MEGA TRANQUI
di: Aurora Lezzi
Mega tranqui è il loro motto: è il loro modo di prendere le cose, di vivere la vita con estrema serenità.
Si può dire anche che è stato il mood della situazione che si è creata tra di noi una volta che abbiamo preso una birretta al bar come se fossimo amici da tempo.
Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Sofia, in arte Livrea, e la sua band.
Se per caso su Spotify vi fosse capitato di ascoltare la playlist pubblica “Anima R&B” della scorsa settimana, sappiate che avete il piacere di leggere quest’intervista con la ragazza che era copertina.
Via con le presentazioni, come solista e come gruppo.
S: Livrea è il mio progetto solista, supportato da un collettivo che si chiama “Zona Neutrale”, fondato da me e dal qui presente Antonio Citarella (in arte Nubula), e Francesco Mameli, il mio manager dal 2021 in concomitanza con l’uscita del mio Ep d’esordio dal titolo “Luna Calante”. Nell’ultimo anno abbiamo formato questa band per essere più versatili e fare live. Abbiamo Amedeo Abdul Jabbar (alias Jabba) al basso, Giovanni Sempreboni alla batteria, Niccolò Braggio al sax, Davide Lorenzetti alle tastiere e, ancora una volta, Antonio alla chitarra. Antonio è anche il mio produttore e scriviamo insieme i pezzi.
Questo progetto ha delle radici soul e R&B: scrivo in italiano perché è una cosa che mi appartiene, per me la lingua è importantissima e sento forte un attaccamento alla letteratura e alla poesia. Adesso è in corso l’uscita dell’album d’esordio, “Il canto del villaggio”, tripartito.
Perché la scelta di dividere l’album in tre parti?
S: Il primo atto è uscito un paio di mesi fa, il secondo atto circa tre settimane fa e il 16 giugno uscirà la terza parte. È un po’ un racconto dove narro quelle che sono le mie paure e le mie demoni, avevo la necessità di scriverlo ed è fortemente autobiografico. Essendo un racconto con un incipit e una conclusione, ci piaceva l’idea di dare un filone narrativo: la tripartizione da un senso di narrazione. Ad esempio, il primo atto è più introspettivo, più oscuro e buio; nella parte centrale c’è una presa di coscienza rispetto alle paure raccontate nel primo atto, mentre nell’ultimo vi è una sorta di conclusione, la soluzione a tutti questi lati oscuri.
Per quanto riguarda l’esigenza di avere una band, com'è nata? Come vi siete trovati?
A: Era il 2017 quando ho iniziato ad avvicinarmi al mondo della produzione e da due anni studio a Lucca e questo mi ha consentito di approfondire il lato tecnico. Mameli, con cui sono amici da anni, ha poi fatto incontrare me e Sofia e adesso collaboriamo da circa due anni, occupandomi della produzione come diceva Sofia poco fa.
G: Io vengo fuori dal nulla. Sono arrivato all’interno del progetto quando è arrivata la loro necessità di volere una band per suonare live. Tramite Davide mi è stata inoltrata la loro ricerca di un batterista e il progetto mi è piaciuto subito. La fatalità è stata la coincidenza di questa loro ricerca e della mia volontà in quel momento in quanto musicista, quella di voler suonare in un contesto musicale del genere per mescolare la batteria acustica con suoni elettronici. Era l’occasione perfetta.
J: Io ho conosciuto Sofia perché lavora nel bar del mio paese. È nato tutto un po’ per scherzo perché Sofia mi disse che aveva una data importante al Magnolia a Milano e io le chiesi se avesse del merch. Non aveva nessuno che si occupasse della vendita e io mi sono offerto. Ho avuto modo di conoscere meglio gli altri e, una volta scoperta la mia esperienza nel settore musicale underground ed essendo entrati in sintonia fin da subito, mi hanno chiesto di entrare nel progetto.
Quali sono le influenze che ti hanno condotta a questo genere musicale?
S: Il mio papà mi ha sempre imposto cose molto “da papà”. Crescendo ho scoperto il jazz e me ne sono innamorata, poi il blues, il reggae. Canto anche in un coro gospel, quindi subisco influenze un po’ da tutto e mi hanno tutte fatto arrivare al mio stile di adesso, ancora un genere non definito. Non mi riesco a definire di un genere “puro”.
Però, se dovessi dire “È lei/lui/loro che mi ha/hanno influenzato”?
Chi nomineresti?
S: Beh, sicuramente grandissime voci del passato, cominciando da Nina Simone, Ella Fitzgerald, Amy Winehouse, tutte queste voci soul, R&B. In Italia, invece, ti direi Lucio Battisti: per me è fondamentale.
Ultima domanda: parlami delle copertine perché sono spaziali. Mi sapresti descrivere il concetto? Nelle tracce del disco sento delle sonorità moderne e percepisco come un contrasto con la scelta dei costumi, quasi rurali.
S: Sono dei ritratti e sono tre copertine diverse, una per ogni atto. Nel primo ci sono quattro personaggi, il secondo ha i quattro di prima più altri tre diversi, mentre la terza copertina presenta undici personaggi in totale. Ad ogni personaggio è stato associato un pezzo, seguendo delle mie influenze a livello visivo. Sono tutte persone che gravitano intorno al progetto, che hanno dato una mano o si sono palesate in qualche altro video. Ad esempio c’è anche il mio make-up artist.I costumi li ho fatti tutti io, mi piace trovare le cose ai mercatini, cercare i tessuti e per ogni personaggio ho creato l’abbigliamento creando un moodboard. Mi sono spirata al mondo tradizionale ma anche a Pasolini, che mi ha travolta. Infatti ho fatto riferimento “Medea” dove Maria Callas è la protagonista, ho preso spunto dai costumi del film. Questo mondo tradizionale e ancestrale, come dicevi, va anche in contrasto con quelli che sono i suoni dell’album che anch’esso è ibrido essendoci una forte presenza suoni elettronici ma strumenti tradizionali dappertutto.
Alla fine di tutto, l’unico “peccato” che ci verrebbe da dire è che non ci sia un quarto atto del disco, ma... se volete ascoltare gli altri tre, lo potete fare in cuffia su Spotify perché il terzo atto è fuori il 16 Giugno. Oppure, direttamente live a Roma il prossimo 22 Giugno perché sono invitati al Maschiacce Music Festival, Largo Venue.
ASTA DI PRIMAVERA @studiolacittà
Come se la passa il mondo dell'arte contemporanea in questo periodo?
"Il Mondo dell’arte in questo momento, come del resto molti altri mondi, è lento e richiede attenzione e molta determinazione. Bisogna inventarsi continuamente delle cose per incuriosire e stimolare la gente. Per questo abbiamo pensato a questa asta che vorrebbe essere una festa più che un’asta."

Toglimi una curiosità; come mai, dopo così tanti anni di attività, hai deciso di indire un'asta?
"È una provocazione al pubblico distratto, non credo che farò altre aste non è quello l’intento, è un’iniziativa una tantum perché in questo momento il collezionista medio è insicuro, pensa di dover sempre seguire le mode o comprare opere di artisti conosciuti per essere sicuro di non fare brutta figura o di fare un buon investimento. Basta guardare le aste, quelle con la A maiuscola, o le fiere… se proponi un artista anche di grandissima qualità che non è sulla cresta dell’onda vedi subito che c’è poco interesse, ci chiedono sempre gli stessi nomi che fra qualche mese o anno non saranno più di moda. È come se il pubblico delle fiere o delle aste si soffermasse a guardare solo il lavoro di artisti conosciuti, senza realmente valutare le opere in sé."

dalla serie Mini Graphics, 1973 Ed. di 100 cm 25 x 19 con cornici in metallo originali
Andiamo al punto: parlaci dell'asta del 9-10 Giugno.
"Allora ho avuto questa idea e ho pensato di proporre piccole opere, grafiche, fotografie di artisti che ho esposto nei 50 anni di attività, non sono certo fondi di magazzino né opere scelte a caso. La base di partenza dell’asta è sempre bassissima proprio per dare la possibilità di comprare un’opera solo perché piace, senza altri scopi. Vedremo se riesco a stimolare la gente o piuttosto se riesco a fermare lo sguardo dei visitatori sulle opere."

Senza Titolo, 1982. Collage su carta cm 100 x 70 con cornice
Sapevi che un collettivo di giovani veronesi ha indetto un'asta in un mercato dell'usato ed ha avuto un grande riscontro, facendola diventare, più o meno consapevolmente, un mix tra una performance e uno spettacolo di stand-up comedy?
"Si ho saputo dell’asta fatta in un mercatino dell’usato e l’ho trovata un’idea bellissima e divertente, vorrei che la nostra asta fosse una cosa simile, che ci fosse un’atmosfera di gioco e di scoperta."

Verona Landscape #15, 2015. Acrilico bianco su fotografia cm 32 x 45 con cornice
Nel vostro caso sarà un'asta "classica" o ci saranno degli elementi di innovazione e sorpresa?
"Diciamo che quest’asta è organizzata con tutte le regole a cominciare dal battitore professionista che è un amico e ha accolto volentieri il nostro invito. C’è un catalogo con i lotti consultabile e scaricabile dal nostro sito www.studiolacitta.it. Qui sarà possibile anche registrarsi per partecipare in presenza. Per coloro che non potranno essere presenti sabato sarà possibile, nei giorni precedenti il 10 giugno inviare un’offerta che sarà tenuta in considerazione durante l’asta. Non ci saranno costi per i diritti d’asta, diversamente da come accade di solito. Le opere saranno esposte nella giornata di venerdì dalle 9 alle 18 e sabato mattina dalle ore 9. Poi alle 11 avrà inizio l’asta. All’ingresso saranno distribuite le palette numerate per fare l’offerta e chi non si è iscritto on line, cosa che caldeggiamo, potrà farlo comunque la mattina stessa."

Contrast Part 1, 1968 Serigrafia, Ed. di 75 A.P. Silkscreen cm 74 x 54 con cornice
Che tipologie di pubblico Studio la Città vuole intercettare?
"Il pubblico che vorrei intercettare sono persone che amano l’arte, ma che non hanno mai osato avvicinarsi ad una galleria pensando che sia un luogo solo per ricchi. Però mi rivolgo anche a tutti quei collezionisti esperti che hanno la voglia di riconoscere la qualità anche senza conoscere l’artista. Vedremo…"

Senza Titolo Serigrafia, Ed. 85/200. Silkscreen cm 69,5 x 99,5 con cornice
Ne avete già in programma altre?
"Assolutamente no…"

Bozzetto, 1988 Fusione in bronzo, Ed. 1/3 Melting bronze cm Ø 30
immagini: courtesy Studio la Città
Rebel Rebel

Viaggio nel tempo
di: Aurora Lezzi
Avete presente quei locali bui dove non capisci bene quel che accade, la musica pompa dalla consolle alle casse fino ad arrivare nelle orecchie e nello stomaco a volumi esagerati, le luci sono soffuse e i flash vi abbagliano gli occhi?
No, non è l’underground di Berlino, è Verona.
Chi è che permette queste situazioni tipiche berlinesi nei tranquilli e silenziosi locali di Verona?
Si tratta del dinamico duo di djs e producers Zeitreise, e noi non potevamo che andargli a domandare come riescono a creare tutto questo. Li abbiamo notati al The Factory durante una delle loro serate live e il loro mixare questi pezzi folli e graffianti alla consolle ci ha completamente stregati.
Presentatevi, siamo curiosi di sapere chi siete!
I: Siamo Federico e Irene, in arte Zeitreise, e siamo una coppia sia nella vita sia artisticamente. Condividiamo una smisurata passione per la musica e per il mondo dell’arte in generale.
Avendo questi punti in comune ci siamo conosciuti in una delle nostre esibizioni individuali ed è stato facile creare una forte sinergia tra noi.
E la passione per questo flow e questo stile musicale tipico di Berlino? Da dove viene fuori?
F: Più che un interesse per un preciso genere musicale, ci piace focalizzarci sulla ricerca di un modo di fare musica e vogliamo proporre uno stile che ci rappresenta. Il nostro interesse nasce, quindi, dall’amore sconfinato che proviamo per la musica e dalla cura che ogni giorno abbiamo nel cercare di raffinare il nostro stile affinché possa rappresentarci al meglio.
Qual è il significato del nome?
I: Zeitreise è una parola tedesca che in italiano significa “viaggio nel tempo”. Abbiamo scelto questo nome perché fa riferimento allo stile che abbiamo cercato di far crescere negli anni, sia individualmente che come duo. Questo progetto è nato in una fase della nostra vita che si presenta ciclicamente e nella quale cerchiamo nuove ispirazioni musicali che possano alimentare la nostra curiosità.
F: In una di queste fasi dovevamo dare un nome al flusso di eventi che ha portato alla nascita del progetto e in quel periodo ci trovavamo a Berlino. Le vibrazioni di quella città sono state di ispirazione quindi abbiamo pensato di renderle omaggio con un nome in lingua tedesca.
Come avviene la ricerca accurata dei pezzi da selezionare e suonare alle vostre serate?
F: La ricerca dei brani è un incessante processo di ascolti giornaliero in cui esploriamo il vasto panorama di artisti indipendenti e cerchiamo di curare il nostro suono nelle produzioni musicali. La chiave di ricerca è semplicemente proporre brani che al meglio ci rappresentano e possano essere utilizzati quando è necessario per comunicare quello che proviamo.
Per quanto riguarda i dj-set cercate voi le date dove suonare oppure venite contattati?
I: In un panorama in cui molto spesso nei locali governano quasi incontestati mediocrità e cattivo gusto, andiamo a proporci personalmente. Allo stesso tempo chi ci ha compresi e condivide la nostra idea di proporre musica ci chiama con regolarità.
Quando nel 2021 ci siamo trasferiti nella periferia di Verona ci siamo esibiti in un locale del posto, quello che prima era il Caffè Venier, dove abbiamo conosciuto Marco Cordioli che adesso ogni tanto suona con noi.
Quindi tu, Marco, sei un’aggiunta casuale e non sempre presente. Qual è il tuo ruolo quando ti aggiungi a loro?
M: Sì, io non faccio parte del progetto ma mi diverto a suonare con loro durante le serate facendo un qualcosa di diverso. La collaborazione nasce perché loro avevano già il progetto Zeitreise, mi piacevano le loro sonorità dark, quel periodo scuro della new wave anni 70 e 80 tipico dei locali underground. Quando lavoravo lì, li abbiamo inseriti nelle serate live del locale. È venuto fuori che suonavo anche io e quando hanno espresso il desiderio di contaminare il loro dj-set con dello strumentale, una sera ho portato la chitarra e dal nulla abbiamo fatto una prova dal vivo lì su due piedi. Ci siamo trovati bene perché il mio stile con pedali e sonorità forti si mescola bene al loro: faccio interventi solisti con reef dalle sonorità distorte, acide e molto dark. Dopo questa prova da “buona la prima”, abbiamo suonato in locali dove potevamo funzionare bene, come il Malacarne e il BastianContrario.
Che conosciate l’ambiente o meno, che siate dei clubber o no, se ascolterete dal vivo questo mix potentissimo, parola di Salmoni: sarà difficile stare fermi.
Proprio per questo motivo, aspettiamo intrepidi un’altra data dove ad esibirsi ci saranno loro così, senza prendere un aereo o una macchina del tempo, ci potremo catapultare nella Berlino degli anni ’80.
L'equazione
di: Aurora Lezzi
C+C=Maxigross: quella che ci sembrava un’equazione è in realtà una delle band più conosciute di Verona e allora abbiamo deciso di incontrarli. Dopo delle chiacchiere informali, sono venuti fuori discorsi profondi e spiegazioni sul loro disco “Cosmic Res” appena sfornato il 20 gennaio e che ci hanno fatto venire i brividi.
Chi sono i componenti attualmente? Essendo un collettivo, spesso ci sono entrate ed uscite.
N: Eccoci, C+C=Maxigross. Io sono Niccolò Cruciani, suono la chitarra e canto.
Z: Io sono Zeno Merlini, suono il sassofono e ora mi hanno costretto a suonare anche ai sintetizzatori.
T: Io sono Tobia Poltronieri, suono la chitarra e canto anche io.
N: All’appello mancano Sirio Bernardi alla batteria e Francesco Ambrosini, in arte Duck Chagall, che in quest’ultimo album è stato quello che ha gestito lo studio, quindi il produttore discografico che si è occupato del disco. Questa è una nuova formazione, suoniamo insieme dall’inizio dell’estate, poi essendo un collettivo, appunto, sono passati tanti elementi e attualmente ci troviamo così.
Parlateci di questa storia lunga dieci anni o forse più!
N: Si esatto, anche più, se non sbaglio è una storia che inizia nel 2009. Il membro originario fondatore qui presente è Tobia insieme a Filippo Brugnoli e Francesco Ambrosini che adesso fa parte del collettivo ma dal punto di vista più della produzione e da studio. Magari ci accompagnerà nei concerti, prossimamente..ma per ora no. Poi Filippo è diventato padre, ha preso altre strade, sono subentrato io, altre persone, adesso Zeno e Sirio e diciamo che siamo in continua evoluzione.
T: Molto semplicemente, io, Pippo e Ambro ci conosciamo da quando eravamo ragazzini e suonavamo per conto nostro. Il primo EP uscì nel 2011 e si chiamava Singar e da lì poi l’evoluzione come ha spiegato Niccolò.
Qual è il vostro rapporto con la città? Sappiamo di una certa casa in montagna..
T: Sì, di Vaggimal potrei parlare io. Semplicemente, come forse già sapete, Vaggimal è tutt’ora la casa dei nonni di Pippo e ora dei suoi genitori. Abbiamo iniziato a usarla nei ritagli di tempo quando non ci andavano i suoi genitori e abbiamo registrato lì i primi dischi, quindi è un po’ il fulcro dove amici e amiche venivano a trovarci. Abbiamo creato tutto un bacino di amicizie mantenuto uguale ad adesso, quindi è stato un po’ l’evoluzione delle nostre vite.
Parliamo un po’ del disco. Ce lo sapete descrivere concettualmente? C’è una storia dietro?
N: Innanzitutto, questo disco appena uscito è completamente scollegato da questa fase primordiale dei C+C. Lo abbiamo scritto qui a Verona ormai due anni fa per un episodio che per noi è assolutamente importante, ovvero la morte del nostro amico Miles. In realtà non nasce come un disco commemorativo, semplicemente ci siamo trovati a suonare, improvvisando e facendo sperimentazioni con i nastri e ci siamo detti: “Ok, proviamo a dargli una forma” senza neanche pensarci troppo. Abbiamo poi pensato che il ricordo del nostro amico poteva essere una tematica ricorrente e che avremmo potuto velarla. In ogni caso ci siamo interrogati se stessimo andando troppo nel dettaglio, ma i conti alla fine ci tornavano. A volte i riferimenti sono diretti, a volte no.
Il disco sarà presto sotto un’etichetta discografica di nostri amici che secondo me stanno facendo un ottimo lavoro e si chiama Dischi Sotterranei. Siamo contenti anche di lavorare con persone nuove: loro sono molto entusiasti e ci troviamo molto bene anche a livello personale.
Ritornando sulla tematica, anche per la scrittura dei testi, abbiamo cercato di spaziare, parlando a volte in maniera intima e personale e altre volte più distaccata, non vincolante.
Viste le numerose prossime date per suonare dal vivo, come fate a trovare i posti dove esibirvi?
N: Adesso abbiamo la fortuna di avere una delle migliori agenzie booking nel nostro campo che è DNA Concerti. Lavora con artisti che personalmente amo e ci sta trovando le date e ne stanno saltando anche fuori di nuove. Suoneremo il 10 febbraio qui a Verona, poi a Milano all’Arci Bellezza il 16 Febbraio, il 17 a Modena e altre ancora, che adesso non ricordo.
E invece su RollingStone? Come diavolo ci siete finiti?
N: Abbiamo creato per loro una playlist. Il nostro ufficio stampa ci ha trovato questo sbocco con RollingStone e ci è stato chiesto di creare una playlist di brani che ci hanno ispirato connessi a Cosmic Res e abbiamo semplicemente proposto dei pezzi che ci piacciono molto.
Cosmic Res è un titolo pazzesco, da dove salta fuori?
N: Cosmic come parola inglese e Res come parola latina: ci piaceva come suonava, “Cose Cosmiche”. Lo trovavamo adatto alla tematica che trattiamo nel disco. Pensiamo che ognuno di noi manifesti una propria spiritualità e fascinazione per quello che non è tangibile, mentre il cosmo è totalmente tangibile ma è una cosa distante che conosciamo poco, un po’ ignota. Si tratta di qualcosa di scollegato dal pianeta terra, quindi come il ricordo del nostro amico e abbiamo legato il concetto della morte alla materia cosmica. I testi, invece, sono prevalentemente scritti in italiano, ma in quest’ultima fase, ci siamo riappropriati adesso della lingua italiana perché inizialmente scrivevamo in inglese in maniera inconsapevole, un po’ naïf. Il nostro amico Miles, invece, ci ha fatto capire come l’essere naïf sempre non portava necessariamente a una comunicazione chiara e diretta e quindi siamo tornati alla nostra lingua madre, riuscendo a comunicare meglio certi concetti.
Data questa dose di vibes forti, non ci resta che fare una cosa: sentirli dal vivo, per avere queste vibes direttamente sulla pelle.
Siamo fortunati, e sapete perché? La data live in quel di Verona è vicinissima, il 10 Febbraio al Colorificio Kroen.
#followthesalmon
Scimmie a Verona
Spoiler: non sono il loro gruppo preferito.
Di chi stiamo parlando? Della fichissima band veronese Arctic Attack, tribute band degli inglesi Arctic Monkeys. Per chi non conoscesse il concetto, una tribute band non è una semplice cover band che fa brani di altri gruppi, ma è una band che si dedica unicamente ad un’altra band e fa cover solo di quella: nei casi più convinti i componenti si vestono, si atteggiano, cantano, suonano e parlano come l’originale.
Qui abbiamo Filippo (voce e prima chitarra), Arrigo (batteria), Anthony (seconda voce e chitarra) ed Elia (basso): età diverse fra loro, ma forse è proprio questo il mix che rende il cocktail perfetto.
Il fatto di avere esperienze e influenze diverse li rende in tutto e per tutto simili alla versatilità degli Arctic originali.
La scelta di una band come questa è dettata infatti dalla varietà di generi musicali esplorati di album in album, cominciando dal primo disco del 2006 What People Say I Am, That’s What I’m Not fino all’ultimo, uscito il 21 Ottobre del 2022, The Car. Si tratta di guizzare da generi come il rock al pop, per poi passare al Rythm & Blues.
«Se crei una tribute band dei Queen, devi essere come loro. Non c’è niente da fare. Il bello del nostro gruppo è che non ci impegnamo nel somigliargli, la musica parla da sé. È più importante una somiglianza musicale che visiva» ci dicono.
Ed è proprio così. Stando alla versatilità di una band come gli Arctic Monkeys, si nota perfettamente come attraggano vasti e vari ascoltatori anche in termini di età, proprio come è accaduto con il pubblico presente alle esibizioni degli Arctic Attack, ad esempio all’evento Britwall ma anche al Mura Festival dove sono riusciti a far cantare, ballare e divertire letteralmente CHIUNQUE.
Come non prendersi una birra con loro per metterli un po’ sotto la lente di ingrandimento? Anche perché sono freschi-freschi: suonano insieme da soli due anni.
Perché proprio loro? Come nasce l’idea?
F: Ho pensato: “C***o, fighi gli Arctic Monkeys. Perché non fare una cover band?” Così l’ex bassista che avevamo mi ha seguito a ruota e poi abbiamo messo un annuncio su Facebook. Abbiamo trovato così la seconda chitarra e la batteria.
A: La parte migliore è quando ci chiamano appositamente per suonare. Finalmente in scaletta abbiamo tutto il repertorio, dal primo all’ultimo album. Anzi, ci manca solo l’ultimo. Un’altra idea a cui abbiamo pensato è di fare set in acustico, in ambienti più intimi, al chiuso e suggestivi.
Un fun-fact che ci hanno raccontato è la storia degli occhiali blu.
Abbiamo notato che il cantante ha sempre su un paio di occhiali con le lenti blu quando suonate live, è casuale o è una qualche specie di porta fortuna?
F: Li ha trovati mia madre per terra in un parco, a Verona. Non hanno neanche la stanghetta centrale. Si mantengono su solo grazie al mio naso chilometrico. Alex Turner ha degli occhiali da sole color ambra, io ho questi.
Ha poi girato la storia a suo favore dicendo che, essendo blu, ricordano il freddo, quindi l’artico…ma temiamo che semplicemente non voglia prendersene un altro paio.
E poi si è parlato di sushi.
Infinito: L'universo di Luigi Ghirri
Ciao salmoni! In vista della proiezione del documentario Infinito. L'universo di Luigi Ghirri che si terrà il 18 gennaio alle 21 al cinema Kappadue, è utile fare una breve intro alla sua immensa opera!
Luigi Ghirri nasce a Scandiano (Reggio Emilia) nel 1943 e inizia a fare fotografie a partire dagli anni Settanta. Diventa fotografo di fama internazionale dopo aver lasciato la sua professione di geometra che ha definito la sua concezione di paesaggio e ambiente.
Dagli anni Ottanta si concentra invece su ritratti della Pianura Padana, i territori della (mitica, misteriosa e mistica) bassa veronese che si estende tra le provincie di Mantova e Verona, fino alla campagna emiliana. Ha esposto sia in Italia che all’estero: da Los Angeles a Legnago, da New York a Caltagirone. Nelle sue fotografie è il cielo pieno di nuvole a fare da protagonista, dove i colori sono pastello e la provincia diventa il punto privilegiato da cui osservare il mondo. I paesaggi di Ghirri diventano una geografia dei sentimenti, la marginalità della provincia assume nuovi significati di grazia, malinconia e imprecisione. La sua è una poetica del meraviglioso che dimora nella semplicità e quotidianità, in cui lo spazio è desolato, ma infinito e la luce si fa fioca, ma piena di senso. Si vedono così campi, fiumi, fossi, piazzette deserte, vecchie cascine avvolte dalla nebbia, ma anche malinconiche spiagge emiliane ed alcuni scatti del sud Italia e di viaggi all’estero. I suoi paesaggi diventano quasi metafisici, lasciano trapelare significati altri e più profondi.
Il documentario Infinito. L’universo di Luigi Ghirri è una vera e propria immersione nel mondo dell’artista, è un'indagine dell’uomo e del fotografo.
Il film del regista Matteo Parisini affianca alle parole scritte del fotografo, rese tramite la voce fuoricampo dell’attore Stefano Accorsi, le testimonianze di alcune figure che hanno collaborato con lui. Sono infatti numerose le personalità artistiche che lo hanno affiancato nella vita e nel lavoro. Tra loro gli artisti concettuali Davide Benati e Francesco Guerzoni, il primo stampatore Arrigo Ghi e lo storico dell’arte Arturo Carlo Quintavalle. Tra le testimonianze anche quella dell'amico Massimo Zamboni, musicista del gruppo CCCP, con cui ha anche collaborato (si veda l’immagine pazzesca in copertina del loro ultimo super album Epica Etica Etnica Pathos). Fondamentali sono le parole dei familiari che rimandano alla dimensione più intima del fotografo. Il pensiero di Ghirri si relaziona continuamente alle immagini e video inediti provenienti dall’Archivio Eredi Ghirri.
Infinito, come tutta l’opera di Ghirri, invita a non limitare lo sguardo e a non porsi confini.
Ed è proprio questo che fanno i veri salmoni: andare controcorrente verso l’infinito e oltreee! Quindi forza, accorrete!
La proiezione si terrà il 18 gennaio presso il cinema Kappadue grazie al lavoro dei grandissimi cinema verona, circolo del cinema, urbs picta e fonderia 209.
Per non farci mancare nulla in sala sarà presente il regista Matteo Parisini e la curatrice della sua opera Adele Ghirri, figlia del fotografo.
Non è lo zoo
Caffè, quattro ciacole, “Circles” di Mac Miller come sottofondo e cominciamo la nostra intervista con i Parco Natura Morta, 100% made in Verona.
No, non è il nome dello zoo scritto male. È un’altra cosa.
Sono Lorenzo, Riccardo, Davide, Michele e Federico, dei quali abbiamo conosciuto di persona solo i primi due.
“Come nasce il gruppo? Vi conoscevate già da prima?”
L: Io, Federico e Michele siamo amici da molto tempo, anche con Davide. Però in realtà io sono l’ultima recluta, sono arrivato due anni e mezzo fa. Il gruppo era già formato, in principio erano quei tre. Prima avevano già un gruppo di stampo indie-rock inglese che poi si è sciolto, poi Federico ha deciso di fare prima un po’ di cover, finché non hanno iniziato a produrre cose inedite e originali. Piano piano, si è aggiunto questo signorino qua..”
R: Io li conoscevo già perché quando suonavo con mio fratello, ci trovavamo alle assemblee di istituto e loro facevano cover band degli Arctic Monkeys, mentre io facevo jazz. Musicalmente ci conoscevamo; era un periodo morto dove io non avevo nessun gruppo e mi arriva la chiamata di provare a suonare con loro, volevano un trombone e mi è partita la tega.
L: Quando mi sono aggiunto, alcuni pezzi dell’EP c’erano già. Poi nel marzo di quest’anno è uscito l’ EP completo.
Quindi suonate insieme da sei anni però non sono sempre stati pezzi vostri.
R: No, all’inizio era solo un provare generico, trovarci giusto una volta a settimana. Dopo è arrivata l’esigenza di uscire, ma dopo tanto tempo, forse dopo 3 anni..ci abbiamo impiegato tantissimo. Avevamo trovato una prima data per suonare ed è stata bellissima: a Bovolone, in un evento che si chiamava Dentro Il Parco Festival, suonavamo sotto un albero, davvero una bella esperienza.
L: Marzo 2022 esce l’EP. Raggruppa pezzi anche abbastanza vecchi. Quasi tutti erano pezzi nati dalla testa di Michele, abbiamo messo un po' del nostro, ci abbiamo lavorato su per tanto tempo e dopo li abbiamo resi un prodotto. R: A volte prendiamo anche pezzi vecchi e li rifacciamo perché ci vengono in mente arrangiamenti nuovi.
Titolo dell’EP? C’è un concept a livello di album?
R: In realtà, dato che in questi anni abbiamo fatto una valanga di pezzi, abbiamo deciso di racchiudere quelli che ci rappresentavano di più nel primo EP che è uscito e che si chiama Parco Natura Morta. Ci rappresenta non a livello di testi ma a livello di suoni: testi sono una cosa un po’ più intima.
L: Sì, i testi sono molto intimistici che sorgono dalle nostre vite, nel senso che sono il frutto di sentimenti, paure, come spesso succede. Il file Rouge è proprio l’espressione dell’intimo, quindi non c’è un concept preciso come altri album, il nostro è pensato secondo un suono che vogliamo portare fuori e scegliamo i pezzi che lo rappresentano in quel momento.
R: Abbiamo scelto il formato EP anche per questo motivo, mentre ora l’idea è quella di fare più avanti un secondo disco al quale stiamo già lavorando, seguire un concept ben specifico e trovare una storia. Il primo è stato più una presentazione.
Dove lo avete prodotto?
R: Qui a Verona, da Murato Records a Perona.
L: Una realtà abbastanza giovane che produce artisti locali.
R: Abbiamo registrato in studio da loro perché all’epoca avevano proprio uno studio fisso lì, ora non c’è più perché vogliono fare più produzione e meno registrazione.
Provate ogni settimana?
R: Magari... per un sacco di anni sì.
L: Ora le nostre vite sono un po’ cambiate, per esempio Michele fa specialistica a Milano e proviamo quando ci siamo.
R: L’idea è quella di riuscire a provare ogni settimana ma è difficile, dobbiamo trovare un equilibrio. Anche per questa esigenza è cambiato anche il modo di produrre che avevamo, mentre prima i brani venivano creati e si evolvevano in saletta, adesso ci siamo approcciando al metodo di registrarci sempre.
Ma il nome del gruppo, invece? Spiegateci un po’ questo fun-fact.
L: Riccardo, questa è roba tua.
R: SI, è roba mia: prima avevamo un nome africano, “I Lunga”. Il nome attuale invece ha una storia molto stupida. MI è rimasto impresso perché una sera, prima di una data con il mio vecchio gruppo, mi stavo fumando una sigaretta fuori da un ristorante e c’era un bambino che continuava a piangere perché voleva andare allo zoo, al Parco Natura Viva.
Questo bambino continuava a lamentarsi e la madre, che a un certo punto ha sbroccato, gli ha detto "Guarda che se non la smetti ti porto al Parco Natura Morta”. Con quest’associazione di parole mi è partito un trip allucinante. Questa cosa, senza esagerare, è successa forse dieci anni fa: io ero ancora alle superiori e questo nome mi è entrato nella testa. Ricordo di aver pensato “Se mai avrò un gruppo che fa musica indie rock italiano si chiamerà così”. All’inizio, quando sono entrato nel loro gruppo Whatsapp, come nome c’era “I Lunga” e il “Parco Natura Morta” gliel’ho non li convinceva tanto quando gliel’ho proposto. Alla fine è entrato nella testa anche a loro.
Queste sono le curiosità che vogliamo sapere per conoscere al meglio chi fa musica. c’è sempre qualcosa di nascosto che viene fuori.
In conclusione, non andate allo zoo ma andate a sentire loro non appena sapremo che sono in giro a suonare da qualche parte.
di: Aurora Lezzi
Salmon n' Chips
I Salmoni hanno nuotato anche nella Manica.
Proprio così, Inghilterra. Questa volta a chiacchierare con noi è Andrew Cushin nel retro del The Factory dove lo scorso Novembre c’è stato l’evento Britwall, una figata.
Andrew è un ragazzo giovanissimo di 22 anni prodotto da Songbird e supportato *niente poco di meno* che da Noel Gallagher.
È inutile: il brit-pop piace alle vecchie e alle nuove generazioni e Andrew ci sta proprio dentro a questa vibe qui.
La scoperta intrigante è che non era mai stato in Italia fino ad ora e ovviamente la domanda che sorge spontanea è “Ti piace?” e lui super entusiasta dice “Praticamente non voglio tornare a casa. Il cibo e le persone sono fantastiche. Ho trovato una somiglianza tra Verona e la mia casa, New Castle, a nord est dell’Inghilterra: le persone sono molto simili, amabili, accoglienti e dal cuore grande. A Verona ovviamente il cibo è migliore”.
Quanto è bello sentirsi dire che i veronesi sono amabili e accoglienti? Non ce lo aspettavamo per niente, e infatti è quello che gli abbiamo raccontato.
“Di solito sentiamo dire il contrario…”
«Assolutamente no. Le persone mi hanno davvero accolto con il cuore, dalle quelle nei negozi, a quelle nei ristoranti, fino ai passanti per strada. Una cosa che ho trovato divertente è che qui tutti sembrano più giovani di quello che sono. Stavo parlando con una ragazza l’altro giorno e pensavo avesse 19 anni quando in realtà ne aveva 27. What the f*ck??”
Ma parliamo della tua musica: come hai cominciato?
“Ho imparato a usare la chitarra quando avevo 16 anni. Prima di allora non mi ero mai interessato alla musica, in realtà è un amore nato un po’ per noia. Mia madre è una brava cantante e ha cantato in diverse band quindi ho iniziato a cantare anche io. A 18 anni è iniziato tutto con la mia prima esibizione e dopo 3 settimane è stato coinvolto il mio attuale manager e anche Noel Gallagher, quindi tutto è diventato enorme in poco tempo.”
Il suo stile si può dire nasca anche dall’influenza che ha avuto ascoltando artisti Paul Weller, Neil Young, Bob Dylan, Jake Bugg e Noel Gallagher al quale si ispira.
“Ciò che mi piace di questi artisti è che sono semplicemente loro, un uomo a una chitarra. Non hai bisogno di una grande band intorno a te, non hai bisogno di un grande rock-show. A volte quello che serve è solo una chitarra. È quello che ho pensato quando ho ascoltato Jake Bugg la prima volta”.
Sei mai stato a qualche talent show?
“No, mai. Piuttosto mi venivano offerti 50 o 60 pounds per suonare e lo facevo totalmente per amore della musica, non ho mai partecipato a niente del genere. Faccio musica perché ho qualcosa da dire e mi basta questo. Ho cominciato nei pub nel Nord Est dell’Inghilterra e forse c’erano 12 o 13 persone che magari erano impegnate a guardare la partita e nessuno stava ascoltando. Se non cominci dai piccoli show, non ti meriti quelli grandi. Al giorno d’oggi molte persone possono essere famose perché hanno i soldi o perché conoscono qualcuno di famoso, ma quando io ho suonato in grandi posti non ho mai avuto niente a che fare con tutto questo, perciò sono fiero di aver fatto tutto da solo e di crescere a poco a poco. Non ha senso essere grandi grazie a niente, quindi sono grato di fare da solo quello che faccio: il successo viene col talento e determinazione, non lo raggiungi se non hai una delle due”.
“Spiegaci un po’ come ha fatto Noel Gallagher a trovarti!”
“Grazie al mio manager. Lo conosceva da un po’ di anni e gli ha mandato una delle mie canzoni registrata in un pub. L’ha ascoltata, gli è piaciuta, mi ha invitato a Londra e siamo andati in studio. Da quel momento in poi, show sempre più grandi. Lui è fantastico, siamo sempre in contatto.”
Tutto ciò è assurdo.
Gli abbiamo infine mostrato la nostra mappa Salmon x UDU con tutte le chicche su dove mangiare, bere e divertirsi e Andrew era super gasato perché vuole conoscere di più della nostra città e non vede l’ora di tornare.
Noi, invece, non vediamo l’ora che torni lui per prendere una barretta insieme, da veri British.
di: Aurora Lezzi
Succede a Campo...
Cari salmoni, se nella vostra vita siete già stati a Campo di Brenzone, non servono presentazioni. Se invece non sapete di cosa parliamo, bisogna rimediare, perché a questo minuscolo borgo antichissimo sul Lago sul di Garda si associa un’unica parola: magia.
Noi lo conosciamo perché da anni un gruppo di sognatori indefessi organizza le Notti magiche a Campo (to’ guarda, “magiche” anche loro), cioè una rassegna di concerti di vario genere, dall’omaggio a Luigi Tenco con la band di Ottolini a Gino Paoli. Sono concerti che si ascoltano seduti su un prato fra un centinaio di ulivi secolari, la brezza che rinfresca l’aria, le stelle a pizzicare il cielo, con il lago da una parte, il Baldo dall’altra e una meravigliosa cornice di case in pietra.
Qualche mese fa il sogno sembrava sul punto di svanire, quando il nostro gruppo di indefessi, capeggiato da Sonia Devoti, già presidente del C.T.G. Brenzone, si è lanciato in un’avventura ancora più idealista: in 8 amici hanno fondato l’impresa sociale “Campo Teatro degli Ulivi” e hanno rilanciato. Ci ha raccontato lei stessa com'è andata...
«Circa un anno fa è venuto a mancare il proprietario del terreno, che ci concedeva in affitto per fare “Notti magiche”, e gli eredi ci hanno chiesto di sbaraccare il palco e le altre cose accatastate lì. Il terreno era stato messo in vendita. Da quel momento si poteva chiudere in maniera definitiva l’avventura di 27 anni di musica. Allora è nata un’idea, che all’inizio sembrava una follia, poi è diventata sempre più percorribile, grazie all’incoraggiamento e al supporto di un gruppo che si è creato in maniera abbastanza spontanea: abbiamo acquistato il campo».
È stato facile?
«In realtà c'erano vari interessi, perché da questi 150 ulivi si fa un olio buonissimo, come in tutta quest'area del lago, quindi c'erano varie aziende agricole interessate. Ma i proprietari hanno preferito noi, questo è importante dirlo».
Qual è il progetto, cosa volete fare nell’uliveto?
«L’idea è mettere un palco, fare un teatro e organizzare eventi musicali durante l’anno… Adesso abbiamo i concerti di Natale dedicati alla vocalità, per esempio i Neri per caso questa domenica, poi ci saranno altri appuntamenti in primavera e in estate. In generale, vogliamo implementare il progetto “Notti magiche”, quindi organizzare appuntamenti musicali di vario genere, dalle arie d’opera, al musical, alla musica leggera, al teatro: insomma, rendere questo luogo vivo grazie a una programmazione assidua e di qualità. Poi l’altra cosa che vorremmo fare è abbinare la musica all’arte, perché l’appezzamento si presta a installazioni di arte contemporanea, che si integrino bene con l’ambiente e nel rispetto assoluto della bellezza di Campo».
Wow. Sappiamo che avete anche lanciato la campagna “Adotta un ulivo”… cioè?
«“Adotta un ulivo” è un modo per entrare a far parte di questo progetto, di questo sogno. Chi adotta l’ulivo con un’offerta minima di 1000 euro una tantum, quindi una volta per sempre, adotta uno dei 150 ulivi secolari della tenuta e lo lega al suo nome o a quello di qualcuno che, magari, vuole ricordare o omaggiare. Ai soci sostenitori che adottano l’ulivo sarà dedicato un concerto particolare, godranno di scontistiche o ingressi omaggio e riceveranno una bottiglia di olio quando la raccolta sarà buona come quest’anno. Soprattutto, è un modo per contribuire al progetto Campo Teatro degli Ulivi».
Ok, come si fa?
«Basta scrivere una mail a teatrocampoulivi@gmail.com. Le adozioni saranno aperte a partire da gennaio, perché da quel giorno sarà possibile godere di una detrazione del 30% grazie al Pnrr. L’acquisto del terreno è stato completamente autofinanziato ed è un modo per chiedere una mano alla comunità».
Ok, sembra che le buone notizie esistano a Verona, che i sognatori trovino uno spazio e un po' di coraggio, che il progetto sia rispettoso dell'ambiente, dell'identità del luogo e dei bisogni della comunità che ci abita. Marchio "Salmone DOC" subito. Anzi, andiamo da loro a prendere lezioni.