Book_oncini - Azzurro Elementare di Pierluigi Cappello

 

 

Leggere, se vogliamo, è l'ultimo atto intimo che ci è rimasto, è pure tempo rubato, va bene. E allora, via, una volta al mese, derubiamoci.

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Fra l'ultima parola detta e la prima nuova da dire è lì che abitiamo

Main dish: "Azzurro Elementare" di Pierluigi Cappello (2013, BUR)

Pagine: 216

Tempo di masticazione: un verso per volta, negli scampoli di tempo, mi arrischio a dire: da diluire per tutta la vita

Da provare: quando si è ammalati di una tristezza maleducata e non si sorride più neanche al barista

Indicato per: me, te e tutti

Sapore: la brioche alla marmellata che ho mangiato con te una mattina qualunque

 

Assaggi:

1. "Sono stato qui, io?/ Sono stato qui?/ Dentro questo vapore d'anni,/ a cercarmi?".

 

2. "La speranza è nel gesto, papà/ senza radice e puro/ dalla tua mano alla mia/ dalla mia mano alla tua".

 

3.."Tra il mio sguardo e il tuo/ lo stupore del mio/ caduto sulle ginocchia per vedere/ come stanno le nuvole/ e come le nuvole cambiano quando stiamo davvero".

 

Perché:

Pierluigi Cappello l'ho scoperto qualche anno fa, nel mezzo di una fine che mi aveva lasciato deserta. Quando perdi qualcuno, non c'è più vegetazione. Le anime si mescolano e poi devono rinunciare l'una all'altra, con quella scorta di grazia che si sono regalate e che ora ammuffisce negli angoli della nostalgia. Hai quasi imbarazzo ad andare avanti, a dare da bere un po' all'arsura del tuo paesaggio interiore, ridotto a quel mucchietto di sabbia. "Sebbene sappia che nei calcoli d'amore due meno uno dia meno di zero e uno più uno dovrebbe dare uno, benché resti, adesso che vai, il mio cercarti sulla tua pelle, sulla mia lo stillare dei tuoi capelli, è dentro la tua la mia paura di smemorarmi di te". Con versi così, Cappello è stato la mia borraccia. Lo leggevo prima di dormire nel momento più duro del giorno, "nell'ora indovinata", quando appoggi la testa al cuscino e fai il conto delle perdite. Così,  "al tramonto di ogni palpebra sfinita", nascono lacrime che neppure credevi di meritare . Nel canzoniere amoroso riscrivi piano il ritmo delle tue verità: " Quando sto con il mio silenzio nel tuo il mio silenzio splende di giovinezza e un mondo - che era nascosto - riappare".
Pierluigi Cappello è morto la prima domenica di ottobre e io ho pianto, come tutti gli altri che nei precipizi dei suoi versi hanno visto cantare il loro.

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Note tecniche o lì in giro:

Non vi stordirò di endecasillabi né passero in rassegna i padri letterari che hanno cesellato l'ispirazione del poeta cinquantenne, fin da ragazzino nutrito dalla metrica della Chanson de Roland . Non vi dirò che lui e il dolore erano "una coppia di fatto", dopo che un incidente in moto lo costrinse, sedicenne, alla sedia a rotelle. Non vi dirò neanche che Pierluigi Cappello ha vissuto e scritto tra le pareti di un prefabbricato regalato dall'Austria per aiutare i terremotati friulani, con una vicina come sostegno quotidiano e qualche amico come sollievo intermittente. Vi dirò solo che le sue poesie ti increspano la coscienza perché tutto è rotto e compromesso dallo sconforto delle macerie. Ma tutto può, comunque, provare ad essere ricostruito a patto che lo si faccia "con l'allegria dei vinti". Nelle sue righe non c'è nessun sguardo paternalistico ma c’è una sorta di luce etica. Ragiona sulla parola, lima gli spazi bianchi ma poi lascia che gli errori tentino il loro assedio. Come quella volta in cui, per un refuso, in un verso, " giardini ordinati" è diventato "giardini ostinati". L'ha tenuto così Pierluigi Cappello, perché ogni giardino deve fare appello al suo coraggio per aprirsi alla primavera.

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Una specie di morale:

Sta lì, ad introdurre una della sezioni di "Azzurro Elementare", una postilla della poetessa polacca Wislawa Szymborska: "Morire quanto è necessario, senza eccedere. Ricrescere quanto occorre da ciò che si è salvato". Il modo di fare poesia di Cappello è un modo per sfiorare il silenzio in cui cacciamo i nostri cimiteri personali. Una carezza per stare nella terra dolente di un presente dove "c'è troppo poco cielo per dire domani". Ma i suoi versi ci dicono,pure, che la vita accade per dettagli e che, ad alcuni di loro, è appesa una proposta di salvezza. Certe cose non sappiamo perché ce le ricordiamo. Ogni anno ci dimentichiamo della bellezza dell'autunno o delle montagne vestite di alba o dei suoni perfetti di certe voci. Abbiamo chiare invece piccole cose minime, imprecisioni del tempo. Come quella volta normale, quando hai guardato una mia vecchia fotografia con la plastica a proteggere l'infanzia sparita, e hai detto che ci perdoneremmo meglio, se tutti ci ricordassimo che siamo stati bambini. “Piccoli inconsapevoli poeti”, quello che avrei voluto aggiungere, ma che poi non ti ho detto.

Salmonita


Book_oncini - Le otto montagne

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Libri che non sapevi di volere

Impigliare gli occhi nelle righe di un romanzo, alla sera di un martedì difficile, sta, nella lista delle cose che si potrebbero fare, appena sopra all'uscita serale per buttare l'umido con il manto stradale affetto da gelicidio. Ma affrontare la lettura è un po' come lavarsi i denti prima di andare a letto. Lo devi fare - non hai voglia - lo fai - sei felice (nel caso dei denti, è una modesta felicità, okay). Leggere è sempre tempo rubato, non si scappa. Però, ecco, una volta al mese, possiamo derubarci con criterio.

 

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Main dish: "Le otto montagne" di Paolo Cognetti (2016, Einaudi)

Pagine: una sciocchezza: 208

Tempo di masticazione: due settimane, sul comodino con matita per sottolineare

Da provare: quando serve un atto poetico e si ha bisogno di mandare a quel paese i retropensieri. Quando, in definitiva, si va in cerca di purezza

Al posto di: con buona pace di Mauro Corona, uno a caso dei suoi libri

Indicato per: chi crede che la montagna sia una faccenda privata

 Sapore: panino al salame, premio di una camminata. Più salame che pane.

 Umami: Pagine 127, 135, 140

 Assaggi:

 

1 - Avevo già imparato un fatto a cui mio padre non si era mai rassegnato e cioè che è impossibile trasmettere a chi è rimasto a casa quel che si prova lassù.

 2 - Mi tornò in mente una certa fragilità che avevo intravisto in lui, certi attimi di smarrimento che subito si affrettava a nascondere. Quando mi sporgevo da una roccia e gli veniva d’istinto di afferrarmi per la cintura dei pantaloni. Quando stavo male sul ghiacciaio e si agitava più lui di me. Mi dissi che forse quest’altro padre l’avevo avuto sempre lì e non me n’ero mai accorto, per quanto era ingombrante il primo, e cominciai a pensare che in futuro avrei dovuto, o potuto, fare un altro tentativo con lu

3- La neve lassù mi consolò delle miserie del fondovalle.

4- E siete voi di città che la chiamate natura. E' così astratta nella vostra testa che è astratto pure il nome. Noi qui diciamo diciamo bosco, pascolo, torrente, roccia cose che puoi indicare con un dito. Cose che puoi usare.

 

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Perché:

Andiamo con ordine. 1) Ne parlano tutti (quelli che più o meno contano: il Corriere della Sera, La Stampa, Panorama), 2) chi non ama la montagna si perde uno dei capolavori più riusciti del Creatore, 3) l'autore (oltre ad essere un giovane e discreto manzo, vedi foto) è uno scrittore sincero.

 

Discreto, dai. (Paolo Cognetti vive e scrive da otto anni nella baita sopra Brusson, in Valle d’Aosta, per questo è sincero)
Discreto, dai. (Paolo Cognetti vive e scrive da otto anni nella baita sopra Brusson, in Valle d’Aosta, per questo è sincero)

Non stiamo parlando de Le otto montagne perché è un caso letterario (davvero), visto che prima di uscire in Italia, alla Fiera di Francoforte quasi 30 Paesi se lo sono conteso (Elena Ferrante, il mostro sacro della letteratura italiana venduta all'estero, è tradotta in 44 Stati, per fare le dovute proporzioni). Rilassatevi, non è un libro sulla cosmogonia del passeggiare intriso della modaiola retorica da tagliere con polenta. "Due amici e una montagna", questo il romanzo di Cognetti nella sintesi più corretta, ovvero la sua. In sostanza, l'amicizia tra Pietro (piccola borghesia milanese) e Bruno (proletariato montanaro, fa ridere come definizione, lo sappiamo) ai piedi del Monte Rosa. In mezzo anche un padre di quelli che si vedono sempre meno oggi, bruschi, tutti d'un pezzo, capaci di grandi dolcezze. Lui che va in montagna per mantenere quel suo "rapporto privato e muto con la fatica". E probabilmente, per esercitare il silenzio, condanna dei sensibili.

 

Tentate (capo dei salmoni dice che devo essere convinta della mia autorevolezza) note tecniche:

C'è esattezza. Ovunque. La ricerca pura della parola giusta. Non c'è scrittura che si atteggia a scrittura e ogni idealizzazione "dell'avventura comoda" di salire lassù è, anche lessicalmente, sabotata. Fatevi un giro sul web e tutti vi diranno che è questo romanzo è un classico. Può essere di sì, può essere di no. Ma non possiamo tacervi che è un autentico racconto di formazione alle Stevenson, con una spruzzata di Twain, abbastanza London e un Hemingway sotterraneo e deciso.

 

 

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Hemingway, se non ve lo ricordavate

 

 Una specie di morale

Sono belli i contorni cantava Gianmaria Testa. Sono belle le linee che le montagne scavano nel cielo. Eppure quanto sono dolorose le loro creste dove si conoscono e si perdono amici. Tutto quello che ha contato per Pietro si è consumato lì, in quei limiti che fermano le nuvole. Ha visto i genitori amarsi, mentre il marito spiegava alla moglie, dopo una giornata lontani, il colore dei ghiacciai. Ha imparato il silenzio segreto dell'amicizia che è anche stare dietro a Bruno che lo guida dove non c'è il sentiero. Ma Pietro, incerto autoritratto di Cognetti, si scopre adulto quel giorno, quando trova per caso, nella casa di montagna, la mappa del padre, "una cartina dei nostri mondi raggiunti", e nell'intreccio del pennarello nero (i percorsi del padre) e quelli segnati in rosso (i sentieri del figlio) ci fa leggere il cammino di un affetto mai dichiarato, e, per questo, onesto. Perché, forse, siamo pronti all'amore solo quando gli altri se ne vanno. Perché finisce l'infanzia, mi direte. Eppure, in fondo, come scrive un'altra piccola grande penna italiana (Nadia Terranova), "i grandi non sono che bambini sopravvissuti".

Salmonita

 

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