"D'altra parte, semo a Verona..."

di: Florindo Cacciapuoti

 

Due parole sul Pojana in trasferta a Verona.

«Beh, se volete prendetevi pure da bere, finché non cominciamo...» esordisce così Andrea Pennacchi davanti ad un'Osteria ai Preti già alle 18 strapiena di fan e ammiratori, ma anche
di gente che è lì a concedersi un meritato aperitivo in un anonimo martedì sera, dopo il lavoro. Se non fosse che quasi tutto il pubblico ha già finito i primi spritz, e mentre tutti lo guardano con i bicchieri in mano, aggiunge: «d'altra parte semo a Verona...».

E via di narrazioni storiche e sociali sul rapporto tra il consumo d'alcol e il veneto tipico, tra risate e palesi segni di ammissione da parte dei presenti. Non poteva cominciare altrimenti la presentazione del suo ultimo libro, "Shakespeare and me" edito da People, pubblicato lo scorso mese di ottobre.

Il suo intento, ci dice, era fondamentalmente quello di andare in giro per le scuole a spiegare quanto il drammaturgo inglese avesse molti più tratti veneti di quanti uno in realtà ne immaginerebbe. Impresa non di poco conto, in effetti, nella quale però Pennacchi riesce egregiamente, sottolineando l’importanza stessa del teatro che a distanza di secoli ancora colpisce e strabilia. Ed è proprio del teatro che ci racconta, e più in particolare del suo rapporto con esso, passando a spiegare aneddoti e riferimenti biografici per far capire quali potessero essere le peripezie che un ragazzo in età adolescenziale cresciuto nel padovano negli anni '80 deve affrontare, se sente dentro di sé un forte amore per la recitazione. Un ragazzo che però sogna anche di diventare aviatore, ma che poi - per nostra fortuna - segue l'amore per il palcoscenico appunto. Ci racconta del suo approccio col palco e dei suoi primi studi con Shakespeare. «Il teatro è dibattito, è anche scontro, ma non cede alla facile esca dell'indignazione quotidiana. Shakespeare sa che essere cavalcati dalla rabbia non ti libera da niente», una delle sue recenti dichiarazioni in occasione della pubblicazione del suo quarto libro.

Oggi è senz'altro questa la grande opera di Pennacchi: rendere spettacolare e mitizzare grossolanamente qualcosa di terribilmente standard: è questa la magia del fenomenale interprete del "Pojana", potente caricatura del classico bigotto padano/settentrionale che è contro extracomunitari, stranieri, meridionali, diversi, estranei, fino ad arrivare ad avercela coi propri dirimpettai. Da anni ormai quest'immenso attore teatrale ci fa piangere dal ridere con le sue supercazzole a "quelli che benpensano", per dirla con un brano che negli anni si è rivelato premonitore. I suoi interventi, divenuti famosi grazie soprattutto a Propaganda Live, sono una dichiarata satira rivolta alla scena politica che negli ultimi anni esiste ed insiste nel Paese.
L'apice dello spettacolo lo si raggiunge quando reinterpreta il suo ormai celebre monologo "Ciao terroni!", grazie al quale è diventato famoso ai più, trasudando espressività. Si passa, dopo, ad un esilarante siparietto incentrato sulla figura di Bruce Lee, in un racconto svolto a scuola tra Pennacchi e alcuni amici. Per poi chiudere l'incontro con «Lo sapete, vero, che la fama di Verona si poggia su un falso storico?»

Prende queste pieghe la serata in centro, moderata da Pippo Civati, che qui è praticamente uno di casa. Proprio in questo quartiere, in Veronetta, che si conferma ancora una volta uno dei posti più vivaci di Verona, con l'università, con le librerie e i negozi indipendenti, i baretti hipster sparsi sulla riva dell'Adige e con quella magia che avvolge nelle serate d'autunno la nostra amata città.

 

 


COSÌ GIUSTO PER FARE 4 CIACOLE

C’è una cosa più di tutte per cui Salmon Magazine è veramente imbattibile: conoscere idoli. Una delle conoscenze più sorprendenti che abbiamo fatto negli ultimi 12 mesi è quella di Hakim Bensalah. Non stiamo qua a tesserne le lodi oltre il dovuto perché il modo migliore per capire cosa intendiamo è andare a cena nel suo micro-ristorante in Via Muro Padri, Veronetta: MADRES.

Ci sta però raccontarvi dell’altro. È stato grazie a lui, infatti, che una settimana fa circa ci siamo imbarcati in un volo diretto a Marrakech, Marocco. Con lui nella patria dei marocchini, quelli che ci portano i tappeti a casa, quelli che spacciano il fumo, quelli che vendono la qualsiasi nelle spiagge italiane, quelli che si ubriacano perché a casa loro non hanno l’alcool, quelli che sono malati di figa perché a casa loro le hanno incappucciate.

 

Ecco, siamo andati a casa loro grazie al fatto che Hakim stesso è un marocchino. Anche se è uno dei cuochi più incredibili che mai incontrerete nelle vostre vite, sebbene la sua cucina passi dal Giappone all’Antica Roma, dal Marocco appunto a Copenaghen, lui è figlio di marocchini.

Bene, sono stati 5 giorni incredibili. Non staremo qua a tediarvi con tutte le morali che la nostra esperienza in Marocco ci fa venire voglia di farci e farvi, ma vi suggeriamo solo di andarci.

E se per caso ve lo sarete dimenticati come avevamo fatto noi, tornate ad apprezzare l’enorme utilità che può avere il viaggiare. Per capire il mondo che avete attorno, per capire Veronetta e i suoi abitanti, per capire quanto sono gravi certi pregiudizi che ci inculchiamo a vicenda, per capire quanto siamo minuscoli e microcefali, per capire quanto il turismo può essere un problema più che la soluzione, per capire quanto è ingiusto che per noi italiani il viaggio Andata e ritorno per e dal Marocco, e in quasi tutti i paesi del mondo, è un click. Per un marocchino o, meglio, per la stra-grande maggioranza di loro, è assolutamente impossibile. Ed è assolutamente ingiusto.

Chi se lo ricorda Hamid Ronchi, vissuto in Valpolicella zona Torbe alla fine degli anni 90?