Colli Morenici Why

Colline Moreniche del Garda presentano aspetti unici e davvero particolari, dovuti in parte alla prossimità con gli ambienti umidi del Lago di Garda e in parte agli eventi geologici dell’era glaciale che le ha originate.

Un susseguirsi di dolci colline e di sinuosi profili si alternano, in un gioco di conche e rilievi, a prati aridi, depressioni poco profonde e frammenti di specchi d’acqua sorgiva che occhieggiano qua e là, estrema memoria dell’antico ghiacciaio che, in oltre due milioni di anni, ha depositato detriti nelle sue ripetute spinte e ritiri, modellando le forme che danno origine all’odierno paesaggio; un ambiente verde, “del più bel smeraldo” di virgiliana memoria, costituito da boschi di carpini, querce e ginepro, coltivazioni ortofrutticole, cerealicole e vigneti, dove alcune creste e sommità di colline sono coronate di cipressi.

I PRODOTTI DELLA TRADIZIONE
Un fascino incontestabile e bucolico, legato all’ambiente naturale ricco e multiforme cui si aggiunge il richiamo di una tradizione enogastronomica impareggiabile che fa della cucina di questa zona una delle più gustose e ricercate. È di oltre 1000 ettari la superficie totale destinata a coltivazioni vinicole, dalla quale provengono alcuni vini Doc di pregio che si stanno progressivamente affermando sia sul mercato nazionale sia all’estero.

Tra i prodotti Dop vanno ricordati l’olio extravergine d’oliva Garda – la cui produzione nella provincia riguarda i comuni di Castiglione delle Stiviere, Cavriana, Monzambano, Ponti sul Mincio, Solferino e Volta Mantovana – e il Grana Padano per il quale i territori di Goito e Marmirolo sono impegnati nella valorizzazione dei “prati stabili”, per uso pascolo, cioè che non subiscono lavorazioni e sono lasciati a vegetazione naturale spontanea. Infine, oltre al vino e all’olio, l’area vanta coltivazioni particolari come quelle dello zafferano a Pozzolengo e del mandorlo e una serie di prodotti alimentari tradizionali.

Sono memorabili i Capunsei di Solferino, preparati con un impasto base di pane raffermo, uova, grana e spezie, che possono essere serviti in brodo oppure in asciutto conditi con abbondante burro fuso. Interessante la torta di San Biagio, apparentemente simile a una crostata, vien preparata con una frolla al vino bianco ripiena da impasto caratterizzato da mandorle, uova e cioccolato. Oggi la riscoperta e valorizzazione di questi sapori è affidata alle molte feste e sagre che animano il territorio e ad alcune associazioni, tra cui per esempio la Strada dei vini e dei sapori mantovani. Altri prodotti tipici che occorre citare, sono quelli che derivano dalla promozione e dalla registrazione delle ricette De.Co (le cosiddette Denominazioni Comunali): si va, per citarne solo alcuni, dal Salame Morenico di Pozzolengo, alla quaglia arrosto e la pancetta steccata o il luccio in salsa di Pozzolo sul Mincio.


Verona Why

Tutti conoscono Verona grazie al capolavoro shakespeariano “Romeo e Giulietta”. La ricchezza della sua storia la si può ritrovare facilmente a ogni passo, a partire dalla famosa Arena di Verona, il grande anfiteatro che dai tempi dei romani a oggi ospita durante l’anno spettacoli entusiasmanti.

A Verona e dintorni le attrazioni non mancano, tanto che può essere difficile scegliere dove recarsi per non perdere le bellezze della città. Ecco, quindi, i 10 migliori posti da vedere quando si visita Verona.

1. Arena di Verona
È il cuore di Verona e, per grandezza, è il terzo anfiteatro romano dopo il Colosseo e l’Anfiteatro di Capua. Prendilo come punto di partenza per il tuo itinerario alla scoperta della città e tieniti pronto a tuffarti nel passato: l’Arena fu costruita nel I secolo d.C. e nel corso del tempo ha subito restauri e trasformazioni che ne hanno consentito un’ottima conservazione fino ai giorni nostri.

Anticamente nell’Arena avvenivano i famigerati combattimenti tra gladiatori, mentre nel Medioevo fu teatro sia di spettacoli di intrattenimento sia di lotte giudiziarie. Forse non tutti sanno infatti che per risolvere i processi incerti, venivano fatti combattere dei campioni per deciderne le sorti.

2. Basilica di San Zeno Maggiore
Costruita nel IV secolo sulla tomba di San Zeno da Verona, venne riedificata poi nel IX secolo per volere del Re d’Italia Pipino.

Oggi ospita il dipinto di Andrea Mantegna, la Pala di San Zeno,e numerose altre testimonianze artistiche, tra cui statue di apostoli ed evangelisti che compongono il pontile-tramezzo. Celebre anche il portale bronzeo della basilica costituito da 73 formelle bronzee di epoche diverse che rappresentano scene religiose.

3. La Casa di Giulietta
Se vuoi vedere con i tuoi occhi la casa in cui si consumò l’amore tra Romeo e Giulietta, vai in via del Cappello 23. A metà tra leggenda e realtà, questa casa nel 1351 era una locanda di proprietà della famiglia Cappello, ma è solo nel Settecento che venne riconosciuta come la casa di Giulietta e molti turisti visitano al contempo anche la sua tomba che si trova nell’ex convento di San Francesco, oggi sede del Museo degli Affreschi “G.B. Cavalcaselle”.

4. Piazza delle Erbe
Non lontano dalla Casa di Giulietta troverai anche Piazza delle Erbe, la più antica piazza di Verona, che sorge sopra l’area del foro romano, in antichità il centro economico e commerciale.

A nord della piazza ammirerai il palazzo del Comune e la Torre dei Lamberti, mentre a ovest è caratteristica la presenza di diverse statue di divinità greche. A rendere questa piazza ancor più suggestiva ci pensano le Case Mazzanti, affascinanti palazzi medievali con facciate affrescate nel ‘500. Il centro della piazza, infine, è dominato dalla fontana con la statua chiamata “Madonna Verona” di epoca romana.

5. Piazza dei Signori e Torre dei Lamberti
Adiacente a Piazza delle Erbe, troverai Piazza dei Signori dove potrai salire sulla Torre dei Lamberti, che dai suoi 84 metri di altezza ti regalerà una visuale unica del centro storico. Con il biglietto di accesso per la torre potrai anche accedere alla Galleria d’Arte Moderna.

La Piazza dei Signori è conosciuta anche come Piazza Dante ed è circondata da edifici monumentali collegati tra loro da arcate e logge. Qui potrai visitare diversi edifici come il Palazzo della Ragione e il Palazzo del Potestà.

6. Castelvecchio a Verona
Il castello scaligero fu costruito nel XIV secolo per volere di Cangrande II della Scala per difesa e uso militare. Nel corso dei secoli venne impiegato sia come deposito militare sia come accademia di ingegneria militare.

Oggi ospita il museo civico grazie al restauro del XX secolo. Al suo interno troverai numerosi affreschi e dipinti di pittori come Veronese e Mantegna, oltre a un’interessante collezione di armi e armature medievali.

7. Arche Scaligere
Nei pressi di Piazza dei Signori troverai le Arche Scaligere, un monumentale complesso funerario in stile gotico voluto dalla famiglia degli Scaligeri. Le tombe, conosciute come “arche”, accolgono le spoglie dei più rappresentativi membri della famiglia, tra cui quella di Cangrande.

Nei pressi troverai anche la Chiesa di Santa Maria Antica che presenta alcuni elementi barocchi ma fu restaurata nel XX secolo per ripristinare il suo aspetto romanico.


Intervista a Numb

Di Nicolò Bello e Nicolò Tambosso

 

«Zacinto» è il tuo pezzo di debutto con l’etichetta MAKETHOUSAND di Bologna, forse anche il brano inaugurale di una tua nuova fase artistica. Siamo veramente felici di questa maturazione e curiosi di assistere alla tua crescita.
Ci chiediamo anche come stia Filippo, come ti senti all’idea di fare questo passo?

 

Allora, fisicamente sono all'80% mentre psicologicamente vado dallo 0% al 100% in base a ogni secondo che passa.
Filippo è in elaborazione: mi trovo in un periodo dove mi ascolto molto e cerco di trarre più cose positive possibili da ciò che ricevo. Potrebbe non sembrare ma questo processo non mi fa scrivere molto, in realtà. Sto scrivendo poco ma sto ascoltando tanto quello che c'è attorno a me e quello che c'è dentro di me.

Zacinto, che hai citato prima, parla proprio di questo: dell'ascoltare  e del sentire quello che si ha dentro. Anche stare a sentire chi ci sta intorno è importante. In questo periodo ascolto gli altri e parlo molto meno del solito. Normalmente vado a periodi: ci sono dei momenti in cui parlo di più e sono più protagonista a livello verbale, mentre tante altre volte ascolto e lascio che siano gli altri a farmi capire a cosa devo rispondere.

 

Parlando di risposte, in questo periodo credi di essere più vicino a farti le domande giuste?

 

In realtà ho paura della risposta, ho paura delle risposte in generale. Penso che la domanda sia la cosa più importante, la continua ricerca di un percorso, la corsa continua verso qualcosa. Poi ci sono dei traguardi no… Forse delle soglie che attraversi, più che dei traguardi veri e propri.

 

Torniamo a «Zacinto»; la tua canzone ha una struttura dialogica e si sviluppa con un costante riferimento alla donna delle tue aspirazioni, dei tuoi rimpianti e dei tuoi ricordi. Apparentemente siete soli, tu e lei.
La nostra domanda è quanto ci sia di tuo in questa figura a cui ti rivolgi. Quanto è sottile la linea tra dialogo e monologo nel tuo pezzo?

Direi 50 e 50. Nella seconda parte del testo è più un monologo.

Ti faccio un esempio semplicissimo: quando mi rivolgo a una donna nella strofa, mi rivolgo sempre a lei in carne e ossa, è interpretazione molto più semplice,  più leggera, non va così in profondità, o comunque quello che dico nella strofa è più in superficie. Definirei questa parte del testo più «corpo».

Invece per quanto riguarda la prima parte del brano, direi che è più «anima». Io parlo all'anima di lei, si tratta di un dialogo tra me e la sua anima. Ho in mente il nostro senso di sofferenza nello stare distanti. So che, in quel momento, una delle poche figure che può capire fino in fondo quello che sto provando è lei.

Se mi chiedi cosa ci metto di mio direi che si,  è come se in quelle strofe stessi parlando un po' anche a me, no? Come se lei riflettesse quello che penso. Mi sembra proprio di rivedermi in lei, in quella parte di me che non ci sta, in quella parte di me che si preoccupa e che ha bisogno di evidenziare dei problemi.
A volte si lotta per comprendersi, ma penso che la lotta sia una componente importantissima della vita. Certo, il confronto è importantissimo e lei ha una capacità di empatizzare con me molto forte, in generale ha una forte intelligenza emotiva. Ehm... sono queste cose che ti salvano. Quando le dico... non lo so... le spiego, che sto vivendo una determinata situazione… Lei mi può dare la tua stessa identica risposta… Magari lei dice «bello», come potresti dire te, ma il suo «bello» ha un valore completamente diverso per me perché parla un linguaggio differente.

 

Il grande protagonista di questa traccia sono il testo e le sue parole, con particolare attenzione a come si incastrano, a quali immagini sono in grado di evocare e a quale storia permettono di raccontare.
Quanto sei disposto a scendere a compromesso nella scelta dei termini, quando si tratta delle tue canzoni e quanto tempo dedichi alla scelta delle parole?

 

A volte, quando scrivo determinate canzoni, avverto di non sentirle mie, anche se non in senso negativo.  Ne ho parlato molto e mi sono confrontato anche con altri artisti, non sono il primo che ha questa sensazione.

In questo momento ho qualche difficoltà con le parole, tante volte mi sento quasi costretto a cesellare troppo il linguaggio, soprattutto quando scrivo testi dove ha un approccio razionale. Nei testi più cerebrali tendo a ritagliare un po' di più le parole, perché siamo in un'epoca dove non puoi sempre dire tutto quello che vuoi o come vuoi tu.

La mia etichetta non mi pone nessun limite, non è che mi dica: «questo sì e questo no». Forse è più una questione di percezione del pubblico. Sto cercando piano piano, con il contagocce, di utilizzare comunque questi termini, un esempio può essere «serendipità», una parola meravigliosa perché rappresenta un concetto bellissimo.

 

«Salvami!» è l’invocazione che ripeti nel ritornello di «Zacinto», per questa intervista ci siamo chiesti chi fosse la destinataria di questa preghiera.
Nel testo racconti di come tu ferisca la tua compagna perché sei angosciato, la tua richiesta di salvezza si origina nel desiderio di risolvere un conflitto interiore originato dalla nostalgia, che è la causa del tuo dolore e della tua rabbia. In questo senso sarebbe la tua compagna che può salvarti, venendoti incontro prima che sia troppo tardi. «So che ho esagerato e per questo ti chiedo scusa, ferire in quel modo sai che non è nella mia natura [...] Non sai quanto manchi voglio riabbracciarti, farlo prima che sia troppo tardi».

Questa lettura però non era abbastanza, la scelta del titolo, le immagini che scaturiscono dal tuo testo ci sembravano troppo pregnanti. Siamo certi che il desiderio sia sempre quello di essere salvato dalle tue angosce, dalla nostalgia per la terra natia e dal nervosismo che ti causa la quotidianità. Ciò che ci ha incuriosito è stata la tua scelta di affidarti all’immaginazione per essere salvato. Nella gabbia della razionalità che ti relega alla cruda realtà infatti, hai scelto di chiedere di evadere attraverso l’evocazione di un idillio Foscoliano, di un’immagine poetica. «Perché ho tutto da perdere, e ripenso alla mia Zacinto, in un recinto fatto di idee».
Ci è sembrato che non fosse solo la tua compagna che potesse salvarti, ma anche la tua capacità di immaginare un mondo nel quale fossi felice di vivere, con lei, oltre a una versione migliore di te stesso che lo abitasse.
Questa quindi è la nostra domanda: «Quanto credi possa salvarci la fantasia da «dolore, botte e tagli” che ci procura l’esistenza?».

 

La tua analisi è molto corretta. Beh, direi che la fantasia è un fulcro, un centro che si sposta attorno all'amore… Fantasia e amore…. La seconda quasi più della prima, direi che vanno a braccetto. Sono loro che ci salveranno o che lo stanno facendo anche già adesso.

 

A volte la fantasia va anche a braccetto con l'odio però, pensa al pregiudizio.

 

Sì, hai ragione però mettiamola così: la fantasia ci salva se è nutrita dall'amore. Questo perché l'amore per me è la ragione di ogni cosa. Sia dietro ogni cosa positiva che dietro ogni cosa negativa c'è l’amore, secondo me.

 

Per l’ultima domanda prendiamo in prestito una frase di «Business Class», un tuo singolo del 2022, nel quale rappi: «La mia gente il blocco lo sente, più dentro al cuore che tra i palazzi». Ci interessa questo profondo sentimento di coesione di cui parli, tra le compagnie di quartiere. Qualcosa che istintivamente legheremmo alla cultura hip hop. Negli ultimi anni il panorama musicale indipendente veronese è decisamente cresciuto, arricchendosi di diversi artisti capaci di ritagliarsi una nicchia nel mercato.
Come vivi questo sviluppo? Credi che ci sia la stessa coesione anche nella scena musicale della tua città? Penso ad Adriana, Orlvndo ecc. ecc.

 

Tra me, Adriana e Olly, c'è un'amicizia, ci vogliamo proprio bene. Adri è mia sorella maggiore praticamente. Per quanto riguarda la scena, c'è stato un miglioramento incredibile, parlo dei rapporti privati tra di noi.

Confrontandomi con la vecchia guardia dei ragazzi più grandi infatti. Devo dire «ragazzi» perché loro saranno per sempre dei ragazzi nonostante l’età, grazie alla loro musica. Beh, loro mi hanno sempre detto che ai loro tempi c'era stata un’enorme difficoltà ad avvicinare questa città, a renderla coesa.

Ti posso dire, e mi metto tranquillamente in prima fila, che oggi io e altri artisti siamo molto vicini. Posso pensare ad Angelo, a Koi, posso pensare ad Adriana, posso pensare a Natas, posso pensare a Dj Bars, posso pensare a Slowletti, a Geko… Più che di rapper, parlo anche di gente che ha gestito eventi: Tambo con Horto e l'Accademia dà la possibilità ai ragazzi di esprimersi; Bruce con le aperture del venerdì al The Factory e Geko con il cypher bullismo stanno facendo delle cose incredibili.

Gli artisti esistono perché hanno uno spazio per esprimersi, bisogna dire grazie a queste persone che danno la possibilità agli artisti di essere artisti. Perché senza uno spazio, senza un pubblico, non lo sei. Tra noi c'è una coesione forte, dovuta al fatto che più proponi eventi più la gente viene agli eventi e si conosce.

Io farei leggere questa intervista al nostro sindaco perché abbiamo ancora bisogno di eventi, di musica, di confronto, di cultura. Si sta già facendo qualcosa e anche voi avete fatto tantissimo. Si è vista questa cosa negli artisti, si riflette, ci vogliamo bene tutti. Io non ho difficoltà a stare una sera con Candy o Muslim, che vengono da una realtà completamente diversa, quella di Villafranca, e che fanno una musica molto diversa dalla mia. C'è comunque grande rispetto.

 

«Scena» significa che in un certo territorio gli artisti si conoscono. Non è nulla di più. Il fatto che si conoscano crea mercato, un mercato artistico e creativo. Per questo nasce la competizione, il rispetto, il desiderio di prendere a esempio, il confronto. Questo processo genera altra cultura.

 

Bravissimo, gli spazi in cui si produce cultura attingono materiale da questo processo e generano una macchina infinita. Io credo che oggi Verona non abbia nulla da invidiare... e non lo dico perché sono di qua…  a realtà musicali come quella di Milano, di Bolo o di Torino. Non sto dicendo che siamo migliori. Quello che posso invidiare a queste città è la loro storia, il loro passato. Noi sappiamo che siamo qua per scrivere il nostro.

 

Tutti gli artisti che hai citato fino ad adesso provengono dall’ hip hop. Pensi voglia dire qualcosa?

 

Secondo me adesso l'hip hop sta realizzando una cosa che potrebbe suonare assurda. Oggi quasi tutte le persone che si avvicinano alla musica iniziano dal rap, tuttavia da quando è scoppiato questo fenomeno quanti cantautori sono nati? Moltissimi… senza considerare l’esplosione dell’indie. La gente oggi fa rap e poi forse matura nel pop, nell’indie, nell’R&B. Si è superata la chiusura che caratterizzava questo genere, c’è più contaminazione con meno giudizio. Alla fine scrivere in rima è più semplice, no? Parti da lì e piano piano aggiungi...

L'attitudine hip hop comunque non me la togli neanche se vado all'Ariston, capito? Vorrei che vedeste com'è che saluto le persone (ride) talvolta posso sembrare maleducato e rozzo, ma non è questo il discorso.

 

Nicolò Bello e Nicolò Tambosso


Intervista a Davide Shorty

Di Nicolò Bello e Nicolò Tambosso

 

È Sabato 25 Novembre e noi di Salmon Magazine / Horto, siamo seduti sulla poltroncina da “casting couch” del «The Factory» ovvero l’apprezzatissima sala concerti di San Martino Buon Albergo.

Si tratta della stanza da “recording” che affaccia sulla sala prove dello spazio, una zona che, in occasione dei “live”, funge anche da “Press Room” per i “Big Guests” della “venue” (sì, l’inglese ci fa sentire importanti).

Seduti su due sedie da ufficio (quelle con le rotelle sotto), sorseggiamo due birrette e chiacchieriamo un po' del più e del meno.

Attraverso il vetro dello studio intravediamo la nostra prossima vittima, gli facciamo un cenno di saluto ma con scarsi risultati…

Decidiamo dunque di prendere il toro per le corna e lo invitiamo ad entrare per fare due chiacchiere face-to-face, lui accetta e lui si siede comodo comodo (speriamo) sulle poltroncine che abbiamo provveduto a scaldare con i nostri rispettabili sederi.

Il set è pronto, l'atmosfera è calda e rilassata, i nostri volti sono distesi e pacifici. Quando siamo certi che il nostro ospite ha abbassato la guardia iniziamo a bombardarlo di domande, senza pietà.

Ciao Davide, approfondendo il tuo repertorio musicale si può notare come la tua penna sia sempre stata molto coerente con il tuo percorso artistico: dai primi pezzi ai brani usciti dopo X Factor, dalla collaborazione con i funk shui project al tuo ultimo album «fusion», sei sempre riuscito a catturare una tua dimensione di scrittura unica e cucita su misura per ogni progetto.

Ora, oggi, nel 2023, dopo quasi 6 anni dal tuo primo album, come vedi la musica con l’occhio di un Davide Shorty cresciuto e maturato artisticamente? Che rapporto hai con il Davide di allora? Cosa gli diresti dopo tutto quello che ti è passato?

Io la musica l'ho sempre vista come un'esigenza piuttosto che come il mio lavoro, è diventato il mio lavoro per forza di cose e ne sono infinitamente grato.

Nella mia vita non mi sono mai fatto troppe domande e ho sempre fatto, oggi invece sto cominciando chiedermi delle cose per la prima volta: cosa voglio raccontare? Cosa sto diventando? Cosa voglio diventare? Chi voglio essere? Cosa ho fatto per generare queste domande?

Non parlo soltanto dell'artista che voglio essere ma soprattutto della persona che voglio incarnare e di come voglio reagire agli eventi che succedono nella mia vita.

Viviamo in una società dove siamo saturati dall'informazione, o meglio, dalla disinformazione. Si fa molta fatica a capire come selezionare le nozioni e come discernere cosa è costruttivo da cosa è distruttivo. Fare un lavoro specifico di selezione di queste informazioni richiede uno sforzo mentale che spesso va al di là della nostra capienza, la nostra salute mentale viene poco tutelata, almeno nel mio caso.

Mi rendo conto, per fare un esempio banalissimo, che tutto ciò che polarizza le opinioni in sole due eventualità, richiede anche uno sforzo dal punto di vista morale non indifferente. Questa moralità delle volte ti piega, perché hai delle immagini molto forti davanti e sei bombardato da parte dei mass media. Diventa complicato proteggersi dalle opinioni precostituite e non lasciarsi risucchiare da questa polarizzazione. Perdere il controllo e la calma è molto facile.

Ecco, con la musica per me è valsa la stessa cosa. L’approccio non è mai stato solamente “vado a divertirmi” o “cerco di canalizzare delle sensazioni”. Ho sempre cercato di tradurre le emozioni più forti delle mie giornate nelle canzoni. La musica è stata la mia terapia e, per la prima volta, mi sta facendo porre delle domande in un momento in cui non è più così automatico quello che voglio raccontare.

Quando ero un immigrato a Londra avevo bisogno di raccontare la storia di un immigrato che fatica ad arrivare a fine mese, che sta imparando una nuova lingua e che sta costruendo un’identità da zero. Oggi questa identità l'ho già costruita e quella storia non è più la mia, adesso sto in Italia da cinque mesi e a Londra vado un po' meno.

Oggi guardo al Davide del 2015\2016 mentre stavo scrivendo il mio primo disco, «Straniero», con tanta tenerezza. Gli direi di prendere le cose un po' più alla leggera, senza cambiare nulla di ciò che è passato. Tutto ciò che è successo è stato necessario e mi ha portato qui. Ultimamente sto imparando ad essere grato per tutto.

Molto spesso mi si attribuisce l'etichetta di “artista sottovalutato”. È una cosa che sento dire molto spesso, non soltanto dai miei fan ma anche dagli addetti ai lavori e dalle persone con cui collaboro.

“Ah, ma tu sei molto sottovalutato, ti meriti molto di più di quello che hai”. Prima frasi del genere mi mettevano veramente a disagio e mi ponevano davanti al mio ego e ad un'ambizione non raggiunta, rendendo più faticoso a una parte della mia personalità di esprimersi.

Adesso tendo ad osservare più che a reagire, cercando di vederla da un punto di vista più spirituale, a volte riuscendoci e altre volte no.

Negli ultimi anni l'industria musicale italiana è scoppiata con l’arrivo dell’indie, delle piattaforme di streaming e della musica prodotta dalle ultime generazioni. Una tra queste è l’ondata di RnB/Soul italiano di recente tendenza, cosa ne pensi di questo fenomeno? Credi che sia solo un trend che finirà o che sarà un inizio dove gettare le basi per una nuova cultura RnB/Soul italiana? Il nostro paese è culturalmente pronto per questo fenomeno secondo te?

Io cosa ne penso? Si, penso e spero che possa essere l'inizio di un movimento ma allo stesso tempo credo che ci debba essere più aggregazione in generale nella scena.
Sarebbe bello vedere le persone supportarsi a vicenda un po' di più.
Io, insieme a Serena Brancale e ad Ainé, abbiamo creato un collettivo che ci ha agevolato a vicenda in un modo o in un altro. Sarebbe interessante vedere questo fenomeno allargarsi e prendere forma, piuttosto che assistere ad una ricerca più personale sul genere come invece vedo fare.

Culturalmente parlando è bello vedere queste nuove tendenze ispirate dall’estero anche se, prima di tutto, credo sia importante capire cos’è e da dove viene quello di cui si sta parlando.

Stiamo comunque realizzando una musica che culturalmente non ci appartiene. Personalmente questo concetto mi responsabilizza e mi fa sentire caricato del peso di non scimmiottare qualcosa che non mi appartiene. Preferisco andare a studiare per restituire dignità a una cultura.

"Porto Mondo" e “Non respiro” sono pezzi molto forti, in cui esprimi chiaramente il tuo pensiero su diversi temi politici e sociali. Quanto è importante per te veicolare messaggi di questo tipo con la tua arte? Credi che la musica, attraverso la sensibilizzazione e l’empatia, riuscirà mai a cambiare le persone? Cosa auspichi che accada nella mente e nel cuore dei tuoi ascoltatori quando cerchi di veicolare questi messaggi?

Penso sia importante nella misura in cui mi colpisce. Nel momento in cui ho bisogno di processare delle informazioni le scrivo. Per me è importante metabolizzare ciò che mi mette a confronto con me stesso. Scrivo tutto ciò che mi da dei dubbi, delle sensazioni forti e mi fa provare rabbia, come per esempio la politica.

Tutto ciò che riguarda la polarizzazione, sono delle cose che, per forza di cose, ti mettono a confronto con te stesso. Sono degli eventi che non possono passare inosservati, con cui è difficile non empatizzare, almeno per quanto mi riguarda.

Quando ho empatizzato con determinate cose mi viene spontaneo scriverne. Per me è importante quanto è importante mangiare o bere. È una cura per la mia salute mentale. È il mio strumento di espressione e mi sento fortunato ad aver trovato quella chiave per poter leggere determinate cose. Soprattutto per poterci convivere perché, ripeto, non è facile trovare un canale di sfogo quando si parla di determinati temi. Alcuni sono argomenti molto forti… Sentire cosa auspichi che accada nella mente di chi ti ascolta non è affatto affare mio.

Nato e cresciuto a Palermo, diversi tour alle spalle e ora vivi a Londra.
Come mai questa scelta? Cos’è che Londra ha che le altre città non hanno?

Io ho sempre seguito la mia curiosità. Mi sono trasferito a Londra perché la prima volta che ci sono andato mi sono sentito libero di esprimermi senza giudizi.
Palermo è una città meravigliosa e tanto accogliente ma quando si tratta di creatività ci sono tanti giudizi, le persone sono abituate a giudicare e a mettersi i bastoni tra le ruote.

Ho avuto la spinta verso Londra perché per la prima volta mi sono sentito compreso, quindi mi sono sentito libero e spinto a studiare e a capire ancora di più di quanto io potessi essere.
A Palermo mi sentivo totalmente un outsider, quasi un pazzo. Non ero compreso ma ero compresso.

E come mai ora ti ritrovi di nuovo in Italia?

Sono tornato in Italia dopo 15 anni perché è andata a fuoco una parrucchiera sotto casa rendendola inagibile. Un evento un po’ straordinario e po’ traumatico che è accaduto in un momento in cui stavo finendo il mio primo anno accademico da professore in “sample based music production and performance”, in un’università a Londra.

Mi sono trasferito a casa della mia compagna per qualche mese, fino a quando non abbiamo deciso di trasferirci giù a Palermo per rallentare un po’, dato che a Palermo la vita è molto più lenta.

 

Nicolò Bello e Nicolò Tambosso


Il mio "non-luogo"

di: Aurora Lezzi

Abbiamo avuto il piacere di intrattenerci per un caffè pomeridiano con Anastasia Brugnoli, in arte Anna e L’appartamento, che ci ha illustrato per bene la sua musica e quello che è il suo progetto. 

In più, abbiamo approfondito alcuni temi attualissimi per quanto riguarda la figura femminile  adattati al mercato musicale. 

Quel che chiedo a tutti è di presentarsi e presentare la propria musica.

Ciao a tutti, il mio progetto si chiama “Anna e l’Appartamento” e forse può trarre in inganno perché può sembrare un nome di un collettivo, ma a dire il vero è proprio lo pseudonimo d’arte che ho scelto di darmi. In realtà mi chiamo Anastasia Brugnoli e Anna è il mio diminutivo: è un nome palindromo, poi sono nata nel 1991 e anche qui..sono un po’ fissata con queste cose. 

Il progetto nasce come lo sfogo del mio alter ego che fa musica di impronta pop-cantautorale, quindi che cerca di strizzare l’occhio alla canzone d’autore ma allo stesso tempo cerca di avere una chiave di lettura pop.

L’idea di riuscire a fare qualcosa con questo progetto inizia nel 2013 per poi partire ufficialmente nel 2020 con la pubblicazione del primo singolo Plastic Fantastic. 

Abbiamo atteso per la pubblicazione del disco per evidenti problemi del periodo Covid finché non ce l’abbiamo fatta nel novembre 2021. Da lì abbiamo continuato a lavorare e il 10 novembre 2023 abbiamo pubblicato l’Ep Assedio che contiene 5 pezzi. 

Cos’è per te l’appartamento? 

L’appartamento è un non-luogo. È ovviamente fittizio, immaginario, ma è la zona in cui raccolgo tutte le mie idee. Rappresenta la parte creativa mi che porto sempre dietro e cresce con me. 

Mi sai descrivere il tuo processo creativo? Su cosa e perché scrivi?

Su questo devo sempre fare un’analisi a posteriori, forse perché è un processo molto spontaneo. Non mi è mai capitato di mettermi a scrivere un brano scegliendo di andare a scrivere su un tema specifico, mi piacerebbe provare a farlo, ma onestamente non mi è mai successo. È sempre accaduto tutto di flusso e questo mi piace molto perché è un po’ il contrario di come sono io: Anna è tutto ciò che non è Anastasia. Quest’ultima è precisa e minuziosa, mentre Anna è tutto il contrario. 

Quando mi metto a lavorare, mi vengono in mente delle idee e le canzoni si scrivono da sole. Questa è la sensazione che ho. 

Tre album per descriverti e uno che non ti è piaciuto affatto. 

Che domanda difficile. Cercherò di spaziare altrimenti mi incaglio in un unico genere. 

Ti direi Transformer di Lou Reed perché l’ho consumato e masticato fino alla fine. Poi.. Both Sides Now di Joni Mitchell, anche se faccio fatica a scegliere un suo disco perché è una delle mie artiste preferite al mondo.. altrettanto per Regina Spektor della quale ti dirò What We Saw From Cheap Seats. 

Per quanto riguarda quello che non mi piace.. è difficile anche questa perché quando qualcosa non mi piace tendo a rimuoverla, però probabilmente un disco dove ci sono uno o più tormentoni. 

Domanda scomoda: una tua opinione sul ruolo della donna nel mondo della musica? Se si pensa ad una donna, automaticamente, di solito, si pensa ad una cantante e mai ad una musicista, mentre tu canti e suoni, invece. Come vivi questo su te stessa? 

Potremmo stare qua tre ore.. come dici tu, spesso e volentieri la donna è associata automaticamente al ruolo di una cantante. È un discorso molto complesso: il ruolo della musicista quando viene riconosciuto, è riconosciuto in un ruolo marginale associato a qualcos’altro o qualcun’altro. Mi è capitato tantissime volte che, pur essendoci scritto “cantautrice” sotto il mio nome, e questo implicherebbe automaticamente che io scrivo i pezzi testi da sola, mi venisse chiesto se fossi io a scriverli. Raramente mi è capitato di sentir chiedere la stessa cosa ad un uomo, questo perché viene dato per scontato.

Per quanto riguarda le altre figure attorno ai musicisti, secondo me è ancora peggio: mi viene da pensare alla figura del fonico o del producer. Si fa fatica a trovare donne che assumono questi ruoli ed è un po’ un cane che si morde la coda: se non c’è rappresentanza e dimostrazione del fatto che una professione si possa fare a prescindere del proprio genere, ma che invece si può fare perché si può fare e basta. Diventa difficile per le nuove leve far credere, senza un esempio ,che effettivamente possono farlo. Bisogna abbattere il cosiddetto tetto di cristallo. È un problema che riguarda il mercato musicale, ma temo di poter dire che si è donne bisogna tirarsi su le maniche dieci volte di più.