Bianco&Noir - L'impiccato parte 2.

 

Parte due

Verona 21 marzo, 1882

Scosto la giacca e scopro una macchia di sangue sulla camicia dell’avvocato. E’ all’altezza del cuore, c’è una piccola foratura nel tessuto. Una ferita mortale causata da un’arma appuntita, una stilettata sembrerebbe.

- Interessante – sussurra Salgari.

- L’hanno portato su già morto – confermo.

- Sono serviti più uomini intende?

- Sicuro – rispondo mentre mi caccio in bocca un’altra gemma di liquirizia.

C’è un profumo di gelsomino nell’aria.

No, non è nell’aria. Proviene dal cadavere dell’uomo, ne sono imperniati il collo e i polsi in maniera particolare. L’avvocato Ottolini si era vestito a festa: gessato scuro, cravattino rosso e una pesante dose di profumo al gelsomino.

Uomo, gelsomino: altra incongruenza. Oppure no?

Saliamo sul ponte, la folla si è diradata un poco. D’altronde il cadavere non è più esposto, l’impiccato è stato deposto, lo spettacolo è finito – Di che scriveva Ottolini? – domando a Salgari che sta sempre al mio fianco, ormai degnissimo compagno d’indagini.

- Di politica soprattutto – risponde il corsaro della carta stampata – Era un convinto sostenitore degli austriaci.

- Non ce la caveremo mai da ‘sti crucchi del cazzo – sospiro accendendomi una sigaretta.

- Quanti uomini potrebbero servire per fare una cosa del genere? – mi domanda l’amico alludendo all’omicidio e alla messinscena.

- Almeno un paio – rispondo – Non è vero Ispettore?

Martini mi guarda stralunato e non risponde.

Le certezze nella vita sono importanti.

L’ispettore Marogna sta parlottando con una coppia distinta che mi dicono essere sul ponte da quando tutta questa faccenda è iniziata.

- Mastino Giusti – mi presento allungando la mano al gentiluomo non prima di aver fatto un mezzo inchino alla dama che lo accompagna.

- E’ della polizia? – mi domanda l’uomo.

- No ma è meglio così – risponde Marogna strappandomi un sorriso.

L’interlocutore mi pare un pochino confuso – Mi sto occupando dell’indagine. Sono un investigatore privato che collabora spesso (molto spesso, in realtà sempre) con i tutori dell’ordine – lo rassicuro – Che legami aveva con Ottolini?

- Avvocati e amici di famiglia – risponde seccamente lui.

C’è qualcos’altro di secco che non è passato inosservato. A me intendo. La punta metallica del suo bastone da passeggio non solo è affilata e appuntita. E’ come una lama, potrebbe benissimo essere un’arma, anzi lo è: è sporca di sangue rappreso in fondo.

Secco, sangue secco.

La cosa bella di questi coglioni aristocratici è che sono in grado di sottovalutare tutto e tutti. Sono fatti di spocchia e un po’ di grana in banca. Ovviamente non sanno che anch’io appartengo al loro mondo, conosco tutte le loro bassezze, so per certo che non perdono occasione di prendersi gioco del prossimo. Il fatto che questo gentiluomo sia qui con il bastone ancora sporco di sangue conferma tutto ciò. Non si è nemmeno scomodato a pulire l’arma del delitto, convinto com’è d’essere sopra la legge.

Poi arriva quel profumo: quello di gelsomino, intendo.

Mi avvicino alla dama che da quando è arrivata non ha alzato gli occhi da terra. Sicuramente non li ha alzati da quando è iniziata questa interessante conversazione con il marito. O compagno. Magari fidanzato. Sicuramente cornuto.

Sento Salgari sorridere dietro di me, ha capito tutto ne sono sicuro. E’ Marogna comunque a sorprendermi. Il contadino prestato al corpo di polizia, con grande piacere e silenziosamente nonostante la sua mole imponente, si è portato alle spalle delle coppia pronto ad agire.

Il gentiluomo se ne accorge. Prova ad alzare il bastone pronto ad infilzarmi. Io gli rispondo con il mio di bastone. I due legni cozzano tra loro provocando un rumore sordo, ebani che si scontrano, contendenti (noi due) che si sfidano a singolar tenzone, un duello di tempi passati. Fino al pugno che arriva dall’alto, potente, che quasi spacca in due la testa dell’omicida e che lo manda a riposare anzitempo. Lo ha sferrato l’agente Marogna che ora se la ride di gusto.

Nel giro di un paio d’ore la confessione viene servita su un piatto d’argento. Il gentiluomo finisce dietro le sbarre insieme a un paio di sgherri dei bassifondi che per quattro soldi si son fatti coinvolgere e che per questo saranno ospiti delle carceri cittadine. La dama invece è stata rilasciata non avendo nulla a che fare con l’omicidio. E’ questa però la condanna peggiore: esposta al pubblico spettegolare nei salotti del Caffè Dante.

Li conosco bene i nobili io.

Quando torno a ricordarlo, prendo la fiaschetta di grappa e ci do dentro come se non ci fosse un domani.

SmokeySalmon

biancoenoir