non è passato inosservato. A me intendo. La punta metallica del suo bastone da passeggio non solo è affilata e appuntita. E’ come una lama, potrebbe benissimo essere un’arma, anzi lo è: è sporca di sangue rappreso in fondo.
Secco, sangue secco.
La cosa bella di questi coglioni aristocratici è che sono in grado di sottovalutare tutto e tutti. Sono fatti di spocchia e un po’ di grana in banca. Ovviamente non sanno che anch’io appartengo al loro mondo, conosco tutte le loro bassezze, so per certo che non perdono occasione di prendersi gioco del prossimo. Il fatto che questo gentiluomo sia qui con il bastone ancora sporco di sangue conferma tutto ciò. Non si è nemmeno scomodato a pulire l’arma del delitto, convinto com’è d’essere sopra la legge.
Poi arriva quel profumo: quello di gelsomino, intendo.
Mi avvicino alla dama che da quando è arrivata non ha alzato gli occhi da terra. Sicuramente non li ha alzati da quando è iniziata questa interessante conversazione con il marito. O compagno. Magari fidanzato. Sicuramente cornuto.
Sento Salgari sorridere dietro di me, ha capito tutto ne sono sicuro. E’ Marogna comunque a sorprendermi. Il contadino prestato al corpo di polizia, con grande piacere e silenziosamente nonostante la sua mole imponente, si è portato alle spalle delle coppia pronto ad agire.
Il gentiluomo se ne accorge. Prova ad alzare il bastone pronto ad infilzarmi. Io gli rispondo con il mio di bastone. I due legni cozzano tra loro provocando un rumore sordo, ebani che si scontrano, contendenti (noi due) che si sfidano a singolar tenzone, un duello di tempi passati. Fino al pugno che arriva dall’alto, potente, che quasi spacca in due la testa dell’omicida e che lo manda a riposare anzitempo. Lo ha sferrato l’agente Marogna che ora se la ride di gusto.
Nel giro di un paio d’ore la confessione viene servita su un piatto d’argento. Il gentiluomo finisce dietro le sbarre insieme a un paio di sgherri dei bassifondi che per quattro soldi si son fatti coinvolgere e che per questo saranno ospiti delle carceri cittadine. La dama invece è stata rilasciata non avendo nulla a che fare con l’omicidio. E’ questa però la condanna peggiore: esposta al pubblico spettegolare nei salotti del Caffè Dante.
Li conosco bene i nobili io.
Quando torno a ricordarlo, prendo la fiaschetta di grappa e ci do dentro come se non ci fosse un domani.
SmokeySalmon
Cosa sono i SOUND SYSTEM, seriamente
I Sound System moderni sono impianti autocostruiti per la riproduzione di vinili soprattutto di musica reggae, roots e dub.
Prima della loro diffusione in Europa, grazie soprattutto alla scena londinese, è interessante approfondire il ruolo che questi hanno giocato nella cultura giamaicana, a cui sono legati a doppio filo. Bisogna infatti tornare nella Jamaica dei primi anni Cinquanta per veder sorgere i primi Sound, che inizialmente consistevano in un semplice grammofono e qualche sistema di amplificazione.
L’obiettivo era semplice ma efficace: attirare gente per ballare e riunirsi in strada, per viversi qualche giro di Rythm ’n’ Blues, andando alla ricerca di suoni sempre nuovi. Divenne un fenomeno tanto popolare che molti commercianti ne approfittarono per attirare gente nei loro negozi, contribuendo in modo sostanziale alla diffusione dei primi impianti.
Possiamo ora immaginare l’atmosfera che si creava tra mille diverse vibrazioni che coloravano le strade di Kingston e man mano che si moltiplicavano, i Sound diventavano sempre più elaborati. Nel giro di un decennio il mondo dei Sound System si trasformò in un vero e proprio business, ovunque, dalle parrocchie alle strade, erano presenti Sound System di vario tipo e dimensione pronti a scatenare le loro casse per proporre suoni ma soprattutto bassi.
Accadde in quegli anni che molte comunità caraibiche dovettero fare i conti con situazioni sempre più ai limiti, governi instabili e crisi economica spinsero circa un milione di persone a emigrare, soprattutto verso gli Stati Uniti, il Canada e Regno Unito.
Furono le comunità caraibiche del Regno Unito a diffondere in Europa la cultura Sound System, che divenne sempre più un simbolo identitario e ponte diretto con la madrepatria. L’influenza con l’Europa e la popolarità che avevano ottenuto i Sound System furono fondamentali nella diffusione della musica Dancehall soprattutto negli anni Settanta e Ottanta.
Tutti i Sound System in circolazione erano stati sedotti dai ritmi della Dancehall, a differenza di un unico protagonista della scena inglese, Jah Shaka, che non si fece travolgere dalle melodie emergenti, ma rimase più fedele ai suoni della sua terra. Scelta decisamente controcorrente in quegli anni che però gli permise di affermarsi come primo Sound System “roots”, con melodie e testi impegnati.
Saranno gli anni Novanta a consacrare Jah Shaka e il suo Sound System tra le pietre miliari della Sound System Culture, a lui infatti si rifaranno molti altri artisti in seguito per la costruzione di nuovi Sound System noti in tutto il mondo, come quello di Mighty Massa a Tokyo.
Anche l’Italia è stata investita dalle onde di vibes, ad oggi infatti è una scena molto attiva e produttiva, da nord a sud sono numerosi gli impianti autocostruiti dalle identità più varie come Black Star Line, Rise and Shine Sound System o Imperial Sound Army. A dimostrazione della diffusione capillare dei Sound System sono le numerose serate che vengono proposte anche nel nostro territorio veronese, la recente Sound System Conference - United we Stand - ha visto, con successo, la presenza di ben quattro impianti: RamaBass Sound System, Elefant Hi-Fi, Kalamina Sound System e il neonato Blue Shepherd Sound System, in una serata all’insegna di good vibes e Low frequencies.
Lucia in Salmon
Il Libro Rosa: Analisi dei vostri viaggi onirici (trip #5)
Ciao Salmoni! Qualche notte fa ho fatto il mio primo sogno lucido. Viaggio onirico praticamente mi ritrovavo a casa nel mezzo dei preparativi pre partenza (destinazione ignota). Nel mentre che mi lavavo i denti in bagno mi veniva in mente che la mia macchina era rimasta parcheggiata a Berlino (WTF). A questo punto mi sale lo sconforto...non posso più partire, devo andare a recuperarla ma ho pochissimo tempo e così via. A questo punto l’illuminazione: non può essere vero, deve essere un sogno. E così è! Come primo desiderio lucido desidero che la mia macchina torni qui e poi… Poi il sogno mi risucchia e ricomincio a sognare “normalmente”.
Breve ma intenso. Ne voglio ancora, dimmi come.
Anonimo da Bussolengo
Se cerchi su internet trovi una marea di articoli in merito a questo, con svariate tecniche per attivare la lucidità onirica più o meno fantascientifiche.
Quello che posso fare io è darti la mia “ricetta” per stimolare questo tipo di esperienza. Ovvero un mix di trucchetti e pratiche che su di me funzionano. Starà poi a te capire, con l’esercizio, quali sono le più efficaci nel tuo caso.
Cominciamo!
Regola numero..
1 - Parlane alla noia.
Specialmente all’inizio: trova un amico che sia preso bene almeno quanto te in materia. Parlatene a ruota, passatevi articoli, raccontatevi i sogni… Tutto questo renderà il vostro cervello più propenso a fare sogni lucidi. Mi raccomando, è fondamentale.
2 - Tieni un diario dei sogni.
Importantissimo. Si tratta in poche parole di scriversi ogni mattina i sogni fatti durante la notte. Deve diventare una regola, apri gli occhi e lo fai, prima del caffè. Se ricordi solo un’immagine, scrivilo, se non ricordi nulla, scrivi “non ricordo nulla”. Questo oltre ad allenare tantissimo il tuo cervello a ricordare i sogni ti permette di analizzarli. Quando avrai almeno una decina di sogni su carta rileggendoli ti accorgerai di una marea di elementi ricorrenti. Io li chiamo “le chiavi”. Le chiavi per cosa? vediamolo nel punto 3.
3 - Occhi aperti
Si occhi aperti, soprattutto da sveglio, o quando credi di esserlo. Impara a chiederti continuamente se stai sognando o se sei nella realtà. Se hai tenuto un diario dei sogni e hai capito quali sono le cose (persone, luoghi, oggetti, situazioni) ricorrenti, ogni volta che le incontri chiediti se stai sognando.
Ti faccio un esempio.
Per me una chiave è l’ascensore. Nei miei sogni ce ne sono assai. Ogni volta che entro in un ascensore mi chiedo se sto sognando e faccio un piccolo test (un classico dei test è provare a premere con l’indice di una mano sul palmo dell’altra con l’intenzione di attraversarlo, azione impossibile nella realtà, possibile in un sogno). Questa pratica su di me almeno, non funziona tanto come trigger per svegliarmi nei sogni, ma più come esercizio per tenere la mente in allenamento nel riconoscere se sono sveglio o sognante.
4- Keep Calm e niente orge
Riesci a svegliarti in un sogno lucido? Bene, quello che conta adesso è stare calmi e non esagerare. I rischi sono due: svegliarsi e perdere la lucidità (tornare a sognare senza avere il controllo, come è successo a te).
Nello specifico se ti agiti ti svegli e se fai fare al tuo sogno cose troppo estreme (da orge sataniche a guerre epiche) quello che rischi è di perdere il focus sul controllo del sogno e di passare da regista a spettatore del tuo sogno. Non fare quindi, almeno all’inizio, lo Spielberg onirico: niente ET, Guerra dei mondi o Jurassic Park!
Per le cose “potenti” serve allenamento.
Questi sono i punti basilari che ti consiglio di seguire. Sono solo 4 (nell’internet trovi una marea di altri trucchetti), ma in realtà è già un bel po’ di lavoro da svolgere con costanza.
E non mollare, con il tempo i risultati arriveranno.
Un abbraccio
PS: per i più smanettoni consiglio questa app:
https://play.google.com/store/apps/details?id=com.lucid_dreaming.awoken&hl=it
Gratuita, fornisce dei suoni totem per ricordarci di interrogarci sulla realtà e un comodo diario dei sogni con backup su cloud. ;)
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Scriveteci i vostri sogni a salmonmagazine@gmail.com. Li metteremo in piazza, li vivisezioneremo e vi prenderemo in giro. Non c’è limite allo splatter e alla pornografia e talvolta vi consiglieremo pure l’uso di sostanze stupefacenti. Sempre e solo per la scienza onirica, vostro Salmo Salar