Intervista a Gino Paoli

Di Giovanna Girardi

 

Qualche mese fa mi è capitata una cosa bellissima.

Per introdurre lo spettacolo di Enrico de Angelis in occasione dei 60 anni di Sapore di sale, ho intervistato Gino Paoli per L’Arena. Ebbene sì, Gino Paoli. Quel Gino Paoli che ha fatto la storia della musica italiana.

Quando ho sentito “Pronto” all’altro capo del telefono, non sono riuscita a trattenere un complimento del tipo: “È un grande piacere per me intervistarla, ho ascoltato così tanto le sue canzoni…”. Poi mi sono accorta della banalità e ho aggiunto, “Beh, come milioni di altri italiani”. Di tutta risposta Gino Paoli non ha risposto. Mi ha trattato lì per lì con una certa ritrosia, forse per una sua insofferenza alle adulazioni, ma poi, vista la sincerità della mia emozione (e constatato che non ero una matta sfegatata), si è ammorbidito, si è aperto con franchezza.

D’altra parte, parlando con lui, non ero solo una giornalista un po’ coinvolta. Ero la bambina che ascoltava in loop Quattro amici al bar, la ragazza del liceo che si era appassionata a Che cosa c’è, la studentessa universitaria che cercava di decifrare la metrica di Il cielo in una stanza, la giovane donna che ascoltava gli arrangiamenti morriconiani di Sapore di sale, che ripensando a La gatta ricordava luoghi iconici della sua infanzia, che ha riscoperto Senza fine grazie a un film di Virzì e Ti lascio una canzone live con Ornella Vanoni grazie ai fortunati incontri della vita. Insomma, niente di speciale in Italia. 

Per cercare di mantenere un aplomb professionale, ho dovuto fare appello alla mia serietà più del solito. E nel corso dell’intervista anche il mio mito, il nostro mito, mi ha riservato qualche confessione, riflessioni profonde, considerazioni sincere e una malcelata instancabile dolcezza, che fin dal primo singolo del ’59 muove in sottofondo le sue note e parole.

L’intervista è uscita a suo tempo molto tagliata sull’Arena (più che altro per ragioni di spazio). Così ho chiesto agli amici di Salmon di pubblicarla in versione integrale, pensando che le parole di Gino Paoli possano essere un bene pubblico.

Ecco ciò che ci siamo detti. 

Tante sue canzoni sono impresse nella storia della musica e – cosa ancora più bella – sono ancora molto ascoltate: diventano colonne sonore di film, le ascoltano i giovani. Si è mai chiesto perché?

Sì, perché non mai state di moda. Le cose di moda, quando finisce quella moda, finiscono. Dato che io non ho seguito mai la moda, di nessun tipo, ho fatto quello che mi sembrava giusto, ho scritto quello che sentivo, se le mie canzoni piacciono, piacciono sempre a qualcuno. 

Quando ha cominciato, sentiva di dover fare questo mestiere? L’ha cercato o è capitato?

È stato un caso, solo un caso. Io facevo il pittore e facevo anche il grafico per una ditta. La mia vita era già a posto per conto suo, anzi facevo quello che mi piaceva, cioè dipingere. Poi un amico mi ha chiesto di incidergli delle canzoni, mi hanno chiesto di cantarle e mi hanno offerto dei soldi, allora ho detto: “Va bene”. Inizialmente l’ho fatto come una sorta di gioco che sarebbe finito il più presto possibile, invece è durata 50, 60 anni. 

 

 

Se l’aspettava all’inizio?

No, non mi aspettavo niente all’inizio. Tieni conto che io non avevo mai scritto canzoni, improvvisamente un giorno torno a casa e mi dico: “Quasi quasi mi scrivo una canzone io” e ho scritto La gatta. La gatta è uscita come disco a gennaio-febbraio, qualcosa così, e non ha venduto niente, a parte i dischi che ha comprato mia mamma. Poi, durante l’estate, nei juke-box si sentiva solo quella. Praticamente si è lanciata da sola la canzone. Quando le persone sono tornate a casa dal mare, se la sono andata a comprare, allora è stato un successo. 

C’è una canzone fra le tantissime a cui è particolarmente affezionato?

No, perché le canzoni sono come pagine di vita. Sarebbe come se lei mi dicesse: “Preferisce quella che ha scritto a 25 anni o quella che ha scritto a 40?”. Sono l’espressione di un mondo, che naturalmente cambia. 

E invece una canzone poco o meno conosciuta delle altre, secondo lei ingiustamente? 

Non lo so, perché non mi sono mai interessato di queste cose, di numeri… le cose che so, me le hanno dette: non ho mai scritto per vendere, ho scritto perché sentivo voglia di scrivere. E poi il fatto che una canzone avesse successo era un incidente… va bene, grazie se gradite, ma io scrivo per scrivere una cosa giusta, che serve a me e che può servire a qualcun altro. 

Si sente di più musicista, autore o entrambe le cose?

Ma io… quando scrivo, scrivo tutto insieme, non è che prima scrivo la musica e poi ci metto le parole. Scrivo una frase musicale e parlata, di testo, che ha già in sé tutto quello che verrà dopo. Nel senso che devo seguire quella parte iniziale e poi si scrive tutto il resto.

Prendiamo Sapore di sale che quest’anno farà 60 anni e sarà il centro dello spettacolo a Verona. Sono d’accordo con lei che resiste al tempo ciò che non segue le mode. Secondo lei c’è qualcosa oggi che potrebbe essere fuori dalle mode e che magari riascolteremo fra 60 anni? 

Non credo, adesso no. La produzione di oggi è una produzione che ignora il testo, ignora l’emozione che uno dovrebbe trasmettere quando scrive e che dovrebbe arrivare. Adesso più che altro è una situazione molto ritmica, dove l’importante è una base per muoversi. La canzone da sentire, per provare un’emozione, non mi risulta che ci sia. Tra parentesi, di Sapore di sale la cosa buffa è che è l’unica canzone che non mi sembra d’aver scritto io. Nel senso che io tornai dalla Sicilia, dove io avevo vissuto in un posto che si chiama Capo d’Orlando, e quando arrivai a casa, mi misi al pianoforte come se me la dettassero, come se fosse già scritta, tanto è vero che poi io ho cercato di farla sentire a tutti, perché pensavo di aver scritto una cosa che avevo già sentito, insomma, può capitare. Invece no, nessuno la riconosceva come una canzone già fatta. È l’unico caso, di tutte quelle che ho scritto, che ho scritto come se qualcuno me la dettasse, come se venisse dal nulla, già pronta.

E poi l’ha arrangiata Ennio Morricone. Com’è stato lavorare con lui?

In questo caso gli ho fatto scrivere tre volte l’arrangiamento, perché non mi piaceva. Aveva fatto un arrangiamento con trombe, tromboni, eccetera e non mi piaceva per niente. Per cui gliel’ho fatto riscrivere e la terza volta ha scritto questa versione. Tra parentesi, usando un basso-chitarra che suonava il fratello di Little Tony: ce l’aveva solo lui e l’ho fatto venire per fare la ritmica, perché avevo bisogno di qualcosa per fare la ritmica… quella parte lì (e canticchia il basso di Sapore di sale “tantadadadantanta-ta, tantadadadantanta-ta”) me l’ero inventata io, non Morricone, però è stato grazie anche a questo Enrico, mi sembra che si chiamasse Enrico, Enrico Ciacci, che ha fatto tutta la base ritmica praticamente. Poi la terza volta che mi portò l’arrangiamento, mi andava bene, così l’ho cantata. 

E direi che è andata bene. C’è qualche musicista della sua lunga e intensa carriera che l’ha colpita particolarmente?

Con cui ho collaborato? Beh io ho collaborato con un sacco di gente…

Eh… lo so. 

Uno che mi era piaciuto molto… c’è tutta una storia che non le sto a raccontare adesso, è Jacques Brel. Lui voleva uno in Italia che gli traducesse le canzoni. Era amico di un certo Alain Barrière di cui avevo scritto i testi in italiano ed erano stati due successi di classifica, e allora, dato che Brel voleva avere un esito anche in Italia, mi chiamò a Parigi e mi fece sentire alcune canzoni. Così tornai e tradussi Ne me quitte pas che diventò Non andare via. Ed ebbe un certo successo in effetti, Brel era molto contento. 

E invece un musicista con cui non ha collaborato, ma le sarebbe piaciuto?

Mah, sono i brasiliani. Io ero amico con Vinicius De Moraes e mi sarebbe piaciuto collaborare con lui molto, perché era vicino a me come testa. Allora avrei voluto, però non siamo mai riusciti… siamo riusciti sì a bere insieme, ma a scrivere qualcosa insieme no. 

Dato che ha visto, vissuto e in parte scritto tutta questa storia della musica italiana, come le sembra sia cambiata la canzone italiana in questi 60 anni? 

Beh la questione è: cos’è che piace adesso? “Io scrivo per avere successo”: se si parte così, tutta la cosa non mi interessa. Non puoi scrivere tenendo presente cosa va adesso, obbligato in una prassi che non è tua, cioè a me non piace la prassi e quindi non mi piace il risultato. 

 

 

E quindi cosa suggerirebbe di fare a un giovane cantautore?

Di fare quello che sente, non quello che vogliono il mercato, il produttore, la casa discografica. Fare quello che sente e sperare che piaccia anche agli altri. Però quando tu scrivi quello che senti e ti riesce bene, sei soddisfatto anche se poi non vendi. 

E quand’è stato che la canzone italiana ha smesso di dire qualcosa, di essere interessante?

Purtroppo fortunatamente siamo stati noi, noi cantautori di allora. I cantautori di Genova, Luigi (Tenco, ndr), io, Bruno (Lauzi, ndr), quelli lì, più qualcun altro come Sergio Endrigo… c’è stato un momento in cui qualcuno ha detto: “Cazzo, ma la canzone può essere usata per esprimersi, non deve essere soltanto un genere di divertimento. Può servire per esprimere quello che sei, quello che pensi, quello che ti sta nel cuore”. E questa cosa è successa a noi nel ’60, perché semplicemente è andata così, poteva essere qualcun altro… perché prima o poi qualcuno si sarebbe accorto che la canzone può essere un mezzo di espressione. Però è stato così, è successo a noi. 

Se le dicessi, per esempio, nomi come Samuele Bersani, Daniele Silvestri, Max Gazzè, che sono cantautori di una generazione successiva alla sua ma non più giovani, secondo lei lì c’è una forza paragonabile a quella che c’era quando avete cominciato voi?

No, semplicemente no. La complicazione è stata lo svilupparsi dell’industria discografica. Quando abbiamo cominciato noi era un fatto praticamente dilettantistico, guidato da Nanni Ricordi, che era un matto che voleva solo cose diverse. Quindi la questione è stata anche un’atmosfera, un momento che ha determinato tutto quanto e che ha dato a noi la grinta per scrivere in maniera personale: questo poi non è più avvenuto direi. C’è stata, sì, gente che scriveva bene. Scrivere bene è una cosa, scrivere col cuore è un’altra. Di solito quelli che scrivono, dipingono o fanno questo, muoiono e poi quando sono morti la gente si accorge che sono stati bravissimi, di solito accade così… a noi è andata bene, perché eravamo ancora vivi (ride, ndr).

Quindi era tutto bello allora?

Ha presente Gioventù bruciata, James Dean e tutto quel mondo: noi eravamo quel mondo lì. I ribelli, quelli dall’altra parte, quelli che non seguono le regole. Non c’è niente da fare: io sono andato a Sanremo e il portiere mi ha detto: “Vestito così non entri”. E mi sembra sia molto sintomatico. La gente poi è andata anche nuda, però purtroppo tutti i limiti da trasgredire, invece che trasgredirli gli artisti, gli scienziati, li hanno trasgrediti gli imbecilli e quindi è una cosa che non credo sia neanche piacevole. 

 

 

Oggi dipinge ancora?

No… dipingere vuol dire vivere da pittore, mangiare da pittore, guardare da pittore, altrimenti non si può farlo. Non sono mai stato un paintre du dimanche. Un paintre du dimanche è stato Gauguin all’inizio e va benissimo, però dopo, prima di morire, se n’è andato a cercare se stesso da qualche parte alle Isole Marchesi… capito cosa voglio dire?

Sì. E invece oggi quanto tempo passa a suonare, a cantare?

Beh dipende dalla giornata e dipende da come mi sento io… la musica è qualcosa che accompagna la tua tristezza oppure accompagna la tua allegria. La musica è qualche cosa di astratto: per questo è così bello scrivere con la musica, perché la musica evita gli equivoci della parola. La musica è una compagna che, se cominci, ti accompagna tutta la vita ed è bellissimo avere una compagna così. 

Scrive ancora?

Se scrivo ancora? Sto scrivendo quattro o cinque canzoni e non riesco a finirle, per cui non mi svegli questa cosa che poi mi sento male… 

Va bene allora facciamo finta che non abbia fatto la domanda.

Va bene. 

Ecco, direi che ho quello che mi serve e anche di più. Se fosse per me starei a parlare tutto il pomeriggio, però purtroppo devo mettermi al lavoro. Quindi la ringrazio…

S’immagini. 

Non solo per l’intervista, ma anche per le sue belle canzoni che mi ascolto spesso. 

Bene, bene. Sono contento. 

Grazie allora. 

Arrivederci. 

A presto. Spero di sentire le canzoni eh…

(ride) Prima o poi. 

Grazie ancora. 

Ciao. 


Intervista a Numb

Di Nicolò Bello e Nicolò Tambosso

 

«Zacinto» è il tuo pezzo di debutto con l’etichetta MAKETHOUSAND di Bologna, forse anche il brano inaugurale di una tua nuova fase artistica. Siamo veramente felici di questa maturazione e curiosi di assistere alla tua crescita.
Ci chiediamo anche come stia Filippo, come ti senti all’idea di fare questo passo?

 

Allora, fisicamente sono all'80% mentre psicologicamente vado dallo 0% al 100% in base a ogni secondo che passa.
Filippo è in elaborazione: mi trovo in un periodo dove mi ascolto molto e cerco di trarre più cose positive possibili da ciò che ricevo. Potrebbe non sembrare ma questo processo non mi fa scrivere molto, in realtà. Sto scrivendo poco ma sto ascoltando tanto quello che c'è attorno a me e quello che c'è dentro di me.

Zacinto, che hai citato prima, parla proprio di questo: dell'ascoltare  e del sentire quello che si ha dentro. Anche stare a sentire chi ci sta intorno è importante. In questo periodo ascolto gli altri e parlo molto meno del solito. Normalmente vado a periodi: ci sono dei momenti in cui parlo di più e sono più protagonista a livello verbale, mentre tante altre volte ascolto e lascio che siano gli altri a farmi capire a cosa devo rispondere.

 

Parlando di risposte, in questo periodo credi di essere più vicino a farti le domande giuste?

 

In realtà ho paura della risposta, ho paura delle risposte in generale. Penso che la domanda sia la cosa più importante, la continua ricerca di un percorso, la corsa continua verso qualcosa. Poi ci sono dei traguardi no… Forse delle soglie che attraversi, più che dei traguardi veri e propri.

 

Torniamo a «Zacinto»; la tua canzone ha una struttura dialogica e si sviluppa con un costante riferimento alla donna delle tue aspirazioni, dei tuoi rimpianti e dei tuoi ricordi. Apparentemente siete soli, tu e lei.
La nostra domanda è quanto ci sia di tuo in questa figura a cui ti rivolgi. Quanto è sottile la linea tra dialogo e monologo nel tuo pezzo?

Direi 50 e 50. Nella seconda parte del testo è più un monologo.

Ti faccio un esempio semplicissimo: quando mi rivolgo a una donna nella strofa, mi rivolgo sempre a lei in carne e ossa, è interpretazione molto più semplice,  più leggera, non va così in profondità, o comunque quello che dico nella strofa è più in superficie. Definirei questa parte del testo più «corpo».

Invece per quanto riguarda la prima parte del brano, direi che è più «anima». Io parlo all'anima di lei, si tratta di un dialogo tra me e la sua anima. Ho in mente il nostro senso di sofferenza nello stare distanti. So che, in quel momento, una delle poche figure che può capire fino in fondo quello che sto provando è lei.

Se mi chiedi cosa ci metto di mio direi che si,  è come se in quelle strofe stessi parlando un po' anche a me, no? Come se lei riflettesse quello che penso. Mi sembra proprio di rivedermi in lei, in quella parte di me che non ci sta, in quella parte di me che si preoccupa e che ha bisogno di evidenziare dei problemi.
A volte si lotta per comprendersi, ma penso che la lotta sia una componente importantissima della vita. Certo, il confronto è importantissimo e lei ha una capacità di empatizzare con me molto forte, in generale ha una forte intelligenza emotiva. Ehm... sono queste cose che ti salvano. Quando le dico... non lo so... le spiego, che sto vivendo una determinata situazione… Lei mi può dare la tua stessa identica risposta… Magari lei dice «bello», come potresti dire te, ma il suo «bello» ha un valore completamente diverso per me perché parla un linguaggio differente.

 

Il grande protagonista di questa traccia sono il testo e le sue parole, con particolare attenzione a come si incastrano, a quali immagini sono in grado di evocare e a quale storia permettono di raccontare.
Quanto sei disposto a scendere a compromesso nella scelta dei termini, quando si tratta delle tue canzoni e quanto tempo dedichi alla scelta delle parole?

 

A volte, quando scrivo determinate canzoni, avverto di non sentirle mie, anche se non in senso negativo.  Ne ho parlato molto e mi sono confrontato anche con altri artisti, non sono il primo che ha questa sensazione.

In questo momento ho qualche difficoltà con le parole, tante volte mi sento quasi costretto a cesellare troppo il linguaggio, soprattutto quando scrivo testi dove ha un approccio razionale. Nei testi più cerebrali tendo a ritagliare un po' di più le parole, perché siamo in un'epoca dove non puoi sempre dire tutto quello che vuoi o come vuoi tu.

La mia etichetta non mi pone nessun limite, non è che mi dica: «questo sì e questo no». Forse è più una questione di percezione del pubblico. Sto cercando piano piano, con il contagocce, di utilizzare comunque questi termini, un esempio può essere «serendipità», una parola meravigliosa perché rappresenta un concetto bellissimo.

 

«Salvami!» è l’invocazione che ripeti nel ritornello di «Zacinto», per questa intervista ci siamo chiesti chi fosse la destinataria di questa preghiera.
Nel testo racconti di come tu ferisca la tua compagna perché sei angosciato, la tua richiesta di salvezza si origina nel desiderio di risolvere un conflitto interiore originato dalla nostalgia, che è la causa del tuo dolore e della tua rabbia. In questo senso sarebbe la tua compagna che può salvarti, venendoti incontro prima che sia troppo tardi. «So che ho esagerato e per questo ti chiedo scusa, ferire in quel modo sai che non è nella mia natura [...] Non sai quanto manchi voglio riabbracciarti, farlo prima che sia troppo tardi».

Questa lettura però non era abbastanza, la scelta del titolo, le immagini che scaturiscono dal tuo testo ci sembravano troppo pregnanti. Siamo certi che il desiderio sia sempre quello di essere salvato dalle tue angosce, dalla nostalgia per la terra natia e dal nervosismo che ti causa la quotidianità. Ciò che ci ha incuriosito è stata la tua scelta di affidarti all’immaginazione per essere salvato. Nella gabbia della razionalità che ti relega alla cruda realtà infatti, hai scelto di chiedere di evadere attraverso l’evocazione di un idillio Foscoliano, di un’immagine poetica. «Perché ho tutto da perdere, e ripenso alla mia Zacinto, in un recinto fatto di idee».
Ci è sembrato che non fosse solo la tua compagna che potesse salvarti, ma anche la tua capacità di immaginare un mondo nel quale fossi felice di vivere, con lei, oltre a una versione migliore di te stesso che lo abitasse.
Questa quindi è la nostra domanda: «Quanto credi possa salvarci la fantasia da «dolore, botte e tagli” che ci procura l’esistenza?».

 

La tua analisi è molto corretta. Beh, direi che la fantasia è un fulcro, un centro che si sposta attorno all'amore… Fantasia e amore…. La seconda quasi più della prima, direi che vanno a braccetto. Sono loro che ci salveranno o che lo stanno facendo anche già adesso.

 

A volte la fantasia va anche a braccetto con l'odio però, pensa al pregiudizio.

 

Sì, hai ragione però mettiamola così: la fantasia ci salva se è nutrita dall'amore. Questo perché l'amore per me è la ragione di ogni cosa. Sia dietro ogni cosa positiva che dietro ogni cosa negativa c'è l’amore, secondo me.

 

Per l’ultima domanda prendiamo in prestito una frase di «Business Class», un tuo singolo del 2022, nel quale rappi: «La mia gente il blocco lo sente, più dentro al cuore che tra i palazzi». Ci interessa questo profondo sentimento di coesione di cui parli, tra le compagnie di quartiere. Qualcosa che istintivamente legheremmo alla cultura hip hop. Negli ultimi anni il panorama musicale indipendente veronese è decisamente cresciuto, arricchendosi di diversi artisti capaci di ritagliarsi una nicchia nel mercato.
Come vivi questo sviluppo? Credi che ci sia la stessa coesione anche nella scena musicale della tua città? Penso ad Adriana, Orlvndo ecc. ecc.

 

Tra me, Adriana e Olly, c'è un'amicizia, ci vogliamo proprio bene. Adri è mia sorella maggiore praticamente. Per quanto riguarda la scena, c'è stato un miglioramento incredibile, parlo dei rapporti privati tra di noi.

Confrontandomi con la vecchia guardia dei ragazzi più grandi infatti. Devo dire «ragazzi» perché loro saranno per sempre dei ragazzi nonostante l’età, grazie alla loro musica. Beh, loro mi hanno sempre detto che ai loro tempi c'era stata un’enorme difficoltà ad avvicinare questa città, a renderla coesa.

Ti posso dire, e mi metto tranquillamente in prima fila, che oggi io e altri artisti siamo molto vicini. Posso pensare ad Angelo, a Koi, posso pensare ad Adriana, posso pensare a Natas, posso pensare a Dj Bars, posso pensare a Slowletti, a Geko… Più che di rapper, parlo anche di gente che ha gestito eventi: Tambo con Horto e l'Accademia dà la possibilità ai ragazzi di esprimersi; Bruce con le aperture del venerdì al The Factory e Geko con il cypher bullismo stanno facendo delle cose incredibili.

Gli artisti esistono perché hanno uno spazio per esprimersi, bisogna dire grazie a queste persone che danno la possibilità agli artisti di essere artisti. Perché senza uno spazio, senza un pubblico, non lo sei. Tra noi c'è una coesione forte, dovuta al fatto che più proponi eventi più la gente viene agli eventi e si conosce.

Io farei leggere questa intervista al nostro sindaco perché abbiamo ancora bisogno di eventi, di musica, di confronto, di cultura. Si sta già facendo qualcosa e anche voi avete fatto tantissimo. Si è vista questa cosa negli artisti, si riflette, ci vogliamo bene tutti. Io non ho difficoltà a stare una sera con Candy o Muslim, che vengono da una realtà completamente diversa, quella di Villafranca, e che fanno una musica molto diversa dalla mia. C'è comunque grande rispetto.

 

«Scena» significa che in un certo territorio gli artisti si conoscono. Non è nulla di più. Il fatto che si conoscano crea mercato, un mercato artistico e creativo. Per questo nasce la competizione, il rispetto, il desiderio di prendere a esempio, il confronto. Questo processo genera altra cultura.

 

Bravissimo, gli spazi in cui si produce cultura attingono materiale da questo processo e generano una macchina infinita. Io credo che oggi Verona non abbia nulla da invidiare... e non lo dico perché sono di qua…  a realtà musicali come quella di Milano, di Bolo o di Torino. Non sto dicendo che siamo migliori. Quello che posso invidiare a queste città è la loro storia, il loro passato. Noi sappiamo che siamo qua per scrivere il nostro.

 

Tutti gli artisti che hai citato fino ad adesso provengono dall’ hip hop. Pensi voglia dire qualcosa?

 

Secondo me adesso l'hip hop sta realizzando una cosa che potrebbe suonare assurda. Oggi quasi tutte le persone che si avvicinano alla musica iniziano dal rap, tuttavia da quando è scoppiato questo fenomeno quanti cantautori sono nati? Moltissimi… senza considerare l’esplosione dell’indie. La gente oggi fa rap e poi forse matura nel pop, nell’indie, nell’R&B. Si è superata la chiusura che caratterizzava questo genere, c’è più contaminazione con meno giudizio. Alla fine scrivere in rima è più semplice, no? Parti da lì e piano piano aggiungi...

L'attitudine hip hop comunque non me la togli neanche se vado all'Ariston, capito? Vorrei che vedeste com'è che saluto le persone (ride) talvolta posso sembrare maleducato e rozzo, ma non è questo il discorso.

 

Nicolò Bello e Nicolò Tambosso


Intervista a Davide Shorty

Di Nicolò Bello e Nicolò Tambosso

 

È Sabato 25 Novembre e noi di Salmon Magazine / Horto, siamo seduti sulla poltroncina da “casting couch” del «The Factory» ovvero l’apprezzatissima sala concerti di San Martino Buon Albergo.

Si tratta della stanza da “recording” che affaccia sulla sala prove dello spazio, una zona che, in occasione dei “live”, funge anche da “Press Room” per i “Big Guests” della “venue” (sì, l’inglese ci fa sentire importanti).

Seduti su due sedie da ufficio (quelle con le rotelle sotto), sorseggiamo due birrette e chiacchieriamo un po' del più e del meno.

Attraverso il vetro dello studio intravediamo la nostra prossima vittima, gli facciamo un cenno di saluto ma con scarsi risultati…

Decidiamo dunque di prendere il toro per le corna e lo invitiamo ad entrare per fare due chiacchiere face-to-face, lui accetta e lui si siede comodo comodo (speriamo) sulle poltroncine che abbiamo provveduto a scaldare con i nostri rispettabili sederi.

Il set è pronto, l'atmosfera è calda e rilassata, i nostri volti sono distesi e pacifici. Quando siamo certi che il nostro ospite ha abbassato la guardia iniziamo a bombardarlo di domande, senza pietà.

Ciao Davide, approfondendo il tuo repertorio musicale si può notare come la tua penna sia sempre stata molto coerente con il tuo percorso artistico: dai primi pezzi ai brani usciti dopo X Factor, dalla collaborazione con i funk shui project al tuo ultimo album «fusion», sei sempre riuscito a catturare una tua dimensione di scrittura unica e cucita su misura per ogni progetto.

Ora, oggi, nel 2023, dopo quasi 6 anni dal tuo primo album, come vedi la musica con l’occhio di un Davide Shorty cresciuto e maturato artisticamente? Che rapporto hai con il Davide di allora? Cosa gli diresti dopo tutto quello che ti è passato?

Io la musica l'ho sempre vista come un'esigenza piuttosto che come il mio lavoro, è diventato il mio lavoro per forza di cose e ne sono infinitamente grato.

Nella mia vita non mi sono mai fatto troppe domande e ho sempre fatto, oggi invece sto cominciando chiedermi delle cose per la prima volta: cosa voglio raccontare? Cosa sto diventando? Cosa voglio diventare? Chi voglio essere? Cosa ho fatto per generare queste domande?

Non parlo soltanto dell'artista che voglio essere ma soprattutto della persona che voglio incarnare e di come voglio reagire agli eventi che succedono nella mia vita.

Viviamo in una società dove siamo saturati dall'informazione, o meglio, dalla disinformazione. Si fa molta fatica a capire come selezionare le nozioni e come discernere cosa è costruttivo da cosa è distruttivo. Fare un lavoro specifico di selezione di queste informazioni richiede uno sforzo mentale che spesso va al di là della nostra capienza, la nostra salute mentale viene poco tutelata, almeno nel mio caso.

Mi rendo conto, per fare un esempio banalissimo, che tutto ciò che polarizza le opinioni in sole due eventualità, richiede anche uno sforzo dal punto di vista morale non indifferente. Questa moralità delle volte ti piega, perché hai delle immagini molto forti davanti e sei bombardato da parte dei mass media. Diventa complicato proteggersi dalle opinioni precostituite e non lasciarsi risucchiare da questa polarizzazione. Perdere il controllo e la calma è molto facile.

Ecco, con la musica per me è valsa la stessa cosa. L’approccio non è mai stato solamente “vado a divertirmi” o “cerco di canalizzare delle sensazioni”. Ho sempre cercato di tradurre le emozioni più forti delle mie giornate nelle canzoni. La musica è stata la mia terapia e, per la prima volta, mi sta facendo porre delle domande in un momento in cui non è più così automatico quello che voglio raccontare.

Quando ero un immigrato a Londra avevo bisogno di raccontare la storia di un immigrato che fatica ad arrivare a fine mese, che sta imparando una nuova lingua e che sta costruendo un’identità da zero. Oggi questa identità l'ho già costruita e quella storia non è più la mia, adesso sto in Italia da cinque mesi e a Londra vado un po' meno.

Oggi guardo al Davide del 2015\2016 mentre stavo scrivendo il mio primo disco, «Straniero», con tanta tenerezza. Gli direi di prendere le cose un po' più alla leggera, senza cambiare nulla di ciò che è passato. Tutto ciò che è successo è stato necessario e mi ha portato qui. Ultimamente sto imparando ad essere grato per tutto.

Molto spesso mi si attribuisce l'etichetta di “artista sottovalutato”. È una cosa che sento dire molto spesso, non soltanto dai miei fan ma anche dagli addetti ai lavori e dalle persone con cui collaboro.

“Ah, ma tu sei molto sottovalutato, ti meriti molto di più di quello che hai”. Prima frasi del genere mi mettevano veramente a disagio e mi ponevano davanti al mio ego e ad un'ambizione non raggiunta, rendendo più faticoso a una parte della mia personalità di esprimersi.

Adesso tendo ad osservare più che a reagire, cercando di vederla da un punto di vista più spirituale, a volte riuscendoci e altre volte no.

Negli ultimi anni l'industria musicale italiana è scoppiata con l’arrivo dell’indie, delle piattaforme di streaming e della musica prodotta dalle ultime generazioni. Una tra queste è l’ondata di RnB/Soul italiano di recente tendenza, cosa ne pensi di questo fenomeno? Credi che sia solo un trend che finirà o che sarà un inizio dove gettare le basi per una nuova cultura RnB/Soul italiana? Il nostro paese è culturalmente pronto per questo fenomeno secondo te?

Io cosa ne penso? Si, penso e spero che possa essere l'inizio di un movimento ma allo stesso tempo credo che ci debba essere più aggregazione in generale nella scena.
Sarebbe bello vedere le persone supportarsi a vicenda un po' di più.
Io, insieme a Serena Brancale e ad Ainé, abbiamo creato un collettivo che ci ha agevolato a vicenda in un modo o in un altro. Sarebbe interessante vedere questo fenomeno allargarsi e prendere forma, piuttosto che assistere ad una ricerca più personale sul genere come invece vedo fare.

Culturalmente parlando è bello vedere queste nuove tendenze ispirate dall’estero anche se, prima di tutto, credo sia importante capire cos’è e da dove viene quello di cui si sta parlando.

Stiamo comunque realizzando una musica che culturalmente non ci appartiene. Personalmente questo concetto mi responsabilizza e mi fa sentire caricato del peso di non scimmiottare qualcosa che non mi appartiene. Preferisco andare a studiare per restituire dignità a una cultura.

"Porto Mondo" e “Non respiro” sono pezzi molto forti, in cui esprimi chiaramente il tuo pensiero su diversi temi politici e sociali. Quanto è importante per te veicolare messaggi di questo tipo con la tua arte? Credi che la musica, attraverso la sensibilizzazione e l’empatia, riuscirà mai a cambiare le persone? Cosa auspichi che accada nella mente e nel cuore dei tuoi ascoltatori quando cerchi di veicolare questi messaggi?

Penso sia importante nella misura in cui mi colpisce. Nel momento in cui ho bisogno di processare delle informazioni le scrivo. Per me è importante metabolizzare ciò che mi mette a confronto con me stesso. Scrivo tutto ciò che mi da dei dubbi, delle sensazioni forti e mi fa provare rabbia, come per esempio la politica.

Tutto ciò che riguarda la polarizzazione, sono delle cose che, per forza di cose, ti mettono a confronto con te stesso. Sono degli eventi che non possono passare inosservati, con cui è difficile non empatizzare, almeno per quanto mi riguarda.

Quando ho empatizzato con determinate cose mi viene spontaneo scriverne. Per me è importante quanto è importante mangiare o bere. È una cura per la mia salute mentale. È il mio strumento di espressione e mi sento fortunato ad aver trovato quella chiave per poter leggere determinate cose. Soprattutto per poterci convivere perché, ripeto, non è facile trovare un canale di sfogo quando si parla di determinati temi. Alcuni sono argomenti molto forti… Sentire cosa auspichi che accada nella mente di chi ti ascolta non è affatto affare mio.

Nato e cresciuto a Palermo, diversi tour alle spalle e ora vivi a Londra.
Come mai questa scelta? Cos’è che Londra ha che le altre città non hanno?

Io ho sempre seguito la mia curiosità. Mi sono trasferito a Londra perché la prima volta che ci sono andato mi sono sentito libero di esprimermi senza giudizi.
Palermo è una città meravigliosa e tanto accogliente ma quando si tratta di creatività ci sono tanti giudizi, le persone sono abituate a giudicare e a mettersi i bastoni tra le ruote.

Ho avuto la spinta verso Londra perché per la prima volta mi sono sentito compreso, quindi mi sono sentito libero e spinto a studiare e a capire ancora di più di quanto io potessi essere.
A Palermo mi sentivo totalmente un outsider, quasi un pazzo. Non ero compreso ma ero compresso.

E come mai ora ti ritrovi di nuovo in Italia?

Sono tornato in Italia dopo 15 anni perché è andata a fuoco una parrucchiera sotto casa rendendola inagibile. Un evento un po’ straordinario e po’ traumatico che è accaduto in un momento in cui stavo finendo il mio primo anno accademico da professore in “sample based music production and performance”, in un’università a Londra.

Mi sono trasferito a casa della mia compagna per qualche mese, fino a quando non abbiamo deciso di trasferirci giù a Palermo per rallentare un po’, dato che a Palermo la vita è molto più lenta.

 

Nicolò Bello e Nicolò Tambosso


Succede a Campo...

Cari salmoni, se nella vostra vita siete già stati a Campo di Brenzone, non servono presentazioni. Se invece non sapete di cosa parliamo, bisogna rimediare, perché a questo minuscolo borgo antichissimo sul Lago sul di Garda si associa un’unica parola: magia.

Noi lo conosciamo perché da anni un gruppo di sognatori indefessi organizza le Notti magiche a Campo (to’ guarda, “magiche” anche loro), cioè una rassegna di concerti di vario genere, dall’omaggio a Luigi Tenco con la band di Ottolini a Gino Paoli. Sono concerti che si ascoltano seduti su un prato fra un centinaio di ulivi secolari, la brezza che rinfresca l’aria, le stelle a pizzicare il cielo, con il lago da una parte, il Baldo dall’altra e una meravigliosa cornice di case in pietra.

Qualche mese fa il sogno sembrava sul punto di svanire, quando il nostro gruppo di indefessi, capeggiato da Sonia Devoti, già presidente del C.T.G. Brenzone, si è lanciato in un’avventura ancora più idealista: in 8 amici hanno fondato l’impresa sociale “Campo Teatro degli Ulivi” e hanno rilanciato. Ci ha raccontato lei stessa com'è andata...

«Circa un anno fa è venuto a mancare il proprietario del terreno, che ci concedeva in affitto per fare “Notti magiche”, e gli eredi ci hanno chiesto di sbaraccare il palco e le altre cose accatastate lì. Il terreno era stato messo in vendita. Da quel momento si poteva chiudere in maniera definitiva l’avventura di 27 anni di musica. Allora è nata un’idea, che all’inizio sembrava una follia, poi è diventata sempre più percorribile, grazie all’incoraggiamento e al supporto di un gruppo che si è creato in maniera abbastanza spontanea: abbiamo acquistato il campo».

È stato facile?

«In realtà c'erano vari interessi, perché da questi 150 ulivi si fa un olio buonissimo, come in tutta quest'area del lago, quindi c'erano varie aziende agricole interessate. Ma i proprietari hanno preferito noi, questo è importante dirlo». 

Qual è il progetto, cosa volete fare nell’uliveto?

«L’idea è mettere un palco, fare un teatro e organizzare eventi musicali durante l’anno… Adesso abbiamo i concerti di Natale dedicati alla vocalità, per esempio i Neri per caso questa domenica, poi ci saranno altri appuntamenti in primavera e in estate. In generale, vogliamo implementare il progetto “Notti magiche”, quindi organizzare appuntamenti musicali di vario genere, dalle arie d’opera, al musical, alla musica leggera, al teatro: insomma, rendere questo luogo vivo grazie a una programmazione assidua e di qualità. Poi l’altra cosa che vorremmo fare è abbinare la musica all’arte, perché l’appezzamento si presta a installazioni di arte contemporanea, che si integrino bene con l’ambiente e nel rispetto assoluto della bellezza di Campo».

Wow. Sappiamo che avete anche lanciato la campagna “Adotta un ulivo”… cioè?

«“Adotta un ulivo” è un modo per entrare a far parte di questo progetto, di questo sogno. Chi adotta l’ulivo con un’offerta minima di 1000 euro una tantum, quindi una volta per sempre, adotta uno dei 150 ulivi secolari della tenuta e lo lega al suo nome o a quello di qualcuno che, magari, vuole ricordare o omaggiare. Ai soci sostenitori che adottano l’ulivo sarà dedicato un concerto particolare, godranno di scontistiche o ingressi omaggio e riceveranno una bottiglia di olio quando la raccolta sarà buona come quest’anno. Soprattutto, è un modo per contribuire al progetto Campo Teatro degli Ulivi».

Ok, come si fa?

«Basta scrivere una mail a teatrocampoulivi@gmail.com. Le adozioni saranno aperte a partire da gennaio, perché da quel giorno sarà possibile godere di una detrazione del 30% grazie al Pnrr. L’acquisto del terreno è stato completamente autofinanziato ed è un modo per chiedere una mano alla comunità».

Ok, sembra che le buone notizie esistano a Verona, che i sognatori trovino uno spazio e un po' di coraggio, che il progetto sia rispettoso dell'ambiente, dell'identità del luogo e dei bisogni della comunità che ci abita. Marchio "Salmone DOC" subito. Anzi, andiamo da loro a prendere lezioni.


FutureUp! - l'ultimo episodio della prima serie: Opportunity Day!

Un progetto al quale abbiamo collaborato anche noi; dal nome alla grafica alla sua divulgazione. Bella soddisfazione, bella tega, gran bel progetto.

 

Il 9 settembre, giovedì prossimo, ci sarà l’ultima puntata di FutureUp!

È già passato quasi un anno. Erano i primi giorni dell'autunno 2020, quando Marta e Riccardo ci parlarono per la prima volta di un progetto di formazione sull’innovazione sociale che veniva direttamente da Torino: una bella ventata di aria fresca, in un momento storico dove di aria non se ne respirava un granché.

Cinque workshop ad iscrizione gratuita, uno per città: Verona, Vicenza, Belluno, Mantova, Ancona

Cinque giorni ciascuno. 

Cinque macro-temi: Giovani, Territorio, Lavoro, Benessere, Partnership

Trenta iscritti per ogni tappa.

 

Due organizzatori: Fondazione Cariverona e SocialFare

Fondazione di origine bancaria impegnata nell’attivazione, sostegno e promozione di progetti di utilità sociale e di sviluppo economico la prima, e centro per l’Innovazione Sociale con sede a Torino che progetta e supporta idee e soluzioni innovative per rispondere alle sfide sociali contemporanee, la seconda.

Un nome: FutureUp! Un’esortazione a lavorare insieme per il domani, a non abbattersi, a tendere una mano e costruire insieme. Anche il colore, blu elettrico è energia pura, è scintilla: 

 

Hai un attimo di down? Non abbatterti, let’s FutureUp!

 

Una prima constatazione viene spontanea: il team di lavoro è in ampia maggioranza femminile (Marta, Silvia, Anthea, Cecilia…) ed è super giovane. Energia da vendere e competenze "che ciao”! 

 

"Sei in down? FutureUp!"

 

Il primo workshop, a Verona, è fissato per Marzo 2021. Poi via veloci. Aprile a Vicenza e Belluno. Maggio a Mantova e di nuovo a Verona. Giugno ad Ancona. 

 

"Sei in ritardo? FutureUp!"

 

Bisogna sperare che arrivino gli iscritti. 

Risponderà il pubblico? E se sì, come?! Cinque giorni, dalla mattina alla sera, sono un grosso impegno: chi vorrà o potrà accollarselo? Inoltre il Covid costringe alla didattica a distanza: quanto sarà penalizzante.

 

 

Due mesi di tempo per spargere la voce nelle cinque città e raccogliere i risultati che arrivano puntuali. Quando a fine Gennaio vengono chiuse le iscrizioni, sono oltre 250 i candidati! FutureUp! Ha colto nel segno; il tema piace, ce n’è bisogno, c’è voglia. A Verona addirittura si deve aggiungere una tappa: si raddoppia!

 

"Sei preoccupato? FutureUp!"

 

Ed è così che comincia questa carovana itinerante sull’innovazione sociale! Materia che dice tanto e poco allo stesso tempo. Cosa vuol dire? Vuol dire rinnovare un ambito, quello del sociale, con un pensiero nuovocontemporaneo e “meticcio”. Un pensiero che prende ispirazione a piene mani da altri ambiti; magari più freddi, calcolatori, tecnici che proprio per questo sono però importanti, importantissimi, quando si pensa agli altri. Un’immagine? Un cavo dati che collega la testa al cuore.

 

“Voglia di spaccare il mondo? FutureUp!"

 

Salmon Magazine ha un compito: portare all’esterno le testimonianze, le sensazioni, i racconti, i feedback di chi sta partecipando ai giorni formativi nelle varie province coinvolte. Far sentire la voce diretta dei protagonisti nel tentativo di tradurre questi “strani” eventi e inconsueti inglesismi anche a chi sta fuori e non mastica tutti i giorni questi argomenti. 

È così che per una decina di volte ci colleghiamo in videocall con le differenti sedi di FutureUp! e dialoghiamo con i docenti e gli allievi. Viene tutto molto facile, tutto è molto spontaneo perché c’è sintonia e molta informalità. Non ci siamo mai visti di persona eppure sembra di conoscersi da una vita. Essere competenti e professionali non esclude la possibilità di fare una battuta ogni tanto o un sorriso. I fatti e i feedback lo dimostrano. Tutti, veramente tutti, i partecipanti sono d’accordo nel dirci quanto siano sul pezzo la ragazze e i ragazzi di SocialFare e quanto brave a superare alla grandissima le difficoltà della didattica a distanza! Un successone insomma!!

 

“DAD? FutureUp!"

 

Aver messo insieme così tante teste, aver raggruppato così tante energie è un risultato troppo bello per lasciarlo andare. 

Da qui l’idea di dare un seguito: i progetti più maturi, le idee più promettenti e i gruppi più volenterosi vengono selezionati e messi alla prova. La sfida è riuscire a dargli una forma, sintetizzarla in un pitch e presentarlo al pubblico in 5 minuti sul palco del Teatro Ristori a Verona il 9 settembre. 

Chi farà breccia nella commissione di esperti coinvolta per l’occasione, riceverà un premio in denaro e un supporto per concretizzare l’idea che è scaturita da questa splendida avventura. Ed anche chi deciderà di esserci partecipando all’evento in presenza al Teatro Ristori o seguendo lo streaming da casa, sui canali della Fondazione Cariverona e i nostri, di Salmon Magazine, potrà votare per il progetto preferito ed assegnare un premio.

 

“La vedi brutta? FutureUp!"

 

Noi ci saremo. L’evento è aperto a tutti (quelli con il green pass). Basta iscriversi qua: https://www.eventbrite.it/e/biglietti-futureup-opportunity-day-166304931527

Per maggiori info:

https://www.fondazionecariverona.org/news/futureupevento/

 


134 volte grazie

GRAZIE!!

134 grazie per tutti quelli che in un periodo così difficile hanno supportato Salmon Magazine attraverso le T-Shirt! Eravamo molto preoccupati, non avevamo mai fatto del merchandising prima perché avevamo sempre avuto paura di un super mega flop.
Ora non sappiamo dire se 134 sono tante o poche magliette. A noi, però, ci emoziona pensare che 134 di voi abbiano fatto lo sbatti di metter mano al proprio portafoglio e siano andati sul sito a procedere con la transazione, aspettare settimane perché la mandassimo in stampa e venire a ritirarla in negozio. Tutto questo per il Salmon: stupendo, veramente!

Un mega grazie anche ai 3 screanzati di Gaffe Studio: se non ci fosse stato il loro entusiasmo, se non ci fosse stato il loro spunto iniziale, se non ci fosse stata la loro abilità grafica, se non ci fosse stato il loro senso estetico, se non ci fossero state le loro idee precise non l’avremmo mai fatta.
Quindi 135 grazie.

Anzi 136, perché un 5 alto va anche a Marco e a tutto lo staff di Pixel aka Spaceneil. Super cordiale e super competente nel gestire questa pratica così confusionaria: grazie mille gnari di Veronetta!

E poi grazie a tutti quelli che hanno creduto anche nella mappa di Veronetta.
È fighissima, siamo super felici del risultato ottenuto. Solo grazie al supporto di tanti amici di questo quartiere mitico, siamo riusciti a realizzare un qualcosa che causa Covid sembrava compromesso. Rimanendo liberi da ogni condizionamento, liberi di scrivere ed esprimere a modo nostro l’amore per Veronetta e Verona in generale.

A tal proposito: siamo stati in giro, porta a porta, a parlare con tutte le piccole realtà di vicinato. Vi possiamo assicurare, non è un periodo easy: ci sono famiglie di piccoli imprenditori che sono veramente in grossa difficoltà. Negozi, bar, osterie… in grossissima difficoltà. Ci sono tanti lavoratori che sono a casa in cassa integrazione (nel migliore dei casi). Tante attività costrette a chiudere perché impossibilitati ad andare avanti. C’è tanta più gente che s’aggira come fantasmi, senza più nulla.

Non prendiamo sotto gamba questo periodo; è difficile, difficilissimo, ma dobbiamo stare attenti. Per cui, mai come adesso, pensiamo bene dove spendere i nostri soldi e, soprattutto, seguiamo le pratiche anti-covid. Scusate il momento “tristezza”, ma solo se sappiamo fare tutti la nostra parte, possiamo uscire fuori bene da questo periodo del cazzo

Inoltre, un pensiero alla lotta contro le discriminazioni razziali: le vite di chi ha un colore di pelle diverso dal nostro sono importanti anche a Verona.

Infine, un pensiero a Betta de la Vecia Veroneta: tanti di voi se la ricorderanno, sempre sorridente e disponibile, sempre carica e allegra. Ha lasciato un grande vuoto nel nostro quartiere e soprattutto ai suoi cari; teniamola sempre nei nostri ricordi!

 

Scarica qui la mappa di Veronetta in PDF


San Zeno - Intervista a Slide Store Verona

Detour Store e Slide Shop. Due realtà, un’unica passione: le tavole. Raccontateci un po’, quando nasce la vostra passione e come si è trasformata poi in lavoro?
DETOUR BOARDING STORE apre a Verona nel Settembre del 1998 ereditando oltre che al nostro entusiasmo, l'esperienza del primo punto vendita di Peschiera (mecca del windsurf e degli sport da tavola). Il crescere esponenziale dello snowboard alla fine degli anni '90 richiede un negozio completamente dedicato alla tavola da neve. Lo store apre al pubblico in maniera molto semplice e colorata, ma carico della passione di chi allora praticava e sognava di allargare a più persone possibili la propria passione.

E Slide Shop a San Zeno. Quando e come nasce?
Dopo otto anni di DETOUR, e' il momento di rilanciare con uno shop dedicato sempre alla tavola...ma questa volta da strada. Nel Giugno del 2006 apre SLIDE SHOP, un negozio nato dalle ceneri di un precedente proshop che, aveva comunque aperto un varco anche in questo settore. Lifestyle, Sneakers e tavole prendono lo spazio che meritano e inizia un altro percorso.

Lo staff di Slide Store Verona

Quando un cliente entra nella vostra attività cosa può trovare di preciso? Quali sono i marchi principali che trattate?
Cerchiamo di essere verticali nella nostra passione e quindi di avere tutto quello che necessita per lo sport da tavola: attrezzatura, equipaggiamento, accessori e servizio sono sempre in testa alle nostre proposte. I marchi sono tanti e differenti nei due shop, perché differenti sono le esigenze. Ne elenchiamo con piacere qualcuno:
-DETOUR STORE Burton, The North Face, Quiksilver, Roxy, Hurley, Dickies, K2, Salomon, Northwave, Oakley, Smith...
-SLIDE SHOP Carhartt, Vans, Nixon, DC, Obey, Stance, Herschel, Huf, Roxy, Polaroid, Indipendent, Girl, Chocolate, PlanB...

Ci dicono che siete famosi, oltre che per l’elevata qualità dei vostri prodotti, anche per la gentilezza e la cortesia che vi contraddistingue. Quanto è importante oggi, nel mondo dello shop online, il contatto diretto con il cliente?
Noi crediamo da sempre nel contatto diretto col cliente, che spesso poi diventa anche un amico. Chi si rivolge ad un proshop alla fine spesso cerca una vera e propria community dove condividere le proprie passioni. La vendita e' una fase importante, perché è inutile nascondersi dietro ad un dito: è la benzina che fa girare il motore. Ma la vendita appunto diventa una conseguenza quando all'interno del nostro mondo, ci sono dei veri e propri motivi per cercare, desiderare e usare i prodotti dei nostri brand.

Lo staff di Slide Store Verona

Sappiamo che organizzate delle uscite in montagna di domenica. Raccontateci come funziona e cosa vi piace di queste esperienze che vi portano dal negozio al vostro “habitat naturale”, la montagna.
La domenica è DETOUR...da sempre! Ogni domenica d'inverno i nostri bus partono per le più belle location del nostro meraviglioso arco Alpino. Uscite, lezioni, corsi, assistenza, condivisione sono da sempre gli ingredienti di una ricetta che ci fa vivere la montagna come piace a noi.

Scopri la Guida di San Zeno qui.

Scopri qui gli altri quartieri.


VERONA CONTEMPORANEA: Febbraio + Speciale VERONA IN LOVE

By Giulia Costa - Urbs Picta

 

Nella settimana dell’amore ricordiamo tutte le iniziative speciali da non perdere se desiderate festeggiare la passione per l’arte contemporanea e tanti altri appuntamenti che proseguiranno nelle settimane successive.

PALAZZO MAFFEI // Collezione d’arte di Luigi Carlon, 15 febbraio

Il 15 febbraio è la data dell'apertura al pubblico della Casa Museo Palazzo Maffei, con la straordinaria collezione d’arte di Luigi Carlon il quale restituisce alla città il prestigioso palazzo seicentesco arricchito da oltre 350 opere che vanno dal Trecento fino a oggi. 

PALAZZO DELLA GRAN GUARDIA // IL TEMPO DI GIACOMETTI. DA CHAGALL A KANDINSKY. 16 novembre 2019 – 5 aprile 2020

Se non siete ancora stati, vi ricordiamo la grande mostra curata da Marco Goldin, ll tempo di Giacometti da Chagall a Kandinsky. Capolavori dalla Fondazione Maeght  al Palazzo della Gran Guardia, con un centinaio di opere tra sculture, dipinti e disegni, nel terreno del più alto Novecento internazionale, avendo Parigi quale centro. 

Alberto Giacometti, L'homme qui marche I, 1960
Saint-Paul-de-Vence, Fondation Marguerite et Aimé Maeght
© Claude Germain - Archives Fondation Maeght (France)
© Alberto Giacometti Estate / by SIAE in Italy 2019
Marc Chagall, Soleil jaune, 1958
Paris, Famille Maeght - Collezione Adrien Maeght
© Galerie Maeght, Paris
© Chagall ® by SIAE 2019

SPAZIO CORDIS // GIULIO SQUILLACCIOTTI, EURAMIS,  13 febbraio – 04 aprile 2020

Da non perdere l’inaugurazione di EURAMIS, mostra personale di Giulio Squillacciotti, artista, regista e ricercatore, vincitore di ARTE VISIONE 2018, dell’Italian Council 2019 e del Talent Prize 2019. La mostra raccoglie una serie eterogenea di materiali prodotti in relazione a un elemento specifico – la figura dell’interprete – di un ampio progetto di ricerca e studio nato a partire dall’installazione Friends, Indeed, realizzata alla Van Eyck Academie di Maastricht nel 2019 e soggetto della trasposizione cinematografica What has left since we left (film attualmente in produzione per Italian Council). 

MUSEO DI CASTELVECCHIO // “Carlo Scarpa. Vetri e disegni dal 1925 al 1931” 

23 Novembre 2019 – 29 Marzo 2020

In occasione di Verona in Love, alla mostra Carlo Scarpa. Vetri e Disegni. 1925-1931 al Museo di Castelvecchio, dedicata al celebre architetto veneziano e alla produzione della vetreria M.V.M. Cappellin& C, sarà possibile godere di visite guidate gratuite comprese nel biglietto d’ingresso (e visitare il museo civico con un biglietto speciale "paghi 1 entri in 2")

SPECIALE VERONA IN LOVE

L’iniziativa prevede tante altre occasioni culturali! 

Eccovi alcuni tra gli appuntamenti per l’arte contemporanea dal 13 al 16 febbraio:

Giovedì 13 febbraio alle ore 17 

Museo di Castelvecchio - Sala Boggian

Un'ora tra i vetri

Condurrà la visita Carla Sonego, storica dell'architettura e del vetro muranese.

Durata 1 ora; prenotazione obbligatoria.

Venerdì 14 febbraio alle ore 11 

Museo di Castelvecchio - Sala Boggian

Un'ora tra i vetri

Condurrà la visita Ketty Bertolaso della Direzione dei Civici Musei del Comune di Verona.

Durata 1 ora; senza prenotazione.

Venerdì 14 febbraio alle ore 17 / Sabato 15 febbraio alle ore 17 / Domenica 16 febbraio ore 11.30 e 17.00

Galleria d'Arte Moderna Achille Forti Palazzo della Ragione

La storia d'amore di Giulietta in Gam con il dipinto di Pietro Roi

Alla Galleria d'Arte Moderna verrà trattato il tema dell'amore nelle sue molteplici forme, l'amicizia, l'amore filiale, l'amore distruttivo... La storia d'amore per eccellenza culminerà con la visione del capolavoro di Pietro Roi, Giulietta e Romeo, in cui l'amore romantico è descritto nel suo momento più tragico e conosciuto.

Durata 1 ora; senza prenotazione.

Domenica 16 febbraio ore 11

Museo di Castelvecchio - Sala Boggian

Un'ora tra i vetri

Visita guidata alla mostra "Carlo Scarpa. Vetri e Disegni. 1925 - 1931", allestita presso la Sala boggian del Museo di Castelvecchio.

Durata 1 ora; senza prenotazione.

Andatevi a scoprire tutte le altre occasioni sul sito del Comune di Verona, avrete occasione di vedere alcune delle meraviglie della nostra Verona; un gesto d’amore nei confronti della propria città.

https://www.comune.verona.it/nqcontent.cfm?a_id=67636

ISOLO17 // YOHY SUAREZ.CRONACHE IMPREVEDIBILI 8 - 22  febbraio 2020

A cura di Zeno Massignan

L’artista presenta a Isolo 17 Gallery, una serie di lavori divisibili principalmente in due tipologie: i grandi formati con scenografie di interni o esterni sullo sfondo, invase da innumerevoli figure umane o della tradizione e i piccoli formati con personaggi religiosi, dissacrati da ogni santità. La forza del disegno, gli spazi scenografici, un colore sporco che ricorda la terra e i personaggi senza tempo e onore, sono alcuni dei principali elementi che contraddistinguono le opere di Yohy Suarez.

L’abilità tecnica nel disegno e l’armonia degli spazi architettonici, quasi fossero scenografie, si scontrano con le rappresentazioni umane, figure talvolta inquiete e perverse. La volontà espressiva è quella di creare immagini chiare ma non pulite, come se un velo di impurità offuscasse i dipinti. I suoi toni color seppia, ottenuti da una miscela di pittura e caffè, ricordano le cartoline antiche, segnate dal passare del tempo. L'Avana e la sua memoria storica sono infatti una cornice sfuocata e in parte cancellata, come se uno strato di nebbia e smog rendesse l’immagine poco nitida. Le figure animate in primo piano, inserite in queste ambientazioni d’altri tempi, rendono viva e movimentata la rappresentazione. Il pellegrinaggio della massa umana attraverso una città del passato aggiunge valore a ciascuno dei suoi siti e spolvera una memoria addormentata. Sceglie come luoghi rappresentativi anche gli interni di importanti cinema e teatri dell'epoca.

YOHY SUAREZ, La victoria del padre Anselmo, 2019, tecnica mista su tela, 100x100 cm

 

GALLERIA LO SCUDO ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA // Arcangelo Sassolino, fragilissimo 14-12-2019 / 28-03-2020

Nella mostra personale,la sua prima alla Galleria dello Scudo, Arcangelo Sassolino presenta una selezione di opere create espressamente per l’occasione, in cui appaiono evidenti le strette relazioni fra esiti apparentemente inconciliabili per tipologia, ma in realtà parte di un percorso unitario focalizzato sul ripensamento del concetto di fragilità, metafora dell’effimero esistenziale. È una riflessione che connota fortemente la più recente sperimentazione dell’artista.

L’opera dell’artista ha origine dalla compenetrazione tra arte e fisica. Il suo interesse per la meccanica e per la tecnologia apre a nuove possibilità di configurazione della scultura e di indagine sulle energie latenti della materia. Velocità, pressione, gravità, tensione costituiscono le basi di una ricerca rigorosa, sempre protesa a sondare il limite ultimo di resistenza e di non ritorno.

ARCANGELO SASSOLINO, Qualcosa è cambiato, 2019  vetro e acciaio  183 x 43,9 x 22,8 cm, Credits Agostino Osio - Alto Piano

TEATRO RISTORI // LA MUSICA E LE ARTI - KLEE E LA MUSICA, 20 febbraio 

La musica e le arti è un ciclo di incontri a cura di Paolo Bolpagni incentrati su temi o personaggi della storia della cultura, secondo una prospettiva multidisciplinare e trasversale, che unisca musica, letteratura e arti visive.

Il 20 Febbraio con Paolo Bolpagni e l’Ensemble del Conservatorio E. F. dall’Abaco di Verona,il personaggio protagonista sarà Paul Klee (1879-1940) che prima di diventare uno dei massimi pittori e disegnatori del Novecento, fu a lungo indeciso tra l’intraprendere la carriera musicale oppure quella artistica. Violinista di alto livello, tale era la sua padronanza dello strumento che, all’età di soli undici anni, fu cooptato quale membro straordinario dell’Orchestra municipale di Berna. La musica, insomma, non fu mai, per lui, un semplice passatempo: a nessun’altra forma d’espressione Klee dedicò tanto spazio e attenzione nelle sue lettere e nei Diari. 

Durante questa conferenza-concerto, intercalata dall’esecuzione di brani musicali di alcuni dei compositori prediletti da Klee o da lui presi a ispirazione, si cercherà in particolare di riflettere sulla presenza degli elementi della temporalità, del ritmo e della polifonia nella produzione artistica e nella riflessione di Paul Klee.

PAGINA DODICI LIBRERIA // TINA Modotti, 28 gennaio 

Alla libreria Pagina dodici il 28 gennaio si terrà una conferenza su Tina Modotti, donna, fotografa, comunista ribelle e anticonformista, con radici italiane e spirito senza confini. Si farà un affondo sulla vita e su la personalità della donna; a narrare è Olinto Domenichini.

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 9 // Conferenza inaugurale 18 febbraio

Nasce a Costermano l’associazione culturale di promozione sociale Articolo 9!

Il 18 febbraio siete tutti invitati alla presentazione ufficiale dell’associazione e alla conferenza Inaugurale.

Ma cos’è Articolo 9?

L’associazione offre un calendario di iniziative volte alla diffusione della cultura e alla sensibilizzazione sui temi della tutela del paesaggio e dell’ambiente, con un occhio attento all’inclusione sociale e con un taglio fresco, innovativo!

 

 

 

 

 

 

 


TERZO SETTORE MEDAGLIA D'ORO

È spesso sulla bocca di tutti ma ancora tanti non sanno bene di cosa tratta. Abbiamo chiesto a Cinzia
Bertani, coordinatrice del Centro Servizi per il Volontariato, di spiegarci il Terzo settore, punto per punto.

Illustrazione di Valeria Poli

Cosa si intende per enti del Terzo settore, allaluce della riforma?

Gli enti del Terzo settore sono organizzazioni di varia natura senza scopo di lucro che esercitano attività d'interesse generale e d'utilità per le comunità: interventi socio-sanitari, assistenza agli anziani, ai minori, ai migranti, ai senza dimora. Anche interventi in ambito ambientale, di grande attualità oggi. Oppure organizzazioni che si occupano di attività culturali, diformazione, di ricerca scientifica. In generale la riforma del Terzo settore indica 26 aree d'interesse generale in cui gli enti possono operare.

Qual è, secondo lei, la caratteristica più innovativa di questa riforma. Il vero cambiameto, se c'è?

Questa legge, per la prima volta in Italia, riconosce da un punto di vista giuridico l'esistenzae l'unitarietà del Terzo settore. È una sorta di riconoscimento formale del suo valore oltre che la definizione del quadro giuridico omogeneo all’interno del quale tutti gli enti devono operare.

È un segnale importante…

Assolutamente sì. Il Terzo settore ha, e l’ha sempre avuto, un ruolo fondamentale nei servizi, nell'economia, nella vita sociale, culturale del nostro Paese. Non aveva però il riconoscimento giuridico unitario e questo rendeva la vita degli enti molto difficile, soprattutto considerando l’accavallarsi di norme civilistiche e fiscali che ne regolavano il funzionamento. Invece, con la riforma tutto starà dentro un unico codice. Il Terzo settore esisteva prima ed esiste adesso, però l'obiettivo era di dargli unità e dignità e una regolamentazione unica, pur nel rispetto delle differenze che esistono tra i vari enti.

Come Centro di Servizi per il Volontariato,quali sono le iniziative che avete in serbo per il 2020?

Il Centro di Servizi per il Volontariato di Verona ha, come obiettivo, da un lato promuovere il volontariato, dall'altro accompagnare e sostenere le associazioni che operano sul territorio e enti del Terzo settore e volontari. Il CSV è un luogo nel quale cerchiamo il più possibile di dare ascolto ai volontari: qui il focus èproprio sui volontari. Per noi è un aspetto fondamentale. In questo periodo storico,tanti sono i cambiamenti in corso e non possiamo restare fermi. Urge il bisogno discoprire come si vedono i volontari e che cosa vorrebbero quando si parla di promozione del volontariato.

Quest’autunno, con noi di Salmon Magazine, avete realizzato un tour a Verona eprovincia per incontrare le associazioni del territorio e ascoltarle: che cosa ne hai ricavato?

Questa operazione di 10 incontri sui territori ha fatto riflettere molto anche noi. Sicuramente ne faremo altre di questo genere, perché riteniamo assolutamente importante il confronto diretto e l'ascolto. C'è sicuramente la conferma che l'aspetto che accomuna chi fa volontariato, in un modo o nell'altro, è il guardare oltre se stessi, la voglia di fare qualcosa che va oltre l’io.

Cosa è cambiato negli anni?

Le condizioni per fare volontariato. La disponibilità di tempo, la condizione economica, la stabilità del lavoro sono cambiate. Per cui se una parte del volontariato ha potuto contare per tanti anni su neo-pensionati, che magari facevano volontariato anche mentre lavoravano e che poi si sono dedicati alla causa al 100%, i giovani oggi hanno meno tempo, sicuramente meno stabilità lavorativa, meno stabilità economica. Il volontariato cambia con il cambiare della società. Può risultare più difficile oggi dare disponibilità costante, in termini di tempo e di risorse. In parallelo è anche vero che sui temi che li appassionano, anche i giovani sanno trovare sia tempo che costanza. Il volontariato rimane secondo me una fonte importante di apprendimento e di realizzazione per i ragazzi. Attenzione, però: la riforma sottolinea che il volontariato è gratuito. Ma le opportunità alternative non mancano: pensiamo al servizio civile che è un modo per avvicinarsi a un settore che interessa, ricevendo un compenso mensile dallo Stato.


Borgo Venezia - Intervista a Gastronomia Cisamolo

Iniziamo con una domanda FONDAMENTALE, Cisàmolo o Cìsamolo?
Ciao, per l'accento credo sia sulla a. Ma ci giochiamo il jolly!!

Qual è la storia della vostra attività? Come e quando è nata?
Paolo (capo assoluto) ha iniziato da adolescente a lavorare in varie macellerie del borgo fino al 1980, quando hanno (lui e la moglie Rossana) acquistato bottega con annesso macello a Castel D'Azzano.

1986 - Back to Borgo

Nel 1986 sono tornati in borgo Santa Croce in una realtà di soli 20mt quadrati! Con il passare degli anni si sono allargati unendo alla sola vendita di carne cruda anche piatti cotti aumentando sempre di più la scelta gastronomica. La filosofia è sempre stata quella di preparare le pietanze come "faceva la mamma" usando prodotti di qualità e tanto amore

Primissimi '90

I vostri clienti vengono perché siete simpatici o per la qualità dei prodotti?
Noi crediamo che i nostri clienti vengano per varie ragioni: prodotti di qualità sia cruda che cotta (cucinata molto bene) ed abbiamo il sorriso e la battuta pronta!
Facciamo per il 90% tutto noi, partendo dalla materia prima, quale carne verdura ecc. per poi lavorarla e proporla alla clientela.

Oggi

Voi che siete da sempre in Borgo, come lo vivete oggi? E come vi sembra che sia cambiato?
Siamo sempre stati in borgo, tranne la parentesi di Castel D'Azzano, e come tutta la città è cambiato molto nel tempo. C'è sempre meno gente che cammina; si è perso il fatto del camminare nel quartiere per fare la spesa, fare 2 "ciacole" con il "botegar" e magari bere il caffè o il "goto" con calma. Abbiamo notato quanto oramai viene utilizzata l'auto per spostarsi in velocità, senza fermarsi troppo per i sempre più impegni…
Comunque possiamo affermare che anche questo può essere un aspetto positivo, perchè abbiamo clienti anche da altre parti di Verona(Negrar, Grezzana, Vago di Lavagno) che vengono appositamente per noi ed i nostri prodotti! Questo ci rende orgogliosi (e molto altro) di quello che facciamo e ci sprona ad andare avanti capendo che se anche le ore di lavoro sono tantissime, veniamo apprezzati e lusingati dalla clientela.

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