L'equazione

di: Aurora Lezzi

C+C=Maxigross: quella che ci sembrava un’equazione è in realtà una delle band più conosciute di Verona e allora abbiamo deciso di incontrarli. Dopo delle chiacchiere informali, sono venuti fuori discorsi profondi e spiegazioni sul loro disco “Cosmic Res” appena sfornato il 20 gennaio e che ci hanno fatto venire i brividi.

 

Chi sono i componenti attualmente? Essendo un collettivo, spesso ci sono entrate ed uscite.
N: Eccoci, C+C=Maxigross. Io sono Niccolò Cruciani, suono la chitarra e canto.
Z: Io sono Zeno Merlini, suono il sassofono e ora mi hanno costretto a suonare anche ai sintetizzatori.

T: Io sono Tobia Poltronieri, suono la chitarra e canto anche io.
N: All’appello mancano Sirio Bernardi alla batteria e Francesco Ambrosini, in arte Duck Chagall, che in quest’ultimo album è stato quello che ha gestito lo studio, quindi il produttore discografico che si è occupato del disco. Questa è una nuova formazione, suoniamo insieme dall’inizio dell’estate, poi essendo un collettivo, appunto, sono passati tanti elementi e attualmente ci troviamo così.

Parlateci di questa storia lunga dieci anni o forse più!
N: Si esatto, anche più, se non sbaglio è una storia che inizia nel 2009. Il membro originario fondatore qui presente è Tobia insieme a Filippo Brugnoli e Francesco Ambrosini che adesso fa parte del collettivo ma dal punto di vista più della produzione e da studio. Magari ci accompagnerà nei concerti, prossimamente..ma per ora no. Poi Filippo è diventato padre, ha preso altre strade, sono subentrato io, altre persone, adesso Zeno e Sirio e diciamo che siamo in continua evoluzione.
T: Molto semplicemente, io, Pippo e Ambro ci conosciamo da quando eravamo ragazzini e suonavamo per conto nostro. Il primo EP uscì nel 2011 e si chiamava Singar e da lì poi l’evoluzione come ha spiegato Niccolò.

Qual è il vostro rapporto con la città? Sappiamo di una certa casa in montagna..
T: Sì, di Vaggimal potrei parlare io. Semplicemente, come forse già sapete, Vaggimal è tutt’ora la casa dei nonni di Pippo e ora dei suoi genitori. Abbiamo iniziato a usarla nei ritagli di tempo quando non ci andavano i suoi genitori e abbiamo registrato lì i primi dischi, quindi è un po’ il fulcro dove amici e amiche venivano a trovarci. Abbiamo creato tutto un bacino di amicizie mantenuto uguale ad adesso, quindi è stato un po’ l’evoluzione delle nostre vite.

Parliamo un po’ del disco. Ce lo sapete descrivere concettualmente? C’è una storia dietro?

 N: Innanzitutto, questo disco appena uscito è completamente scollegato da questa fase primordiale dei C+C. Lo abbiamo scritto qui a Verona ormai due anni fa per un episodio che per noi è assolutamente importante, ovvero la morte del nostro amico Miles. In realtà non nasce come un disco commemorativo, semplicemente ci siamo trovati a suonare, improvvisando e facendo sperimentazioni con i nastri e ci siamo detti: “Ok, proviamo a dargli una forma” senza neanche pensarci troppo. Abbiamo poi pensato che il ricordo del nostro amico poteva essere una tematica ricorrente e che avremmo potuto velarla. In ogni caso ci siamo interrogati se stessimo andando troppo nel dettaglio, ma i conti alla fine ci tornavano. A volte i riferimenti sono diretti, a volte no.

Il disco sarà presto sotto un’etichetta discografica di nostri amici che secondo me stanno facendo un ottimo lavoro e si chiama Dischi Sotterranei. Siamo contenti anche di lavorare con persone nuove: loro sono molto entusiasti e ci troviamo molto bene anche a livello personale.
Ritornando sulla tematica, anche per la scrittura dei testi, abbiamo cercato di spaziare, parlando a volte in maniera intima e personale e altre volte più distaccata, non vincolante.

Viste le numerose prossime date per suonare dal vivo, come fate a trovare i posti dove esibirvi?
N: Adesso abbiamo la fortuna di avere una delle migliori agenzie booking nel nostro campo che è DNA Concerti. Lavora con artisti che personalmente amo e ci sta trovando le date e ne stanno saltando anche fuori di nuove. Suoneremo il 10 febbraio qui a Verona, poi a Milano all’Arci Bellezza il 16 Febbraio, il 17 a Modena e altre ancora, che adesso non ricordo.

E invece su RollingStone? Come diavolo ci siete finiti? 

N: Abbiamo creato per loro una playlist. Il nostro ufficio stampa ci ha trovato questo sbocco con RollingStone e ci è stato chiesto di creare una playlist di brani che ci hanno ispirato connessi a Cosmic Res e abbiamo semplicemente proposto dei pezzi che ci piacciono molto.

Cosmic Res è un titolo pazzesco, da dove salta fuori?
N: Cosmic come parola inglese e Res come parola latina: ci piaceva come suonava, “Cose Cosmiche”. Lo trovavamo adatto alla tematica che trattiamo nel disco. Pensiamo che ognuno di noi manifesti una propria spiritualità e fascinazione per quello che non è tangibile, mentre il cosmo è totalmente tangibile ma è una cosa distante che conosciamo poco, un po’ ignota. Si tratta di qualcosa di scollegato dal pianeta terra, quindi come il ricordo del nostro amico e abbiamo legato il concetto della morte alla materia cosmica. I testi, invece, sono prevalentemente scritti in italiano, ma in quest’ultima fase, ci siamo riappropriati adesso della lingua italiana perché inizialmente scrivevamo in inglese in maniera inconsapevole, un po’ naïf. Il nostro amico Miles, invece, ci ha fatto capire come l’essere naïf sempre non portava necessariamente a una comunicazione chiara e diretta e quindi siamo tornati alla nostra lingua madre, riuscendo a comunicare meglio certi concetti.

Data questa dose di vibes forti, non ci resta che fare una cosa: sentirli dal vivo, per avere queste vibes direttamente sulla pelle.
Siamo fortunati, e sapete perché? La data live in quel di Verona è vicinissima, il 10 Febbraio al Colorificio Kroen.

#followthesalmon


Scimmie a Verona

Spoiler: non sono il loro gruppo preferito.

Di chi stiamo parlando? Della fichissima band veronese Arctic Attack, tribute band degli inglesi Arctic Monkeys. Per chi non conoscesse il concetto, una tribute band non è una semplice cover band che fa brani di altri gruppi, ma è una band che si dedica unicamente ad un’altra band e fa cover solo di quella: nei casi più convinti i componenti si vestono, si atteggiano, cantano, suonano e parlano come l’originale.

Qui abbiamo Filippo (voce e prima chitarra), Arrigo (batteria), Anthony (seconda voce e chitarra) ed Elia (basso): età diverse fra loro, ma forse è proprio questo il mix che rende il cocktail perfetto.

Il fatto di avere esperienze e influenze diverse li rende in tutto e per tutto simili alla versatilità degli Arctic originali.

La scelta di una band come questa è dettata infatti dalla varietà di generi musicali esplorati di album in album, cominciando dal primo disco del 2006 What People Say I Am, That’s What I’m Not fino all’ultimo, uscito il 21 Ottobre del 2022, The Car. Si tratta di guizzare da generi come il rock al pop, per poi passare al Rythm & Blues.

«Se crei una tribute band dei Queen, devi essere come loro. Non c’è niente da fare. Il bello del nostro gruppo è che non ci impegnamo nel somigliargli, la musica parla da sé. È più importante una somiglianza musicale che visiva» ci dicono.

Ed è proprio così. Stando alla versatilità di una band come gli Arctic Monkeys, si nota perfettamente come attraggano vasti e vari ascoltatori anche in termini di età, proprio come è accaduto con il pubblico presente alle esibizioni degli Arctic Attack, ad esempio all’evento Britwall ma anche al Mura Festival dove sono riusciti a far cantare, ballare e divertire letteralmente CHIUNQUE.

Come non prendersi una birra con loro per metterli un po’ sotto la lente di ingrandimento? Anche perché sono freschi-freschi: suonano insieme da soli due anni.

Perché proprio loro? Come nasce l’idea?

F: Ho pensato: “C***o, fighi gli Arctic Monkeys. Perché non fare una cover band?” Così l’ex bassista che avevamo mi ha seguito a ruota e poi abbiamo messo un annuncio su Facebook. Abbiamo trovato così la seconda chitarra e la batteria.

A: La parte migliore è quando ci chiamano appositamente per suonare. Finalmente in scaletta abbiamo tutto il repertorio, dal primo all’ultimo album. Anzi, ci manca solo l’ultimo. Un’altra idea a cui abbiamo pensato è di fare set in acustico, in ambienti più intimi, al chiuso e suggestivi.

Un fun-fact che ci hanno raccontato è la storia degli occhiali blu.

Abbiamo notato che il cantante ha sempre su un paio di occhiali con le lenti blu quando suonate live, è casuale o è una qualche specie di porta fortuna?

F: Li ha trovati mia madre per terra in un parco, a Verona. Non hanno neanche la stanghetta centrale. Si mantengono su solo grazie al mio naso chilometrico. Alex Turner ha degli occhiali da sole color ambra, io ho questi.

Ha poi girato la storia a suo favore dicendo che, essendo blu, ricordano il freddo, quindi l’artico…ma temiamo che semplicemente non voglia prendersene un altro paio.

E poi si è parlato di sushi.

 


Infinito: L'universo di Luigi Ghirri

Ciao salmoni! In vista della proiezione del documentario Infinito. L'universo di Luigi Ghirri che si terrà il 18 gennaio alle 21 al cinema Kappadue, è utile fare una breve intro alla sua immensa opera!

Luigi Ghirri nasce a Scandiano (Reggio Emilia) nel 1943 e inizia a fare fotografie a partire dagli anni Settanta. Diventa fotografo di fama internazionale dopo aver lasciato la sua professione di geometra che ha definito la sua concezione di paesaggio e ambiente.

Dagli anni Ottanta si concentra invece su ritratti della Pianura Padana, i territori della (mitica, misteriosa e mistica) bassa veronese che si estende tra le provincie di Mantova e Verona, fino alla campagna emiliana. Ha esposto sia in Italia che all’estero: da Los Angeles a Legnago, da New York a Caltagirone. Nelle sue fotografie è il cielo pieno di nuvole a fare da protagonista, dove i colori sono pastello e la provincia diventa il punto privilegiato da cui osservare il mondo. I paesaggi di Ghirri diventano una geografia dei sentimenti, la marginalità della provincia assume nuovi significati di grazia, malinconia e imprecisione. La sua è una poetica del meraviglioso che dimora nella semplicità e quotidianità, in cui lo spazio è desolato, ma infinito e la luce si fa fioca, ma piena di senso. Si vedono così campi, fiumi, fossi, piazzette deserte, vecchie cascine avvolte dalla nebbia, ma anche malinconiche spiagge emiliane ed alcuni scatti del sud Italia e di viaggi all’estero. I suoi paesaggi diventano quasi metafisici, lasciano trapelare significati altri e più profondi.

Il documentario Infinito. L’universo di Luigi Ghirri è una vera e propria immersione nel mondo dell’artista, è un'indagine dell’uomo e del fotografo.

Il film del regista Matteo Parisini affianca alle parole scritte del fotografo, rese tramite la voce fuoricampo dell’attore Stefano Accorsi, le testimonianze di alcune figure che hanno collaborato con lui. Sono infatti numerose le personalità artistiche che lo hanno affiancato nella vita e nel lavoro. Tra loro gli artisti concettuali Davide Benati e Francesco Guerzoni, il primo stampatore Arrigo Ghi e lo storico dell’arte Arturo Carlo Quintavalle. Tra le testimonianze anche quella dell'amico Massimo Zamboni, musicista del gruppo CCCP, con cui ha anche collaborato (si veda l’immagine pazzesca in copertina del loro ultimo super album Epica Etica Etnica Pathos). Fondamentali sono le parole dei familiari che rimandano alla dimensione più intima del fotografo. Il pensiero di Ghirri si relaziona continuamente alle immagini e video inediti provenienti dall’Archivio Eredi Ghirri.

Infinito, come tutta l’opera di Ghirri, invita a non limitare lo sguardo e a non porsi confini.

Ed è proprio questo che fanno i veri salmoni: andare controcorrente verso l’infinito e oltreee! Quindi forza, accorrete!

La proiezione si terrà il 18 gennaio presso il cinema Kappadue grazie al lavoro dei grandissimi cinema verona, circolo del cinema, urbs picta e fonderia 209.

Per non farci mancare nulla in sala sarà presente il regista Matteo Parisini e la curatrice della sua opera Adele Ghirri, figlia del fotografo.

 

                 

 

     

 


Non è lo zoo

Caffè, quattro ciacole, “Circles” di Mac Miller come sottofondo e cominciamo la nostra intervista con i Parco Natura Morta, 100% made in Verona.
No, non è il nome dello zoo scritto male. È un’altra cosa.
Sono Lorenzo, Riccardo, Davide, Michele e Federico, dei quali abbiamo conosciuto di persona solo i primi due.

“Come nasce il gruppo? Vi conoscevate già da prima?”
L: Io, Federico e Michele siamo amici da molto tempo, anche con Davide. Però in realtà io sono l’ultima recluta, sono arrivato due anni e mezzo fa. Il gruppo era già formato, in principio erano quei tre. Prima avevano già un gruppo di stampo indie-rock inglese che poi si è sciolto, poi Federico ha deciso di fare prima un po’ di cover, finché non hanno iniziato a produrre cose inedite e originali. Piano piano, si è aggiunto questo signorino qua..”
R: Io li conoscevo già perché quando suonavo con mio fratello, ci trovavamo alle assemblee di istituto e loro facevano cover band degli Arctic Monkeys, mentre io facevo jazz. Musicalmente ci conoscevamo; era un periodo morto dove io non avevo nessun gruppo e mi arriva la chiamata di provare a suonare con loro, volevano un trombone e mi è partita la tega.
L: Quando mi sono aggiunto, alcuni pezzi dell’EP c’erano già. Poi nel marzo di quest’anno è uscito l’ EP completo.

Quindi suonate insieme da sei anni però non sono sempre stati pezzi vostri.
R: No, all’inizio era solo un provare generico, trovarci giusto una volta a settimana. Dopo è arrivata l’esigenza di uscire, ma dopo tanto tempo, forse dopo 3 anni..ci abbiamo impiegato tantissimo. Avevamo trovato una prima data per suonare ed è stata bellissima: a Bovolone, in un evento che si chiamava Dentro Il Parco Festival, suonavamo sotto un albero, davvero una bella esperienza.
L: Marzo 2022 esce l’EP. Raggruppa pezzi anche abbastanza vecchi. Quasi tutti erano pezzi nati dalla testa di Michele, abbiamo messo un po' del nostro, ci abbiamo lavorato su per tanto tempo e dopo li abbiamo resi un prodotto. R: A volte prendiamo anche pezzi vecchi e li rifacciamo perché ci vengono in mente arrangiamenti nuovi.

Titolo dell’EP? C’è un concept a livello di album?
R: In realtà, dato che in questi anni abbiamo fatto una valanga di pezzi, abbiamo deciso di racchiudere quelli che ci rappresentavano di più nel primo EP che è uscito e che si chiama Parco Natura Morta. Ci rappresenta non a livello di testi ma a livello di suoni: testi sono una cosa un po’ più intima.
L: Sì, i testi sono molto intimistici che sorgono dalle nostre vite, nel senso che sono il frutto di sentimenti, paure, come spesso succede. Il file Rouge è proprio l’espressione dell’intimo, quindi non c’è un concept preciso come altri album, il nostro è pensato secondo un suono che vogliamo portare fuori e scegliamo i pezzi che lo rappresentano in quel momento.
R: Abbiamo scelto il formato EP anche per questo motivo, mentre ora l’idea è quella di fare più avanti un secondo disco al quale stiamo già lavorando, seguire un concept ben specifico e trovare una storia. Il primo è stato più una presentazione.

Dove lo avete prodotto?
R: Qui a Verona, da Murato Records a Perona.
L: Una realtà abbastanza giovane che produce artisti locali.
R: Abbiamo registrato in studio da loro perché all’epoca avevano proprio uno studio fisso lì, ora non c’è più perché vogliono fare più produzione e meno registrazione.

Provate ogni settimana?
R: Magari... per un sacco di anni sì.
L: Ora le nostre vite sono un po’ cambiate, per esempio Michele fa specialistica a Milano e proviamo quando ci siamo.

R: L’idea è quella di riuscire a provare ogni settimana ma è difficile, dobbiamo trovare un equilibrio. Anche per questa esigenza è cambiato anche il modo di produrre che avevamo, mentre prima i brani venivano creati e si evolvevano in saletta, adesso ci siamo approcciando al metodo di registrarci sempre.

Ma il nome del gruppo, invece? Spiegateci un po’ questo fun-fact. 

L: Riccardo, questa è roba tua.

R: SI, è roba mia: prima avevamo un nome africano, “I Lunga”. Il nome attuale invece ha una storia molto stupida. MI è rimasto impresso perché una sera, prima di una data con il mio vecchio gruppo, mi stavo fumando una sigaretta fuori da un ristorante e c’era un bambino che continuava a piangere perché voleva andare allo zoo, al Parco Natura Viva.

Questo bambino continuava a lamentarsi e la madre, che a un certo punto ha sbroccato, gli ha detto "Guarda che se non la smetti ti porto al Parco Natura Morta”. Con quest’associazione di parole mi è partito un trip allucinante. Questa cosa, senza esagerare, è successa forse dieci anni fa: io ero ancora alle superiori e questo nome mi è entrato nella testa. Ricordo di aver pensato “Se mai avrò un gruppo che fa musica indie rock italiano si chiamerà così”. All’inizio, quando sono entrato nel loro gruppo Whatsapp, come nome c’era “I Lunga” e il “Parco Natura Morta” gliel’ho non li convinceva tanto quando gliel’ho proposto. Alla fine è entrato nella testa anche a loro.

Queste sono le curiosità che vogliamo sapere per conoscere al meglio chi fa musica. c’è sempre qualcosa di nascosto che viene fuori.
In conclusione, non andate allo zoo ma andate a sentire loro non appena sapremo che sono in giro a suonare da qualche parte.

 

di: Aurora Lezzi