Tre parole, giusto tre, su Homicide House

 
SALMON PER FUCINA CULTURALE MACHIAVELLI

Sabato 10 febbraio Fucina Culturale Machiavelli ospita Homicide House della compagnia MaMiMò di Reggio Emilia, per la stagione teatrale #PaesaggiUmani. Lo spettacolo è arrivato sulla scena vincendo il premio Tondelli nel 2013 e da quattro anni gira l'Italia ininterrottamente.

A noi, più che la fama, stuzzica il titolo. Quindi abbiamo scambiato tre parole con il regista Marco Maccieri. In giallo-salmone dorato il nostro inquisitore.

 

Homicide House: puoi descrivermelo in tre parole?

È una fiaba noir contemporanea che parla della conoscenza fra le persone e del ruolo della verità nella vita di ognuno di noi.

In realtà, intendo: se dovessi proprio scegliere tre parole?

Direi, sicuramente, “verità”, “società” e “contemporaneo”. In realtà, poi le unirei tutte in un’unica parola, cioè “coscienza”.

Importante...

Sì, perché io vedo questo spettacolo come se fosse un dialogo fra le parti della nostra coscienza.

E quali sono?

Una parte è la narrazione dell’amore romantico: amore, vita di coppia, famiglia si uniscono tutte in un unico idillio. C’è una parte più cinica, la parte del rapporto professionale, che non guarda in faccia a nessuno ma guarda al successo e ai risultati. Poi c’è un’altra parte, quella vile-utilitaristica che ci fa scendere a compromessi anche molto bassi pur di ottenere vantaggi personali. E poi c’è l’ultimo personaggio, quello coi tacchi a spillo, quel fondamento della nostra coscienza che vuole rimanere a tutti i costi fedele a se stesso, alla sincerità e alla verità; si sente impuro quando tradisce questo ideale. Questi sono anche i quattro personaggi della pièce.

homicide house
Una scena di Homicide House

C’è una scena di cui sei registicamente molto soddisfatto?

Per rendere tutto questo, la difficoltà era non cadere nel realismo, non fare diventare quotidiana la vicenda. Quindi abbiamo sfruttato il linguaggio del fumetto e, dal punto di vista della regia, la scena in cui si entra nella Homicide House, cioè a casa dei tacchi a spillo, è stata una bella trovata. Insieme allo scenografo e al tecnico delle luci luci abbiamo realizzato la scena come fosse una graphic novel. Cioè: [spiegazione che abbiamo deciso di non spoilerare]. Questo momento thriller diventa così non solo un fatto realistico, ma anche concettuale.

Anche se in parte hai già risposto, quali riferimenti avete?

I riferimenti sono dai più alti ai più pop. I più pop, appunto, sono il linguaggio del fumetto, della graphic novel, dei colori molto saturi, perché avevamo bisogno di lavorare sui cliché: non su persone ma su personaggi, quindi archetipi come la femme fatale o lo strozzino, che diventa una specie di Joker di Batman. Questo riferimento riguarda soprattutto l’estetica e la forma del racconto. L’essenza e la drammaturgia sono legate, invece, ad altre forme. Per esempio il dialogo platonico: noi indaghiamo i concetti di cui ti parlavo prima attraverso la formula del dialogo filosofico. I personaggi attraverso la storia si interrogano su che cos’è l’amore o cos’è la verità, cosa vuol dire conoscere una città. E lo fanno attraverso dei dialoghi in cui mettono in campo ognuno un punto di vista differente, per cercare poi una verità che si deve creare da sé.

Interessante. Tra l’altro io ho studiato filosofia e mi sono trovata spesso a pensare che i dialoghi platonici potrebbero tranquillamente essere messi in scena.

È così. Io ho fatto un lavoro col maestro Vassiliev di messa in scena dei dialoghi platonici, nel 2010. Lui aveva fatto una scuola di pedagogia teatrale e usava quel materiale per insegnare le strutture nascoste, fondamentali, di molta della drammaturgia contemporanea. È molto bello soprattutto che nei dialoghi di Platone si nomini tutto tranne quello che è il concetto. Quindi è come se tu togliessi al pubblico tutto quello che quella cosa non è, per lasciare dentro la sensazione di ciò che è.

E voi avete fatto così?

Sì, c’abbiamo provato. È chiaro che siamo un po’ più pop di Platone, ma in senso buono, cioè di provare ad abbassare, in modo che un bambino possa leggere tutto questo, che non diventi qualcosa di solamente intellettuale ma di molto concreto. L’ultimo atto, infatti, prende un po' i toni della commedia, con un finale aperto, per lasciare al pubblico la responsabilità di scegliere, di decidere per sé.

...personalmente non considero Platone così inaccessibile, anzi. Poi come tutte le cose interessanti ha tanti livelli di lettura.

Sono d’accordo.

E come va la vita di questo spettacolo?

Benissimo. È il quarto anno che siamo in tournée. Abbiamo vinto il premio nel 2013, poi siamo partiti nel 2014… è già il secondo anno che diciamo: “Beh magari se non ci sono più recite lo archiviamo”; invece continuano a venire fuori date. Adesso la novità è che ci hanno preso al Franco Parenti a Milano e al Festival di Asti, quindi lo spettacolo continua a farci delle sorprese, come se fosse un figlio che ci fa gli scherzi. Siamo molto contenti anche perché in questo momento è lo spettacolo che più ci rappresenta in giro per l’Italia, mentre a casa nostra, a Reggio Emilia, ne abbiamo fatti diversi.

Direi una gran bella vita...

Sì. Il pericolo è che poi veniamo identificati solo con questa drammaturgia, ma è anche una cosa bella, perché racchiude molta della nostra poetica, del nostro sapere, del nostro gusto. È uno spettacolo del 2014, quindi siamo andati avanti nel frattempo. Ma anche questo è bello perché in questi quattro anni siamo cresciuti insieme allo spettacolo. Ed è cambiato: secondo me chi lo vede da un anno all’altro lo trova decisamente cambiato.

Cosa vi aspettate da Verona? Cioè: come se ne parla nel mondo teatrale, se se ne parla, o invece, se non se ne parla, cosa vi immaginate?

Il biglietto da visita di Verona è che è una città molto colta.

Davvero??? (Mi scappa una risata)

Sì sì.

Noi veronesi non la pensiamo sempre così.

Come i reggiani dicono a loro stessi che sono dei campagnoli... Ci aspettiamo di avere un pubblico più critico di quello emiliano, che magari è un po’ facilone e aderisce di getto a quello che succede. Ci aspettiamo, appunto, di avere un pubblico critico e curioso. Io stesso sono molto curioso. Perché in ogni luogo in cui andiamo lo spettacolo è diverso a seconda di chi c’è in sala, di come il pubblico reagisce. Essendo uno spettacolo aperto al pubblico, che si fa insieme al pubblico piuttosto che in quarta parete, è stato diverso farlo a Sassari, a Napoli o a Torino.

E voi capite qualcosa della città attraverso lo spettacolo?

Non tanto qualcosa di logico ma sicuramente una sensazione, un clima, una coscienza particolare di quel luogo.

Dovrete farci sapere allora...

(Ridendo) Anche voi.

Homicide House
Homicide House

Dopodiché stasera mi butto?

 

Salmon per Fucina Culturale Machiavelli

Dopo il successo dell’anno scorso che aveva lasciato decine di persone fuori dal teatro, Fucina Culturale Machiavelli ha deciso di replicare lo spettacolo del collettivo Generazione Disagio: Dopodiché stasera mi butto.

Generazione Disagio

Per capirne di più abbiamo deciso di telefonare a Enrico Pittalunga, fondatore del collettivo e coautore dello spettacolo. E abbiamo anche riso.

Generazione Disagio… qual è il disagio?

Il disagio è non sentirsi al momento giusto e al posto giusto, sia storico che sociale che politico che anche di età. Riguarda per lo più la generazione dai 25 ai 45 in cui, per valori che ci sono stati passati, per consuetudine o semplicemente affinità coi genitori, coi nonni, col passato, avremmo tutti dovuto avere una vita più o meno stabilizzata, una famiglia, dei lavori, delle cose che ci davano delle sicurezze. E invece ci troviamo incastrati nella condizione di eterni giovani… ci si ritrova calvo a fare l’happy hour e a provarci con le ragazzine – sto parlando di me tra l’altro.

Ah ah... non solo tu.

Sì, anche perché varie strutture culturali, come i finanziamenti, ti considerano giovane almeno fino a 35 anni – “under 35” oggi vuol dire “ragazzini”. Quindi si sposta sempre più in là il momento dell’età matura e questo comporta un disagio reale, perché comunque il tuo corpo invecchia. È come una nuova classe sociale nell’età dell’annullamento delle classi sociali che sguazza in questo disagio di cui si fa anche fiero portabandiera… [voce da milanese imbruttito] “troppo disagio”, “come ci spacchiamo”, “quanto ci divertiamo”: diventa ironico. Tutti noi speriamo che questo spettacolo possa essere una chiamata alle armi ironica, satirica, tagliente, per capire che possiamo e dobbiamo essere felici delle scelte che compiamo nella vita.

Per arrivare a dire Dopodiché stasera mi butto… davvero?

Lo spettacolo consiste in 30 caselle verso il suicidio e i nostri personaggi sono pedine. Fanno parte di questa generazione disagio ma dicono: “Noi stiamo vivendo male, abbiamo trovato una soluzione: dobbiamo vedere la vita al contrario, cioè ci hanno detto che cosa era positivo e che cosa era negativo e noi dobbiamo invertirlo. Quanto più saremo bravi a rovinare le nostre relazioni, il nostro ambiente amicale, lavorativo, economico, sociale, tanto meno ci aspetteremo dal futuro e tanto più saremo felici, perché abbassando le aspettative potremo arrivare al giorno in cui vivere o morire non conterà più e ci potremo suicidare col sorriso”. Quindi il Disagio è la strada: Disattenzione, Disaffezione e Disinteresse. Le tre D. Quasi fosse una nuova filosofia new age che propiniamo al pubblico come in una convention alla Fight Club, invitandolo a fare una partita di prova con noi.

Un gioco da tavolo in cui anche il pubblico ha un ruolo?

È una sorta di gioco dell’oca, in cui i nostri personaggi, aiutati da un maestro dei giochi che coordina il rapporto con il pubblico, devono avanzare. Allora se ti lasci con la tua fidanzata o sei un esubero al lavoro o non ti rinnovano il contratto, ecco che avanzi e sei contentissimo perché finalmente ti lasci alle spalle le illusioni; se invece ti innamori o trovi parcheggio sotto casa, ecco che indietreggi e perdi posizioni perché ti illudi che la vita sia bella. Poi c’è una parte in cui il pubblico viene invitato a prenderci a pallinate per far cadere i piatti dell’happy hour ricolmi di tartine mentre noi dobbiamo restare assolutamente superficiali senza mai approfondire i discorsi, su varie tematiche: bisogna restare assolutamente da bar. È una cosa divertente, ma anche satirica, a tratti greve.

Lo spettacolo in sé, al contrario, va a gonfie vele: l’avete portato in giro per l’Italia…

Già, adesso tra l’altro ti sto parlando da Roma, dove abbiamo appena festeggiato 100 repliche. Siamo stati in tante regioni e abbiamo vinto diversi premi: è uno spettacolo che ha avuto una vita felice e ricca. Molte persone ci hanno dato una mano ed è cresciuto tanto negli anni.

Siete anche già stati a Verona, sempre a Fucina: cambierà qualcosa rispetto all’anno scorso?

Lo spettacolo è lo stesso, ma ci sono delle cose diverse. Ci sono le parti di interazione con il pubblico che cambiano da sera a sera e tante battute sull’attualità più cogente che, come nella tradizione satirica di sempre, vengono aggiornate di giorno in giorno secondo i fatti di cronaca. Poi, siccome era rimasta della gente fuori, abbiamo deciso con i ragazzi di Fucina Culturale Machiavelli di riproporlo, anche in vista della settimana prossima, quando torneremo con il secondo spettacolo.

Generazione Disagio

Se non sbaglio con Fucina organizzate anche un workshop.

Esatto. Nei giorni successivi fra questo primo spettacolo e il secondo, dal 15 al 17. Faremo lavorare le persone con il nostro metodo, cioè la narrazione di drammi e disagi quotidiani attraverso l’inversione e il ribaltamento comico. Il paradosso dell’ironia ci aiuta a scardinare certi meccanismi, perché aumentarli, ingigantirli e metterli in ridicolo ci aiuta a individuarli meglio innanzitutto, a farci una risata sopra e ci si augura a saper innescare un meccanismo di cambiamento. Appunto sia lo spettacolo che il laboratorio ambiscono a essere in qualche modo rivoluzionari: aumentiamo molto lo schifo, la banalità e la grettezza in cui annaspiamo, per invitare all’azione, a scegliere, ad approfondire, a rischiare, a studiare.

A questo punto non vedo l’ora di vedere lo spettacolo, anche perché è un tema da salmoni. Perché i salmoni…

Controcorrente!

A Verona, ci proviamo. Siamo nella stessa corrente contraria.

Speriamo che non ci acchiappi l’orso.

Locandina Dopodiché stasera mi butto